da "Il Manifesto"

06 Marzo 2001

Melting pot alla Mecca

MARCO D'ERAMO

Pochi europei sanno che il cognome del leader del movimento palestinese è un nome sacro per l'Islam e indica la meta del momento più saliente del pellegrinaggio alla Mecca: il monte Arafat, in realtà una modesta collina fuori la Mecca. E' sul monte Arafat che il profeta Maometto pronunciò il suo ultimo discorso, tre mesi prima di morire, nel marzo del 632. D. C. (adesso siamo nell'anno islamico 1421 dall'Egira). Ed è qui che due milioni di pellegrini provenienti da 100 nazioni confluiscono ogni anno per quella che secondo il Corano è una prova generale del giorno del Giudizio. In quel giorno, tutti i musulmani del mondo festeggiano e sacrificano gli agnelli, nella "Festa del Sacrificio" (Eid al-Adha, un po' come la nostra Pasqua). Iniziato sabato, il pellegrinaggio annuale alla Mecca (il hagi) è il più grande assembramento di esseri umani che si conosca. Già mesi prima che esso cominci, un sito Internet (http://www.islam.org/islamicity/hajj/) diffonde informazioni e pubblicità con calendari e mappe dell'itinerario del hagi. A scansare ogni equivoco sulla pretesa arcaicità del pellegrinaggio, c'è un Haji Channel at CyberTv. Le banlieues parigine, i ghetti turchi di Dortmund, i suburbi pakistani di Londra sono tappezzati di annunci del hagi e di videocassette. Da ogni luogo abitato dal miliardo e 200 milioni di musulmani (un quinto di tutti gli umani), agenzie di viaggio e linee aeree offrono prezzi stracciati, forfait per gruppi, sconti per famiglie. Dagli Stati uniti il pacchetto tutto compreso per 12 giorni costa da un minimo di 2.000 dollari a un massimo di 5.000 a persona (dai 4 ai 10 milioni di lire), a seconda se i pullman hanno l'aria condizionata, e della categoria dell'albergo: ma comunque tre notti le devi passare obbligatoriamente in tenda e puoi tornare in albergo solo per cambiarti, darti una ripulita e... per andare al cesso. Per l'occasione, il Chicago Tribune aveva chiesto a Reshma Memon Yaqub, una 27-enne statunitense, un dettagliato diario del suo hagi. Nel suo autobus che trasportava i pellegrini intorno alla Mecca si trovava un gruppo di parecchie dozzine di cittadini americani (negli Stati uniti ci sono 6 milioni di musulmani): "c'è uno studioso canadese di 23 anni che sa a memoria il Corano; un vivace jazzista 68-enne di Detroit, alcuni medici pakistano-americani, un'anziana signora pakistana poliomelitica amorevolmente spinta in carrozzina dal genero; un albanese che ha portato la sua vecchia mamma; un membro del consiglio d'amministrazione della Neutrogena Co., due fratelli iraniani della famiglia Parvizian che possiede il negozio di tappeti su Wisconsin Avenue a Washington...". Come tutti gli altri autobus di pellegrini, anche questo risuonava costantemente della Talbyah, la preghiera che i musulmani recitano durante tutto il hagi: Labbayak Allahumma labbayak (Qui vengo, signore, qui vengo) Labbayaka la sharika laka labbayak (Niente è eguale a te, a te io vengo Signore) Innal hamda wanni'mata laka walmuk (Tutta la gloria è tua, tutta la ricchezza è tua, tutto il dominio è tuo) La sharika lak (Niente è uguale a te). Un formidabile apparato logistico fa fronte all'immane invasione: quest'anno i pellegrini erano 2 milioni 100.000 mentre di solito La Mecca ha 370.000 abitanti. Memori del rogo del 1997 che uccise 343 pellegrini attendati, ora i sauditi distribuiscono 44.000 tende ignifughe, in teflon, con estintori e allarmi. Gli ospedali da campo hanno 5.000 posti letto e uno staff di 10.000 persone. Durante l'avvicinamento al monte Arafat, per esempio, il cielo è coperto da elicotteri pronti a trasportare via chi è colto da malore. Macchine della polizia con altoparlanti incitano i pellegrini ad andare avanti. Volontari offrono acqua ai pellegrini, molti dei quali abbastanza previdenti da ripararsi con ombrellini dal sole e dai 40 gradi. Ma già nel primo giorno di sabato erano morti per il caldo 53 vecchi pellegrini indiani (il cui contingente amonta a 120.000 fedeli). Per ridurre l'intasamento, dall'anno prossimo il governo di Ryad vieterà ai fedeli di ripetere il pellegrinaggio alla Mecca in un lasso inferiore al quinquennio, riferisce l'agenzia di stampa saudita Spa. Il hagi va dall'8 al 13 del mese Dhul-Hijjah, quando l'Islam ricorda il sacrificio di Abramo. Nel Corano Allah dice ad Abramo: "Purifica la Mia Casa per quei che l'aggirano pii, per i ritti in preghiera, per chi s'inchina e si prostra! E leva fra gli uomini voce d'invito al pellegrinaggio, sì che vengano a te a piedi, e su cammelli slanciati, che vengano a te da ogni valico fondo tra i monti". Per quanto nel corso dei secoli molti europei si siano travestiti per riuscire a vedere la Kaaba, per chi non è musulmano è impossibile afferrare il valore del hagi nel forgiare l'Islam. "Né la presenza di Lourdes in Francia, né quella di Fatima in Portogallo hanno reso necessaria l'istituzione di un ministero del Pellegrinaggio, ministero che invece troviamo nell'Arabia saudita e che è fra i più importanti e potenti di quello stato" (Manfred Kropp), anche se - a dire il vero - a Roma non sarebbe stato inopportuno un assessorato al Giubileo. Per quanto diffuso infatti, tra i cristiani il pellegrinaggio è un atto facoltativo, una benemerenza in più per il fedele. Nell'Islam invece il Hagi è uno dei cinque pilastri (rukn) della fede, dovere, almeno una volta nella vita, di ogni musulmano cui la salute e i mezzi lo permettano, tanto che una tradizione attribuisce al Profeta il detto: "Chi muore senza aver compiuto il hagi, muoia come un ebreo o un cristiano". Sono incolpevoli minorenni, dementi e schiavi. L'obbligo riguarda anche le donne, ma a patto di essere accompagnate dal marito o da un membro della famiglia che non può sposare a causa dei legami di sangue. "A rigore il marito è tenuto a darle la possibilità di compiere almeno una volta nella vita il pellegrinaggio; ma chiunque conosca un po' la realtà dell'Oriente comprenderà subito che queste disposizioni restano per lo più lettera morta, perché ben di rado una donna è in grado di costringere suo marito a fornirle i mezzi necessari", scriveva nel 1880 l'islamista olandese Christian Snouck Hurgronje ne Il pellegrinaggio alla Mecca (Einaudi, 1989): ma da allora la situazione non è cambiata. Nell'Islam primitivo, La Mecca era alla portata di tutti, dei "piedi" e dei "cammelli slanciati"; era un grande bazar e "i pellegrini si finanziavano il viaggio recandovi mercanzie e scambiandole con altre che si portavano indietro" (Ira Lapidus). Ma quando l'Islam si diffuse per tutto il Maghreb e poi fino in Cina e in India e in Indonesia e nelle Filippine e nell'Africa australe, il hagi divenne troppo oneroso, troppo arduo per il comune fedele. E il titolo El Hagi, di cui era insignito chiunque avesse compiuto il pellegrinaggio, divenne onorifico, come dire "il santo". Ma mentre diventava più elitario, il hagi si faceva sempre più necessario per mantenere coesa l'unità islamica, poiché la lingua originaria del Corano, un arabo arcaico e intraducibile, diventava sempre più incomprensibile per i fedeli sparsi per il mondo. Non è un caso se quest'anno, tra i capi di stato musulmani che compiono il pellegrinaggio alla Mecca, non ce n'è nessuno che venga dall'islam arabo. Ecco il generale Pervez Musharraf dal Pakistan, il primo ministro del Bangladesh Sheik Hasina Wajed, il presidente indonesiano Abdurrahman Wahid e il suo omologo sudanese Omar al-Beshire. L'antropologo Victor Turner ha scritto pagine magistrali per descrivere il ruolo del pellegrinaggio nel plasmare le comunità dei credenti. Ma in un Islam ormai "globale" questo ruolo non sarebbe stato praticabile senza la rivoluzione industriale dei trasporti. Fu grazie alle navi a vapore (oggi gli aerei) che il hagi divenne un'"epopea mondiale", come scrive un depliant saudita. Fu grazie ai vaporetti che i musulmani nigeriani riportarono dalle Mecca le idee dei riformatori e diffusero l'influenza dei sufi. In uno dei più grandi romanzi coloniali europei, fu proprio sul "Patna", una nave carica di pellegrini asiatici diretti alla Mecca, che conobbe la sua vergogna un giovane secondo ufficiale a cui più tardi indigeni isolani avrebbero affibbiato il nome di "Lord Jim", che è il titolo dl capolavoro di Joseph Conrad. Oggi leggiamo dei massacri di religione in Indonesia tra musulmani e cristiani. Ma senza i vaporetti che permisero a tutta la classe dirigente giavanese di formarsi alla Mecca, l'islamismo indonesiano sarebbe rimasto ben più annacquato: "Nonostante il suo sincretismo, l'Indonesia ebbe più pellegrini alla Mecca di qualunque altro Stato musulmano d'oltremare" (Gustave von Gruenenbaum). Nel suo ultimo viaggio a Giakarta, lo scrittore V. S. Naipaul incontrò l'allora leader di un'associazione islamica moderata, Wahid. Oggi, qualche anno dopo quell'incontro, Wahid è il presidente della repubblica indonesiana, il quarto paese più popoloso del mondo. Wahid raccontava a Naipaul: "Era l'inizio della navigazione a vapore per il Medio Oriente. Era importante per il Hagi: divenne più facile. Fece anche emergere nuovi ricchi coltivatori musulmani: questa classe di nuovi ricchi poté mandare i propri figli a studiare alla Mecca. Era una coincidenza, ma spesso la storia è plasmata da sviluppi non collegati. Così il mio bisnonno poté mandare mio nonno a studiare alla Mecca alla fine del secolo scorso. Mio nonno arrivò alla Mecca nel 1890 a 21 anni, e ci restò 5-6 anni. Non stupisce allora che le autorità olandesi cercassero di ostacolare questi viaggi, con l'inattesa conseguenza di favorire lo sviluppo di Singapore che divenne il centro di smistamento per i pellegrini di tutto l'Oriente. L'alibi degli olandesi era la lotta al contagio. La diffusione mondiale del colera nell'800 fu dovuta infatti al combinato composto delle navi a vapore e dei pellegrinaggi: con i vaporetti il viaggio durava talmente poco che la malattia non aveva il tempo di completare il suo decorso (lasciare cioè solo morti o guariti). "Il colera si stabilì alla Mecca nel 1831, nel periodo in cui i musulmani vi si recavano in pellegrinaggio... Da allora fino al 1912, quando il colera scoppiò per l'ultima volta alla Mecca e a Medina, le epidemie accompagnarono costantemente i pellegrinaggi musulmani, comparendo non meno di 40 volte tra il 1831 e il 1912 (William McNeil in La peste nella storia, Einaudi). Hegel morì di colera a Berlino nel 1831: sarebbe una nemesi storica se il filosofo dello "spirito del mondo" fosse perito per un omaggio ad Allah! In realtà il hagi non fa niente di più e niente di meno che qualunque grande migrazione umana. Diffonde virus, costumi, codici genetici. Porta con sé colera, ma anche idee sovversive. Perciò i sauditi hanno sempre avuto un atteggiamento misto verso il pellegrinaggio: fieri del loro monopolio, ma sospettosi verso i "contagi" intellettuali ed esosi con i pellegrini come i veneziani verso i saccopelisti. Ancora tremano i sauditi per il grande attacco alla Kaaba del 20 novembre 1979, quando più di mille fondamentalisti occuparono il massimo luogo sacro della Mecca e vi si trincerarono: "L'accaduto gettò i dottori della legge in una profonda crisi" scrive Reinhard Schulze (Il mondo islamico nel XX secolo, Feltrinelli). Fra l'83 e l'89 i khomeinisti provocarono nuovi scontri, nell'87 con più di un centinaio di morti. Navi, aerei, videocassestte, siti Internet: senza il grande apparato tecnologico sarebbe impossibile il pellegrinaggio alla Mecca, che ogni anno infonde nuova vita nell'Islam. Ma se si scrutano i particolari, questa tecnologia adempie riti primordiali, e l'antico si mischia indistricabile al moderno: a pochi passi dalla Pietra nera, dalla Kaaba, sorge un fast-food della catena Kfc (Kentucky Fried Chicken): e però per tre notti, nella piana di Mina, i pellegrini devono dormire in tende (separate di uomini e donne, anche per i coniugi). Alla dogana viene requisito qualunque profumo o sapone profumato. Uno dei momenti forti del hagi è il lancio delle pietruzze contro un cumulo che si trova a Mina (e le pietre devono essere così piccole da essere tenute tra pollice e indice): tre anni fa, nella calca 118 persone morirono schiacciate, ieri la tragedia si è ripetuta. Pietruzze saranno lanciate contro altri due cumuli di Mina anche l'11-esimo giorno, detto "delle teste" e il 12-esimo, detto "il giorno delle cosce" (dalle parti degli animali sacrificati che si mangiano in quei giorni). E naturalmente c'è il momento più noto: i sette giri intorno alla Kaaba, cerimonia chiamata Tawaf. Infine il rituale più discusso: durante il pellegrinaggio, deve essere sì immolato un animale, pecora di solito (ma una vacca - o un cammello - può valere per sette pellegrini). Però esofago, trachea e carotidi devono essere resecati insieme invocando il nome di Allah, lasciando defluire tutto il sangue (questo modo di macellazione rituale vige anche presso gli ebrei). Poiché nello stesso giorno, il sacrificio avviene non solo alla Mecca, ma in tutto il mondo islamico dalle Filippine all'America latina, questa prescrizione rituale nell'uccisione dell'agnello ha suscitato le ire degli animalisti e i fulmini dei commentatori. A parte il fatto che a Pasqua i cattolici italiani macellano milioni di agnelli, andrebbe ricordato che in Germania, il primo provvedimento preso dai nazisti contro gli ebrei fu adottato per proteggere gli animali, contro "la barbarie della macellazione kosher". Si sa come andò a finire.