I perché dell'incostituzionalità
I giuristi commentano la pronuncia milanese, le gabbie continuano a funzionare
ASSUNTA SARLO - MILANO
da "Il Manifesto" 04 Novembre

Via Corelli non si ferma. Almeno per ora. Lo ha ribadito ieri il prefetto di Milano sostenendo che, in attesa del pronunciamento della Corte Costituzionale sull'eccezione sollevata dalla giudice Rita Errico, si continuerà ad applicare la legge e non cesserà l'accompagnamento degli stranieri (ieri peraltro convalidato per 9 persone da un altro magistrato milanese) alla nuova struttura di via Corelli, come alle altre sparse in Italia. Eppure. Se la pronuncia della giudice milanese è diventata subito oggetto contundente di campagna elettorale, importanti sono anche gli aspetti giuridici della decisione che è la prima di questo genere. Diversamente da altre eccezioni sui centri di detenzione, questa concentra l'attenzione sull'accompagnamento coattivo alla frontiera come presupposto del trattenimento nei centri di detenzione. E' questo atto, secondo la giudice, a contraddire la disposizione costituzionale che, all'articolo 13, prevede che qualsiasi limitazione della libertà personale debba essere soggetta a una decisione dell'autorità giudiziaria. L'esempio concreto è presto detto: il giudice è chiamato a convalidare entro 48 ore il trattenimento dello straniero da espellere (entro 20 giorni più 10 di proroga, dice la legge), ma nel caso in cui, per avventura, un aereo fosse immediatamente pronto a rimpatriarlo egli verrebbe espulso senza alcun giudizio di legittimità. Ancora: nel caso in cui il giudice non convalidasse il fermo, allo straniero non per questo verrebbe revocato il provvedimento di accompagnamento alla frontiera. In una parola si tratterebbe di disparità di trattamento, laddove - ricorda la giudice - "la Corte Costituzionale ha in più occasioni affermato che, con riferimento alla libertà personale il principio di eguaglianza non tollera discriminazioni tra la posizione di cittadino e quella dello straniero". "Nessun dubbio, la questione è fondata. Sin dal 1956 la Corte Costituzionale (e quella pronuncia è richiamata da Errico, ndr) definisce necessaria la pronuncia del giudice, la cosiddetta riserva di giurisdizione" osserva Vittorio Angiolini, ordinario di diritto costituzionale a Milano. Che sottolinea immediatamente un pericolo: "Se ammettiamo questa ipotesi per uno straniero, dovremmo ammetterla anche per un italiano e ciò sarebbe di gravità inaudita". Tra i commenti alla pronuncia, si annovera anche la posizione di Livia Turco che sostiene che in questo modo si spiana la strada alla previsione dell'immigrazione clandestina come reato. Ma, a dire il vero e detto che ognuno fa il suo mestiere, più di un dubbio è lecito sull'efficacia dei centri di detenzione ai fini delle espulsioni. Lo scorso anno - ricorda il magistrato Livio Pepino in un articolo su Diritto, immigrazione e cittadinanza - 3897 sono stati gli espulsi, 6773 i dimessi. Ciò significa che solo il 37% di quelli che sono finiti nei centri di detenzione hanno lasciato il paese. "Non c'è nessun legame logico tra il richiedere l'intervento del giudice, ovvero un meccanismo di garanzia effettivo, e il prevedere l'immigrazione clandestina come reato", commenta ancora Angiolini. "Si tratta di limitare il potere della polizia e bisogna ricordare che spesso il ricorso contro l'epulsione è di fatto un rito che si consuma in danno di persone che non vengono realmente difese o che sono già state espulse". Tocca ora alla Corte e non è incredibile pensare che una materia così calda verrà esaminata in tempi non lunghissimi. I supremi giudici hanno molte strade davanti: il rigetto dell'eccezione; una sentenza che dia un'interpretazione in chiave costituzionale della norma; una pronuncia che dichiari fondata l'eccezione ma non rilevante nel caso specifico; e l'unica, l'accoglimento, che potrebbe aprire un vuoto legislativo. In quel caso - e mentre alla pronuncia della giudice Errico potrebbero seguirne altre di simile tenore - la palla sarebbe di nuovo in mano alla politica.