Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati

SECONDO RAPPORTO SULL'INTEGRAZIONE DEGLI IMMIGRATI IN ITALIA

 

TERZA PARTE

APPROFONDIMENTI

 

CAPITOLO 3.6

 

LA TRATTA DI ESSERI UMANI. ESPERIENZA ITALIANA E STRUMENTI INTERNAZIONALI

 

1. La tratta di donne in Italia

 

1.1 L'articolo 18 della legge sull'immigrazione

Mentre il Ddl Finocchiaro sulla definizione del reato di traffico come riduzione in schiavitù (1) non ha ancora concluso l'iter parlamentare, anche a causa di sottovalutazioni politiche del fenomeno pubblicamente lamentate dalla stessa relatrice, in uno spot televisivo, lanciato a settembre dal governo italiano per aiutare le vittime di tratta, l'ultima immagine è quella di una giovane che fa la spesa in un mercato. Si tratta di una donna dell'Europa orientale non diversa da milioni di altre. Lo spot vuole dimostrare la possibilità di fuga dalle mani dei trafficanti e come sia possibile ricominciare a vivere «normalmente», dopo essere state costrette alla prostituzione. In effetti, questo è quanto sta avvenendo per centinaia di donne straniere, grazie all'articolo 18 della legge sull'immigrazione, (2) precisato e migliorato nel Regolamento attuativo. (3) L'articolo 27 di detto Regolamento (4) prevede che si possa ottenere un permesso di soggiorno temporaneo rinnovabile sia per collaborazione con la magistratura sia senza denuncia purché venga intrapreso un percorso di protezione sociale per sottrarsi ai trafficanti. La configurazione alternativa dei percorsi comporta lo snellimento e l'accelerazione delle procedure di concessione del permesso, ma per le donne rappresenta soprattutto la possibilità di essere inserite in un programma senza l'obbligo della denuncia. Questa innovazione costituisce un'azione di sostegno, crea un rapporto di fiducia non solo con le associazioni ma anche con le istituzioni e diventa un incentivo per la collaborazione giudiziaria successiva. Questa norma originale e innovativa [Rosi 1999], ma che è stata una delle più controverse e dibattute della nuova legge, sta dando i suoi frutti poiché ha permesso di attivare un insieme di «azioni di sistema»: (5) il citato spot televisivo fa parte di una campagna di sensibilizzazione che si articola anche nell'affissione di manifesti sulle strade della prostituzione, locandine, adesivi in dieci diverse lingue, messaggi radiofonici. Il numero verde nazionale è articolato in una postazione centrale e 14 postazioni locali di livello regionale o interregionale collegati a loro volta con 49 progetti di protezione sociale, gestiti da enti locali e associazioni con il compito di aiutare le donne vittime dei trafficanti ad uscire dalla situazione della prostituzione coatta.

In Italia, il 2000 è stato un anno caratterizzato dal lavoro sistematico delle amministrazioni centrali, degli enti locali, delle associazioni e realtà del volontariato, con una sinergia già molto interessante di per sé, per costruire situazioni di aiuto e integrazione per donne vittime di tratta. Basta scorrere la cronologia alla fine del capitolo per rendersene conto. Occorre segnalare in particolare il lavoro svolto dalla «Commissione interministeriale per l'attuazione dell'articolo 18». Quello che lo schema non ci restituisce è la problematicità estrema di questo target di immigrate e l'insieme delle attività svolte per risolvere casi concreti di donne, ognuna con una sua peculiare personalità, storia e difficoltà. Ma in questo lavoro vanno anche valutati i rapporti istituzionali o della rete di aiuto attivati, il consistente lavoro formativo e di aggiornamento compiuto in ogni singola realtà verso operatori sociali e di forze dell'ordine a cui hanno dato un contributo decisivo, insieme ad altre centinaia di operatori e volontari, anche mediatori e mediatrici culturali immigrati che stanno lavorando sulle unità di strada, nel numero verde, nei progetti di accoglienza locale, nelle case rifugio e nelle case di fuga. Servizi nuovi con modalità operative originali, organizzati per dare risposte adeguate alle donne immigrate trafficate, dall'accoglienza all'inserimento lavorativo. Già la raccolta e la definizione di strumenti di codificazione di questo lavoro si stanno dimostrando non facili. Non va dimenticata la particolare delicatezza di un target che deve sfuggire a elementi e organizzazioni criminali e che pone continuamente problemi di sicurezza e di protezione. L'altro elemento che allo stato attuale va sottolineato è il rapporto non sempre facile che i responsabili dei progetti hanno instaurato con le questure per ottenere i permessi di soggiomo come prescrive la legge. I funzionari devono contemporaneamente valutare la congruità della domanda da parte di chi chiede un permesso di protezione sociale e prendere atto di una «notitia criminis» da comunicare all'autorità giudiziaria. E' chiaro che la richiesta di non limitarsi ad un atteggiamento repressivo o burocratico di fronte alla mancata denuncia delle donne, che dichiarano di essere in condizioni di pericolo, è per loro una sfida culturale perché devono valutare la credibilità e l'affidabilità delle donne stesse, più sugli elementi forniti dai responsabili dei progetti che presentano la richiesta di permesso di soggiorno, che su indagini sistematiche. Si tratta di un rapporto molto delicato che continua ad essere, almeno in certe realtà, problematico e rischia di vanificare la richiesta di aiuto nonostante i passi avanti compiuti in questo anno per l'impegno dei ministri interessati e dello stesso capo della polizia. La richiesta avanzata dalla Commissione per l'attuazione dell'articolo 18 di nominare per ogni questura un referente unico è stata accettata e 80 questure hanno già previsto questa figura, ma la situazione rimane ancora condizionata dalla formazione ricevuta dai responsabili e dall'interpretazione della legge, oltre che dalla autorevolezza delle associazioni o dalla maggiore o minor pressione che il contesto cittadino subisce dalla prostituzione di strada. Tuttavia non si può non rilevare che sempre più numerose sono le segnalazioni di ragazze che chiamano il Numero Verde nazionale o si rivolgono ai progetti su indicazioni delle forze dell'ordine e cresce la collaborazione di molti dirigenti, mentre sui punti più difficili si affina la capacità contrattuale degli uffici legali delle associazioni impegnate.

L'Italia è l'unico paese in Europa e forse nel mondo ad aver varato una legislazione che punta a distinguere nettamente la responsabilità dei trafficanti da quella delle vittime e ad aver sancito nella legge sull'immigrazione l'impegno a proteggere e integrare le donne costrette alla prostituzione, ma in senso lato tutti gli stranieri vittime di traffico, prevedendo permessi di soggiorno e percorsi di protezione sociale finanziati dallo stato. Una legislazione all'avanguardia cui stanno guardando con molto interesse altri paesi e che nasce dall'incontro e dal confronto tra istituzioni centrali, in particolare i Dipartimenti delle Pari Opportunità e degli Affari Sociali e le associazioni di volontariato già impegnate a dare aiuto alle donne iminigrate o a cercare di ridurre danni della prostituzione di strada. Su questa base si è formata un'ipotesi di lavoro articolata sulla costruzione di strumenti per la conoscenza del fenomeno sia quantitativa che qualitativa, la sua definizione, la valutazione dell'adeguatezza della legislazione italiana e internazionale e le politiche di protezione sociale.

Oggi nel nostro paese sui progetti di protezione sociale lavorano centinaia di persone per dare aiuto e sostegno alle donne vittime di tratta e la rete di solidarietà è presente in tutte le regioni e nelle principali città, soprattutto dove la prostituzione coatta è particolarmente consistente e impegna attivamente nel contrasto dei trafficanti le forze dell'ordine e la magistratura.

 

1.2. Che cos'è la tratta di esseri umani

In Italia, come in altri paesi d'Europa, la tratta o traffico di esseri umani a fine di sfruttamento sessuale riguarda principalmente donne e minori, soprattutto ragazze, e può condurre, con metodi violenti, ad una situazione simile alla riduzione in schiavitù. Non va dimenticato che in Italia, come in altri paesi, le persone trafficate sono destinate, oltre che alla prostituzione, anche al lavoro forzato e alla schiavitù domestica, pur se ancora statisticamente poco rilevanti, casi del genere cominciano ad apparire in diverse aree del paese, come dimostrano le richieste di aiuto arrivate alle associazioni e alle forze dell'ordine.

Il termine internazionale «trafficking» [Cespi 2000] non definisce compiutamente il fenomeno che vuole nominare, anche se comprensivo sia del trasporto di soggetti da un paese ad un altro in modo illegittimo, sia della riduzione di persone a merci e al loro commercio illegale e violento. Infatti il lavoro in atto, attraverso i racconti delle donne, dimostra che esse possono essere ridotte in schiavitù con la violenza e l'inganno anche quando arrivano legalmente, ad esempio, vengono loro sequestrati i documenti. Né si può tacere di situazioni in cui i trafficanti costruiscono un legame di fiducia con le donne, grazie alla proposta di passaggio illegale alle frontiere per rispondere ad esigenze migratorie che si scontrano con problemi burocratici ed economici. Solo successivamente esercitano su di loro violenze feroci per costringerle alla prostituzione. La consapevolezza e il consenso anche parziale delle donne al traffico hanno un peso nella decisione di non concedere il permesso di soggiorno: infatti molte questure continuano a dare un'interpretazione

rigida dell'art. 18 e delle condizioni di pericolo delle donne trafficate. In più occasioni gli operatori sociali si sono trovati davanti al paradosso di poter più facilmente aiutare chi è entrata illegalmente nel nostro paese, che donne arrivate legalmente e poi private dei documenti e ridotte in schiavitù.

Un altro punto dolente riguarda la mancanza di certezze sui tempi del rilascio dei permesso richiesto. Non esistono prescrizioni di tempi certi per la risposta del questore e questo rende più difficile o impedisce l'avvio del programma di formazione e di inserimento lavorativo previsto dai progetti. Infatti chi si presta a organizzare borse lavoro, tirocini e inserimento lavorativo per queste ragazze ancora senza i documenti in regola, si trova in condizione di illegalità. Vale la pena di sottolineare inoltre che spesso i progetti di protezione sociale hanno grandi difficoltà ad aiutare donne trafficate, che hanno denunciato le organizzazioni criminali o i loro aguzzini e ottenuto un permesso di soggiorno per collaborazione giudiziaria, perché alla scadenza esse si trovano con un decreto di espulsione e senza alcuna protezione, pur avendo nel frattempo trovato un lavoro regolare.

Sulla base di questa esperienza non si può non raccomandare alle istituzioni preposte di valutare la necessità di dare indicazioni più chiare per la trasformazione del permesso di soggiorno temporaneo per protezione sociale e per collaborazione giudiziaria in permesso regolare, fatte salve le altre condizioni previste dalla legge. Questo si deve fare anche per impedire il loro ritorno nelle mani dei trafficanti, vanificando così il lavoro svolto.

La rilevazione del fenomeno delle donne trafficate si sta rivelando come una questione molto importante per la definizione del reato, ma anche per le azioni di sostegno sociale delle vittime.

Secondo la raccomandazione n. 11 del Consiglio d'Europa, adottata il 19 maggio del 2000 dal Consiglio dei Ministri, il traffico è definito come «il reclutamento da parte di diverse persone fisiche o morali e/o l'organizzazione dello sfruttamento e del trasporto o della migrazione ‑ legale o illegale ‑ di persone anche consenzienti, in vista del loro sfruttamento sessuale, eventualmente sulla base di una qualunque forma di paura ‑ e in particolare la violenza o le minacce, l'abuso di fiducia, l'abuso d'autorità o l'abuso di una situazione di vulnerabilità».

Nella Conferenza ministeriale di L'Aja del 26 aprile 1997 che si è conclusa, anche grazie al contributo della delegazione del governo italiano, con l'emanazione di «Linee guida europee per misure efficaci di prevenzione e lotta contro la tratta delle donne a scopo di sfruttamento sessuale», per tratta «s'intende ogni comportamento che faciliti l'ingresso legale o illegale di donne nel territorio di un paese, nonché il loro transito, soggiorno o uscita dallo stesso, allo scopo di sfruttamento sessuale a fini di lucro, tramite coercizione, in particolare violenza o minacce, o inganno, abuso d'autorità, o altra forma di pressione tale per cui alla persona interessata non sia data altra scelta accettabile o reale se non quella di subire la pressione o l'abuso in questione».

Nella discussione di L'Aja si evidenziò la differenza tra prostituzione coatta e prostituzione «autogovernata» e la stretta connessione che nella tratta esiste tra migrazione legale o illegale, la violenza e l'inganno e la costrizione all'esercizio della prostituzione in situazione di grande pericolo per la donna. Anche su questa base, l'Italia ha elaborato una propria strategia di contrasto ai trafficanti e di aiuto alle vittime più adeguata, contestando una visione del fenomeno solo penalistica e repressiva per far valere anche il punto di vista delle vittime e il loro interesse, costruendo una convenienza più forte della paura e del terrore che incutono i trafficanti.

Questo fenomeno, che desta grande allarme sociale nella nostra società, come in tutto l'occidente per i caratteri con cui si presenta, è considerato spesso un effetto dell'immigrazione extracomunitaria attuale, mentre è in realtà un fenomeno antico presente oggi tra noi con caratteri uguali e rovesciati, rispetto ai soggetti e ai paesi interessati fin dall'inizio del XX secolo, anche se pochi si interrogano sulla persistenza di una realtà apparentemente così arcaica.

Per arginare la «tratta delle bianche» che all'inizio del '900 era organizzata verso l'Africa e l'America si tennero a Parigi nel 1902 e nel 1910 due Conferenze inter­nazionali.

La Convenzione per la repressione della tratta e dello sfruttamento della prostituzione altrui, firmata a New York nel 1949, sostituisce le disposizioni di precedenti convenzioni internazionali e informa di sé le leggi che i vari paesi adotteranno negli anni successivi, compresa in Italia la cosiddetta «legge Merlin» contro lo sfruttamento della prostituzione altrui. Questa legge, non a caso, ha tra i reati previsti quello di tratta anche se con una concezione datata e non adeguata a (6) fronteggiare il fenomeno moderno

Oggi, nell'era della globalizzazione e di feroci diseguaglianze tra Nord e Sud del pianeta e tra paesi dell'Est e dell'Ovest europeo, il traffico di esseri umani si muove dalle regioni più sfavorite verso quelle più prospere che focalizzano i loro epicentri nell'Europa occidentale e negli Stati Uniti con poche altre destinazioni. L'Italia è insieme un paese di transito e di arrivo dove particolarmente rilevante è la richiesta dei clienti del mercato del sesso pronto.

Sono traffici gestiti da grandi organizzazioni come da piccola criminalità, e inizialmente anche da singoli balordi, con caratteristiche di particolare ferocia e con l'obiettivo di reinvestire i proventi di questa attività sia sulla prostituzione in genere, sia sul commercio della droga, delle armi e sul contrabbando. Le organizzazioni sono collegate tra di loro con specifiche funzioni nei paesi di partenza, di transito e di arrivo e stringono alleanze con la criminalità locale, arrivando come nel caso italiano persino al pagamento di un «pedaggio».

Le donne e le ragazze, costrette alla prostituzione in Italia sono visibili nelle strade delle città, delle consolari, sui lungomare dell'Adriatico e del Tirreno, sono strade diventate tristemente famose per la presenza di nigeriane, albanesi, rumene, moldave, ucraine, bielorusse, macedoni, ungheresi e ultimamente del sud-est asiatico, in particolare cinesi. La mappa che si può comporre con queste strade ci parla anche dei luoghi della prostituzione all'aperto in cui la prevalenza di ragazze straniere immigrate, spesso clandestine, comprende e nasconde il fenomeno della tratta nel (7)

nostro paese, mimetizzandola . All'apparenza niente distingue una prostituta qualunque da una donna trafficata. Infatti, trattandosi di un commercio gestito da organizzazioni criminali che puntano alla massimizzazione del profitto e che hanno pochissima considerazione della merce umana che gestiscono se non per il profitto immediato che ne ricavano, queste utilizzano la prostituzione di strada, dove non sono necessari altri investimenti e si corrono pochi rischi, mentre la richiesta dei clienti è sempre molto attiva. In questo modo le organizzazioni criminali puntano sulla possibilità di recuperare e centuplicare subito le spese iniziali fornite alle ragazze sotto forma di prestito o per le spese di viaggio. Inoltre, dopo un primo periodo, le ragazze possono essere vendute ad altri trafficanti aprendo un nuovo capitolo di sfruttamento.

Le ragioni per cui le ragazze sono così facilmente «arruolabili», i luoghi da cui provengono, i passaggi o varchi italiani e stranieri per cui transitano sono abbastanza conosciuti.

Le modalità di reclutamento possono essere riassunte nel modo seguente: le straniere (spesso denominate nuove schiave con un termine efficace ma che andrebbe più problematizzato) sono donne trafficate e costrette alla prostituzione, donne e ragazze che subiscono violenza e coercizione in almeno una delle fasi del percorso con cui arrivano dal loro paese fino all'Italia, non sono libere si prendere decisioni autonome e la disubbidienza viene duramente punita dai trafficanti o dai loro guardiani: arriva fino all'omicidio.

Nel traffico si possono distinguere tre fasi: la prima riguarda lo sradicamento dal paese di provenienza. Le donne possono arrivare nelle mani delle organizzazioni criminali, raggirate con l'illusione di altri lavori, di un matrimonio conveniente, in relazione alla restituzione di un prestito, minacciate di violenza verso i propri familiari, ma persino vendute dalla famiglia o raggirate con l'illusione di superare più facilmente gli ostacoli che si oppongono ai loro progetti migratori, spesso non solo economici ma anche burocratici.

La seconda fase riguarda le modalità di trasferimento. Avviene via mare o via terra; talvolta la vittima è sottoposta a minaccia, talvolta è consenziente perché è stata ingannata. In ogni caso è sottoposta a violenza fisica e a stupro all'arrivo in Italia.

La terza fase è relativa allo scopo finale. Le donne trafficate sono utilizzate in prestazioni di alto profitto come la prostituzione, il lavoro forzato e la schiavitù domestica. La mercificazione dei corpi è affare estremamente lucroso e le ragazze sono una merce di valore. Per questa ragione lo spostamento delle ragazze è organizzato in piccoli gruppi e soprattutto per le rotte di terra più sicure di quelle marittime.

 

1.3. La situazione italiana

Rispetto al contesto internazionale l'Italia si è accorta in ritardo di quanto stava avvenendo, anche se negli ultimi anni ha recuperato una particolare attenzione e capacità di affrontare il problema. (8) Infatti, il fenomeno delle ragazze trafficate risale al 1987 quando di fronte all'allarme Aids le ragazze italiane tossicodipendenti non furono più considerate oggetti sessuali appetibili anche per le campagne che erano state avviate sui mass media. Crollò il mercato della prostituzione e chi lo controllava capì che era arrivato il momento di offrire qualcosa di diverso. Iniziarono così ad apparire sulle strade, prevalentemente del centro nord, le prime ragazze nigeriane, spesso molto giovani per rispondere al pregiudizio che la giovinezza rendesse impossibile il contagio Hiv. Erano reclutate con l'inganno di un prestito restituibile in pochi anni e con la promessa di riuscire a fare un lavoro che avrebbe loro permesso di risarcire il prestito ottenuto in poco tempo, di mandare i soldi alla famiglia e di riuscire a risparmiare tanto per tornare a casa ed aprire un esercizio commerciale, organizzare un lavoro autonomo. Il tutto era garantito da riti woodu, che però si rivelavano ben presto un condizionamento potente per tenere incatenate le ragazze, mentre le controparti si manifestavano non solo come veri e propri usurai nelle modalità con cui gestivano il debito iniziale, ma anche violenti e vessatori per ogni minima disubbidienza delle ragazze che si trovavano a vivere e a lavorare sulla strada in condizioni sempre più violente e coercitive, controllate da figure femminili dette «maman».

Le nigeriane, primo segmento della prostituzione coatta ad apparire sulle nostre strade in particolari situazioni metropolitane, continuano ad essere una realtà consistente. Sono presenti su quasi tutto il territorio nazionale e concorrenziali ad altre donne prostituite. Ta queste il nucleo più consistente è costituito dalle albanesi che rappresentano il segmento più significativo delle varie nazionalità e che, soprattutto dall'Est, sono in crescita costante, come dimostrano i dati giudiziari, anche se parziali, forniti dall'Antimafia. Se rimpatriate come prostitute, le nigeriane devono affrontare nel loro paese una situazione durissima, che prevede anche il carcere, pene pecuniarie per la famiglia, il dileggio pubblico e l'ostracismo dal proprio villaggio. Situazione che le porta a sopportare di tutto pur di non tornare a casa con questo stigma e che rafforza il potere dei trafficanti.

Per quanto riguarda le albanesi la situazione, in caso di decreto di espulsione, non è molto più rosea per l'esclusione sociale che si produrrà nei loro confronti e per l'emarginazione prodotta dalle loro stesse famiglie. Negli ultimi anni si sono moltiplicati i progetti di ritorno e reinserimento «accompagnato» ossia gestito da organismi internazionali e Ong italiane anche con fondi europei che preparano per loro situazioni meno marginalizzate e più accettabili. Indubbiamente la caduta del muro di Berlino ha rappresentato e continua a rappresentare per i trafficanti e i manager del mercato del sesso un'occasione irripetibile, la possibilità quasi senza limiti di offrire sul mercato, a clienti sempre più numerosi ed esigenti, innumerevoli giovani donne. Si tratta di ragazze quasi sempre molto belle in condizioni di gravissima difficoltà economica, spesso con concezioni svalorizzanti delle figure femminili alle spalle e abbacinate dal benessere e dalla libertà che l'occidente, Italia in primis, sembra offrire alle donne. Arrivano alla spicciolata da ogni parte dell'est, anche se la guerra in Bosnia e la crisi economica dell'Albania hanno i rappresentato subito il primo bacino privilegiato da cui attingere con l'inganno economico, la falsa promessa di un lavoro interessante o di un matrimonio conveniente e il raggiro sentimentale, ma non sono mancati in Albania i veri e propri rapimenti di minorenni, come poi succederà nel Kossovo. In Ucraina, Bielorussia, Moldavia e Romania, che sono i principali paesi delle nuove rotte dei trafficanti, viene sfruttato soprattutto il bisogno economico e i progetti migratori di eman­cipazione dalla povertà o il bisogno di dare sollievo o di fuggire dalla miseria familiare. L'età è più alta, anche se si tratta di donne sempre molto giovani (22‑28 anni), ad alta scolarità, abbastanza spesso sono già state sposate e madri di bambini piccoli affidati ai nonni. Sembrano donne più consapevoli del rischio di finire sul marciapiede, ma anche più convinte di poterlo evitare o di gestire l'entrata nella prostituzione in modo autonomo, illusione che in troppi casi si rivela vana.

Le caratteristiche salienti e violente del fenomeno, risultate inizialmente ab­bastanza chiare a chi lavorava sulla prostituzione di strada per la riduzione del danno sanitario o in programmi d'aiuto a donne immigrate, vengono continuamente riconfermate. Lo stretto nesso tra violenza e progetti migratori difficili da attuare e la costrizione alla prostituzione riemergono costantemente e continuano a persistere nonostante la mutevolezza del fenomeno. Anche per questo sui numeri della tratta c'è stata in questi anni una vera e propria guerra di cifre. Si è parlato di 20000‑30000 donne trafficate confondendo l'insieme delle donne straniere che si prostituiscono su strada con le donne trafficate. In realtà, la prostituzione di strada, che negli ultimi anni è cresciuta, contemporaneamente a quella nei locali e al chiuso, è indubbiamente segnata da una grande presenza di immigrate ed è altrettanto indubbio che una parte scelga l'esercizio della prostituzione come forma di emancipazione dalla povertà e come possibilità di rimesse verso le proprie famiglie. Si potrebbe parlare per queste donne della prostituzione come della via possibile verso il benessere. Questo in particolare è il caso delle donne latinoamericane, dei transessuali, ma anche di donne immigrate da diversi paesi dell'est europeo e dell'Africa. Un segmento importante di donne immigrate è inoltre sfruttato da soggetti vari, singoli o associati, e alle donne rimane solo una parte del guadagno. Ma in, questo caso siamo nella realtà classica dello sfruttamento della prostituzione altrui più che del traffico vero e proprio anche se non mancano zone grigie di confine.

I due segmenti delle prostitute «consenzienti» (che non sempre si identificano con quelle che scelgono liberamente) e delle donne sfruttate tradizionalmente rappresentano la parte maggioritaria della prostituzione straniera ed immigrata.

Secondo le stime degli osservatori più attenti, dei testimoni privilegiati e la ricerca compiuta da Parsec [Carchedi 2000, p. 136], le donne trafficate e ridotte in condizione di assoluta mancanza di libertà sono stimabili tra le 1800 e le 3000 donne all'interno di una realtà prostituzionale immigrata che si aggira intorno alle 25.000 persone, tra le quali ha comportato circa un terzo di prostituzione maschile, soprattutto transessuale. Quindi, il dato della tratta, particolarmente importante per programmare una politica di protezione per le vittime oltre che di contrasto ai trafficanti, è stimato da Parsec [Parsec 1998], in uno studio patrocinato dal Dipartimento delle pari opportunità e riconfermato sia da fonti giudiziarie che dai dati dei primi tre mesi del Numero verde nazionale, in circa un decimo del totale. La ricerca del Parsec non è stata ancora né smentita né superata metodologicamente da altre ricerche sulle donne della prostituzione coatta. Tuttavia il dato citato è considerato spesso inattendibile e minimalista, sia perché la percezione immediata sembra suggerire altro, sia perché si tiene in poca considerazione l'estrema mobilità a cui sono costrette le donne trafficate che vengono continuamente spostate da una città all'altra. In realtà, si tratta di cifre estremamente gravi se si considerano le vite reali coinvolte, i poteri criminali in atto, lo spaccato sociale e politico a cui rimandano, il giro economico che rappresentano. Dalle testimonianze dirette sappiamo che ogni donna deve guadagnare in una sera almeno un milione da consegnare ai suoi aguzzini e non «lavora» mai meno di sei giorni a settimana, anche in precarie condizioni di salute. Non si può non rimanere colpiti dal fatto che questo dato del rapporto Parsec nel dibattito pubblico è quasi sempre poco considerato mentre è prevalsa, per ragioni che varrebbe la pena indagare, da fronti assolutamente opposti in tema di immigrazione, una visione che puntava a massimizzare i numeri della tratta, confondendoli regolarmente con quelli della prostituzione straniera ed immigrata. Volontà di presentare l'immigrazione come realtà criminale nella forma più odiosa della prostituzione coatta e voglia di pensare alle donne straniere della prostituzione di strada come tutte trafficate e quindi vittime vulnerabili e innocenti a cui dare aiuto, chiudendo una buona volta il dibattito imbarazzante che donne emancipate possano «scegliere» la prostituzione. Da opposti fronti si sono espresse nostalgie mai sopite per le case chiuse da riaprire come antidoto allo scandalo della prostituzione di strada e per un più efficace controllo sanitario per immigrate come soggetti a rischio per i loro clienti da collocare in ambienti migliori e più protetti. Di contro ha preso sempre più consistenza l'altra idea di attaccare sul fronte della domanda e colpire finalmente i clienti come corresponsabili della prostituzione coatta e complici dei trafficanti, sia con forme dissuasive amministrative, come le multe secondo il codice della strada sia con sanzioni penali frutto di curiose interpretazioni della legge Merlin sullo sfruttamento. Si tratta di visioni del problema apparentemente molto distanti tra loro ma unite dalla incapacità di vedere come il fenomeno della tratta riveli la molteplicità delle «prostituzioni» esistenti e le differenti domande e offerte che nel mercato del sesso a pagamento avvengono sulle quali occorre intervenire con strumenti differenziati. La definizione e l'applicazione dell'art. 18 ha tentato di fare questo, affrontando in modo privilegiato il problema della tratta a fini di sfruttamento sessuale e cercando di assumere un'ottica di genere [Giammarinaro 2000, p. 93] oltre che criminale del fenomeno. I primi risultati sono incoraggianti anche se la problematicità del fenomeno, dei target interessati e le differenti visioni dei molteplici soggetti coinvolti non semplificano la situazione. Cosa per altro comprensibile, se si pensa all'ambiguità da cui sono connotate le donne della tratta, che assommano in sé, agli occhi dei più, quello di essere immigrate, molto spesso clandestine, di sembrare prostitute, di essere donne violentate e maltrattate. A lungo l'opinione pubblica italiana ha percepito come pericolosa quella parte di immigrazione maschile che si presentava con i caratteri dell'estraneità, della povertà visibile della strada e dell'insicurezza lavorativa, del possibile reclutamento da parte di organizzazioni criminali se non della loro già avvenuta connivenza. Le immigrate sono sembrate a lungo estranee a tutto ciò proprio per il loro inserimento in attività «femminili» tranquille come il lavoro domestico e di cura. La prostituzione di strada prima e la tratta successivamente hanno modificato il giudizio positivo nei loro confronti. L'azione di protezione sociale, che si affianca alla repressione, alle azioni preventive e di investigazione di cui ancora non conosciamo gli effetti sul medio periodo stanno cercando di dare risposte più adeguate alla realtà della situazione italiana, ma solo la verifica su tutto il territorio nazionale nel breve periodo ci potrà dire i reali passi avanti compiuti nel 2000.

 

2. La cooperazione internazionale nella prevenzione e nella lotta contro il traffico degli esseri umani

La dimensione internazionale della lotta al traffico degli esseri umani assume una particolare importanza poiché in essa possono essere individuate strategie nuove per il contrasto a quello che è orinai riconosciuto dalla comunità internazionale come un crimine contro l'umanità.

Il terzo protocollo della Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine internazionale, dedicato al traffico degli esseri umani, le iniziative adottate a livello comunitario a seguito del vertice straordinario di Tampere, l'attenzione che a questa tematica viene riservata in ambito Osce, sono alcuni degli ambiti nei quali il Governo ha in questo anno rivolto la propria attenzione per rafforzare gli strumenti di cooperazione internazionale contro questa moderna forma di schiavitù.

Si tratta di iniziative diverse tra loro, con una loro specifica valenza, in grado quindi di raggiungere obiettivi diversificati. Innanzitutto il Governo, ed in particolare il ministero degli Esteri, in stretto raccordo con quello dell'Interno, ha svolto un'azione incisiva per la realizzazione di una rete di accordi in materia di rianimissione e regolamentazione dei flussi, dei quali non sfuggono le ricadute sotto il profilo specifico della lotta al traffico di esseri umani, specie di donne e minori. E' evidente che a tale importante impegno se ne deve affiancare uno analogo, sul versante della cooperazione giudiziaria nonché su quello altrettanto importante dell'assistenza e della protezione delle vittime. Su questo duplice binario si muove l'azione delle Istituzioni.

Sul piano multilaterale, val la pena ricordare ‑ oltre alla menzionata Convenzione sul crimine organizzato ed all'annesso Protocollo dedicato al trafficking, discusso e firmato nella Conferenza di Palermo il 12 dicembre 2000 ‑ alcuni provvedimenti approvati nell'ultimo anno dalla Comunità internazionale per il rafforzamento della lotta alle attività illecite connesse allo sfruttamento di esseri umani, con particolare attenzione alle categorie più vulnerabili di donne e minori. Primo fra questi il Protocollo facoltativo alla Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo, dedicato alla vendita di esseri umani, pornografia e prostituzione infantile, finalizzato e firmato in occasione del Vertice del Millennio (New York 6‑7 settembre 2000), al termine di un lungo e complesso dibattito. Le delegazioni si sono lungamente confrontate sui problemi relativi alle definizioni, alla loro portata ed ampiezza, alle misure repressive da indicare per combattere e reprimere tali fenomeni, nonché sulle iniziative da realizzare per il recupero delle vittime ed il loro reinserimento sociale. Il Protocollo impegna gli Stati a mettere in atto misure ancora più incisive per la lotta alla prostituzione infantile e alla pedofilia, proteggendo le vittime anche dallo sfruttamento legato al diffondersi del «turismo sessuale» ed alle nuove tecnologie informatiche. Esso ha evidentemente punti di contatto con il provvedimento messo a punto a Vienna tenuto conto che, ai sensi dell'articolo 2, la «vendita del minore deve intendersi come ogni atto o transazione con cui un minore viene trasferito da una persona o da un gruppo di persone a un altro dietro compenso o ogni altra corresponsione» e comprende l'offerta, la consegna, l'accettazione di un minore a scopo di: sfruttamento sessuale, trasferimento di organi con profitto, utilizzo dei minori nel lavoro forzato e, ai sensi del successivo articolo 3.

Il linkage esistente tra gli aspetti più strettamente tecnico‑giudiziari e quelli della tutela dei diritti della vittima è certamente uno dei pilastri su cui è stato impiantato il Protocollo. La strategia vincente può essere soltanto quella di integrare le misure repressive con quelle «positive». La protezione della vittima, infatti, non soltanto risponde a precisi obblighi di tutela della persona umana, ma rappresenta una preziosa opportunità proprio sul versante giudiziario: proteggere la vittima significa anche stimolare in persone che hanno subito violazioni profonde la fiducia nelle istituzioni e quindi incoraggiarle a trasformarsi in testimoni per il buon esito delle investigazioni e dei processi. Trattandosi di minori, tali misure di protezione assumono un valore ancor più forte: il minore va protetto in tutte le fasi del procedimento, ne va riconosciuta la particolare vulnerabilità, devono essere adottate nei suoi confronti tutte le necessarie misure per assicurare la tutela dell'identità, anche dei familiari, la riservatezza delle informazioni che lo riguardano, evitandogli ogni inutile esposizione nonché ritardi nella trattazione dei casi che possa portargli nocumento.

Un altro importante «paletto» fissato dalla Comunità internazionale in tema di lotta allo sfruttamento degli esseri umani, con particolare attenzione ai minori, e che evidentemente tocca anche aspetti connessi alla tratta degli esseri umani, è la Con­venzione 182 sulla proibizione delle peggiori forme di lavoro minorile, siglata a Ginevra nel giugno 1999 dopo un lungo e approfondito negoziato in seno all'Oil. La Convenzione è entrata in vigore il 19 novembre di quest'anno ed è stata già ratificata prima di tutti dalle Isole Seychelles, cui sono succedute le ratifiche di altri membri dell'Oil, tra cui gli Stati Uniti, l'Irlanda, la Slovacchia, la Svizzera. In Italia è stata tempestivamente ratificata con la legge n. 148 del 25 maggio 2000. Il nostro Paese ha dato un importante contributo alla finalizzazione dell'atto internazionale e sostiene campagne di sensibilizzazione affinché la Convenzione venga ratificata al più presto dal maggior numero di Paesi possibile, ed in particolare da quelli in cui più frequente ed intollerabile è il ricorso allo sfruttamento del lavoro dei minori. La Convenzione si propone come concreto strumento per la realizzazione di azioni che favoriscano tempestivamente l'eliminazione immediata delle peggiori forme di lavoro minorile, nonché, attraverso specifici programmi miranti alla protezione, l'integrazione sociale e la formazione scolastica dei minori vittime degli aspetti più deleteri del fenomeno.

L'articolo 1 evidenzia il carattere di particolare urgenza con il quale il problema dello sfruttamento del lavoro minorile deve essere affrontato, quanto meno nelle sue forine peggiori. E tra le forme peggiori vi sono appunto «tutte le forme di schiavitù o pratiche analoghe; la vendita, la tratta, la servitù per debiti, l'asservimento, il lavoro forzato, compreso il coinvolgimento nei conflitti armati; l'impiego, ingaggio, offerta di minori a fini di prostituzione, produzione di materiale pornografico, o spettacoli pornografici».

Per queste gravi violazioni, i Governi devono immediatamente attivare le necessarie misure al fine di una rapida eliminazione: devono quindi adeguare le legislazioni nazionali affinché nei rispettivi ordinamenti le previsioni convenzionali siano riconosciute come crimini e siano quindi penalmente sanzionate; devono, inoltre, dotarsi di Piani d'Azione nazionale per rendere operativo l'obbligo di eliminazione delle forme peggiori di lavoro minorile, e devono poi garantire, per tutti i minori sottratti allo sfruttamento, l'esercizio dei diritti allo studio, alla salute, ed altri. per assicurare loro tutta l'assistenza necessaria in vista della riabilitazione e del reinserimento nel tessuto sociale e quindi uno sviluppo equilibrato ed armonioso. Come indicato all'articolo 8 l'intervento dei Governi deve essere integrato: l'azione deve essere preventiva, repressiva ma anche posi‑tiva, puntare cioè sull'educazione, sulla formazione e sul sostegno alle donne ed alle famiglie.

La comunitarizzazione delle politiche migratorie e della cooperazione giudiziaria, sancita con il Trattato di Amsterdam, dà alla cooperazione internazionale gli strumenti adeguati per incidere direttamente sugli ordinamenti nazionali o per favorire un loro adeguamento alle esigenze della lotta al traffico di esseri umani. L'impulso impresso dal vertice straordinario di Tampere dell'ottobre del 1999 ha portato alla presentazione, da parte della Presidenza UE, di proposte di direttive sulla definizione del favoreggiamento dell'ingresso, circolazione e soggiorno illegali e sul rafforzamento del quadro penale per la repressione del favoreggiamento, nell'ambito delle quali sono previste specifiche misure sul traffico di esseri umani. Tampere ha rappresentato infatti il primo decisivo impegno delle Istituzioni Europee ad attuare concretamente misure di lotta ad ogni forma di criminalità organizzata e transnazionale. In questo senso la tratta degli esseri umani, in particolare di donne e minori, la criminalità finanziaria (riciclaggio), il traffico di droga, la criminalità ambientale e tecnologica sono stati indicati quali aspetti prioritari verso i quali dovranno indirizzarsi gli sforzi comuni. Ai Partners è stato chiesto di sviluppare ulteriormente i programmi nazionali di prevenzione della criminalità anche sulla base di priorità comuni individuate a livello di politica europea. In tema di lotta ai fenomeni di immigrazione illegale gli impegni assunti nel corso del Vertice vanno nella direzione di un maggior coordinamento e di una più stretta collaborazione tra le Autorità di frontiera dei Paesi. Ma non soltanto: il Vertice ha segnato una svolta nel campo della cooperazione per reprimere i fenomeni di traffico ma ha rivolto una sensibile attenzione alle vittime sottolineando l'importanza di sviluppare la cooperazione con i paesi di origine e di transito, per favorire il rientro volontario delle vittime, nonché per stimolare lo sviluppo delle istituzioni locali competenti alla prevenzione dei fenomeni criminali di traffico illegale. Anche sul piano della cooperazione giudiziaria penale, Tampere ha indicato le strategie di contrasto dei fenomeni criminali: l'istituzione entro il 2001 di una unità giudiziaria (EUROJUST) con il compito di coordinare efficacemente i rapporti tra le Autorità nazionali di Giustizia, agevolare quindi i contatti e la cooperazione, ad esempio, per lo svolgimento delle rogatorie. Sul piano della cooperazione di polizia, inoltre, l'impegno è stato nel senso di dare ad Europol la piena operatività soprattutto in settori, come quello della tratta, per i quali ha già ricevuto una specifica competenza. Il Consiglio ha inoltre sollecitato l'istituzione di una Task Force operativa dei capi della polizia europei che, in cooperazione con Europol, favorisca lo scambio di informazioni sulle esperienze, best practices, tendenze della criminalità, con il contemporaneo impegno sul piano nazionale a creare quelle unità operative specializzate nel settore della lotta alla tratta degli esseri umani che possano lavorare in stretto raccordo con la «polizia europea».

La collaborazione trilaterale tra Italia, Francia e Germania in materia di contrasto alla criminalità transnazionale, avviata al Consiglio informale di Marsiglia dello scorso luglio è la conferma e l'attuazione degli impegni di Tampere e può essere considerata un segno tangibile di «cooperazione rafforzata in nuce». I tre Paesi intendono, attraverso l'impegno trilaterale, «realizzare strategie comuni sulla base di legislazioni, di controlli, e di misure severe per contrastare l'immigrazione clandestina e lo sfruttamento che ne deriva». Gli interventi da porre in essere vanno nella direzione di potenziare o istituire nei paesi di origine e di transito dei flussi irregolari, laddove non esistano, le reti di esperti e di ufficiali di collegamento specializzati in tema di immigrazione, documenti falsi, ed altro, e di armonizzare e coordinare maggiormente l'attività di contrasto in questi Paesi con i Paesi membri. Sono state inoltre individuate alcune aree di provenienza ad alta priorità, tra cui la regione balcanica e la Cina. E' stata poi confermata l'opportunità di speciali misure di sostegno e di assistenza tecnica in favore di Paesi dell'area balcanica, già delineate nel Piano d'Azione Albania, approvato a livello UE. I tre Governi firmatari hanno altresì confermato il centrale ruolo operativo di EUROPOL per il trasferimento di informazioni sulle organizzazioni criminali responsabili delle attività di immigrazione clandestina e sfruttamento degli immigrati irregolari. EUROPOL in particolare dovrebbe essere associato, quando possibile, alle attività operative per sostenere indagini, comprese le attività di analisi e valutazione del fenomeno di furti di documenti bianchi e falsificati.

E auspicabile quindi che tale iniziativa, una volta definite le norme che regoleranno le cooperazioni rafforzate, venga formalizzata affinché un numero sempre maggiore di Stati membri dell'Unione possano aderire.

Le possibili iniziative a livello comunitario sono quindi della massima impor­tanza, e vanno ad aggiungersi ai ben noti programmi STOP e DAPHNE, lanciati rispettivamente nel 1996 e nel 1997.

In ambito Osce va aumentando l'attenzione e l'azione verso i temi della tratta degli esseri umani, tenuto conto che in tale privilegiata sede è possibile favorire il coinvolgimento dei governi dei Paesi da cui si originano i fenomeni illegali, ad esempio i paesi dell'est europeo e dell'area balcanica. Un'efficace opera di prevenzione e di contrasto del trafficking non può prescindere infatti dall'impegno e dal contributo di quelle Autorità. Come affermato nella Carta per la sicurezza europea, adottata al vertice Osce di Istanbul, i Paesi membri si sono impegnati a «intraprendere misure per eliminare tutte le forme di traffico di esseri umani». L'ODIHR ha indirizzato ai Paesi membri e alle altre istituzioni dell'Osce raccomandazioni per l'identificazione di forme efficaci di azione per la prevenzione del traffico, per assicurare alla giustizia i trafficanti e per la protezione dei diritti delle vittime.

La collocazione geografica dell'Italia e la sua vicinanza ad aree fortemente interessate dal fenomeno rende essenziale una collaborazione a livello regionale. In particolare, l'area balcanica ha conosce un preoccupante aumento del fenomeno. In questo contesto, l'Iniziativa Adriatica o l'Iniziativa Centro Europea, fori regionali voluti soprattutto dall'Italia, possono costituire una risorsa importante. In particolare, le conclusioni della Conferenza Internazionale sul mare Adriatico e sul mar Jonio, che si è tenuta ad Ancona nel maggio scorso, contengono un impegno specifico per la lotta ai fenomeni di trafficking. Tale intento è stato ribadito anche in occasione della Riunione straordinaria sull'attività illegale nell'Adriatico e nello Jonio, che si è tenuta il 10 agosto scorso alla Farnesina.

Un'altra dimensione essenziale della cooperazione internazionale contro il trafficking è quella della cooperazione allo sviluppo. Il fenomeno della tratta affonda infatti le sue radici nella povertà e nel sottosviluppo. Gli interventi di cooperazione possono riguardare da un lato la prevenzione attraverso la tutela ed il sostegno ai soggetti potenzialmente vittime del trafficking, dall'altro, il reinserimento nella società d'origine delle persone che, riuscite a sottrarsi dalla condizione di sfruttamento cui erano sottoposte, devono ritrovare una loro collocazione sociale e lavorativa. Sul primo versante, occorre citare almeno i numerosi interventi della Cooperazione italiana sulla tutela dell'infanzia. La ratifica da parte italiana della Convenzione n. 182 dell'Oil relativa alla «proibizione delle forme peggiori di lavoro minorile» ha dato un nuovo impulso alla lotta contro lo sfruttamento dei minori a fini di prostituzione, all'origine del fenomeno della tratta.

In questo ambito, si deve ricordare il Programma IPEC dell'Oil (Global Campaign to raise awareness and understanding on Child Labour, incentrato in particolare sullo sfruttamento sessuale dei minori), il Programma Banca Mondiale / Albania contro «lo sfruttamento del lavoro minorile ai fini sessuali e alla tratta delle giovani donne», ed il progetto UNICRI / Nigeria contro la tratta di donne e bambini dalla Nigeria in Italia, per la prevenzione del fenomeno anche attraverso il rafforzamento istituzionale e la cooperazione tra la Nigeria e altri paesi limitrofi di transito. Sul piano bilaterale è stato finanziato dalla Cooperazione allo Sviluppo italiana un programma in Albania, sia per la realizzazione di una campagna informativa, e per fornire assistenza e protezione a donne «trafficate» albanesi in Italia, sia nella direzione di valutare le possibilità di rimpatrio delle stesse nel Paese di origine, naturalmente con l'attivazione di adeguate misure di sostegno e reintegrazione.

Tra i programmi di reinserimento possiamo citare le misure a favore delle vittime della tratta, che verranno intraprese a seguito dell'attuazione degli impegni assunti con l'accordo italo‑nigeriano sulla riammissione dei clandestini.

L'Italia, oltre ad essersi dotata di un quadro normativo tra i più avanzati per la tutela dei diritti delle vittime del traffico di esseri umani, intende rafforzare la sua collaborazione bilaterale sia con i Paesi da cui si origina il fenomeno, sia con i Paesi destinatari.

A quest'ultimo proposito, occorre citare il Working group Italia/USA sul traffico di donne e minori a fini di prostituzione. Nel 1998 il Presidente Clinton e l'allora Presidente del Consiglio italiano, nel corso di un incontro a Washington, hanno formalizzato l'impegno dei due Governi ad attivare iniziative congiunte in questo ambito volte a migliorare la capacità di intervento e di azione delle istituzioni dei due Paesi nella lotta a questi gravissimi delitti. L'iniziativa, che andrebbe ripresa anche con altri Paesi, è volta alla creazione di canali per la trasmissione di informazioni e lo scambio di best practices, essenziale per una efficace azione di contrasto congiunta, nonché alla formazione delle risorse umane necessarie a reprimere in loco il fenomeno. Nel corso degli incontri che si sono svolti sia a Roma che a Washington tra il 1998 ed il 2000, le due delegazioni hanno individuato alcuni obiettivi da realizzare congiuntamente. Innanzitutto uno scambio periodico di informazioni sullo stato della legislazione, sui dati raccolti, su studi ed analisi condotte, sulle azioni di polizia, sulle attività investigative e sui procedimenti svolti in questo ambito. Ciò al fine di approfondire, per quanto possibile, la conoscenza e le dimensioni del fenomeno e scambiarsi soprattutto utili informazioni sulle procedure, sulle metodologie di indagine, sulle best practices. La legge per la protezione delle vittime, recentemente approvata negli Stati Uniti, nasce anche dalla presentazione che, nel corso degli incontri, la parte italiana ha condotto sulla legislazione nazionale ed in particolare sulla importante innovazione introdotta con l'articolo 18 del Testo Unico.

Sono stati inoltre individuati alcuni Paesi, in particolare la Nigeria e l'Albania, verso i quali si possono concentrare gli sforzi dei due Governi a sostegno delle Autorità locali per favorire innanzitutto una più approfondita conosce‑inza delle peculiari caratteristiche che il fenomeno assume in quei Paesi. Ciò per rendere più incisive ed adeguate le risposte che, sul piano del law enforcement, del crime prevention ma anche della protezione ed assistenza, è possibile fornire. Secon­dariamente un impegno per favorire l'insorgere nelle istituzioni locali di una consapevolezza nuova della estrema gravità e dell'aberrazione di tali fenomeni. Da qui la grande attenzione alla formazione delle Forze di Polizia e delle altre istituzioni locali chiamate a contrastare le attività criminose legate al traffico di donne e minori a fini di prostituzione, e soprattutto a fornire alle vittime ogni possibile assistenza e supporto in vista del loro recupero e reinserimento. Con la Nigeria è stato avviato un proficuo dialogo in materia socio‑migratoria focalizzato in particolare al contrasto dell'immigrazione clandestina e soprattutto alla tratta degli esseri umani. L'accordo bilaterale in materia di riammissione, firmato il 12 settembre scorso, rappresenta un modello importante, tenuto conto che con esso, per la prima volta, vengono definiti impegni per ciò che attiene all'assistenza ed al reinserimento delle vittime della tratta. Proprio nei giorni scorsi in un nuovo incontro con alti funzionari nigeriani sono stati messi a punto ulteriori strumenti di rafforzamento della cooperazione, sia sul versante del law enforcement sia su quelli della prevenzione e dell'assistenza.

La cooperazione bilaterale può fornire altre risorse alla lotta al trafficking: ad esempio, inserendo clausole specifiche sulla tratta negli accordi bilaterali di cooperazione giudiziaria, anche con l'obiettivo di favorire un più rapido ed efficace trasferimento delle informazioni sui presunti autori, sulle organizzazioni criminali, sulle rotte utilizzate, sui trasferimenti di capitale da un paese all'altro, e così via.

Un ruolo essenziale può essere svolto anche dalla rete diplomatico‑consolare: le nostre ambasciate e quelle dei Paesi dell'Unione Europea dovrebbero svolgere, anche nei contatti con i richiedenti di visti d'ingresso, un'accurata campagna informativa rivolta alle possibili vittime della tratta nei Paesi più a rischio, o effettuare un controllo congiunto dei visti d'ingresso rilasciati dalle Ambasciate dei Paesi dell'area Schengen, in collaborazione con le autorità locali.

Gli impegni della cooperazione allo sviluppo nei Paesi di origine inoltre, dovranno guardare maggiormente ai fenomeni di tratta; oltre quindi all'impegno generale volto a favorire nel tempo la rimozione delle cause della povertà sollecitando le potenzialità e le capacità produttive endogene del paese e riducendo quindi il bisogno di abbandonare il Paese con i rischi che per le donne questo può comportare, occorrerà tenere nella dovuta considerazione il problema delle vittime della tratta, attivando programmi di protezione e di reinserimento, fornendo loro nuove possibilità lavorative e riducendo il rischio di rivittimizzazione. E' noto che particolarmente in alcuni Paesi di provenienza, la vittima che decide di rientrare potrebbe andare incontro a forti resistenze familiari o della comunità al riaccoglimento. Gli interventi che potranno essere messi in opera devono assicurare a queste donne una realtà diversa che non le spinga a ricadere nel meccanismo perverso della tratta, dove come noto la servitù per debito diventa un legame dal quale è difficilissimo liberarsi.

L'impegno che oggi la cooperazione allo sviluppo italiana ha rivolto all'Albania, con un programma di informazione e sostegno alle vittime e quello che intende svolgere in Nigeria dovrà estendersi anche ad altri paesi dai quali provengono le donne «trafficate».

Un altro ambito nel quale in seno ai programmi di cooperazione, quando richiesto dalle Autorità dei Paesi beneficiari, potrà essere fornito un importante sostegno alle istituzioni locali è quello medico‑ sanitario. E' noto infatti che una crescente per­centuale di donne fatte oggetto di traffici a fini di prostituzione, contraggono malattie sessualmente trasmissibili o sono affette dal virus dell'Hiv/Aids. Per esse devono essere approntate soprattutto al loro rientro in patria, adeguate misure di assistenza e cura.

 

CRONOLOGIA

 

L'azione del Governo contro la tratta in Italia

6 novembre 2000 Avviso n. 2 per la presentazione di programmi di assistenza e di integrazione sull'Articolo 18 del Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina sull'immigrazione e norme sulla condizione pubblicato sulla G.U. n. 272 del 21 .11.2000

19 settembre 2000 Presentazione della campagna di comunicazione sul Numero Verde contro il traffico di donne ai fini di sfruttamento sessuale. La campagna di comunicazione è la prima mai realizzata in Europa. Vuole informare le donne immigrate della prostituzione coatta delle possibilità offerte dalla legislazione italiana e sensibilizzare l'opinione pubblica sul fenomeno della tratta.

26 luglio 2000 Presentazione e attivazione Numero Verde sulla tratta. E' il primo in Europa. attivo 24 h su 24 e collegato con le realtà locali di aiuto

28 giugno 2000 Incontro con il Capo della Polizia di Stato, Prefetto Gianni De Gennaro. si avvia una collaborazione sull'attuazione dell'art.18 e in particolare sulle modalità con le quali, nelle varie Questure, si procede al rilascio dei permessi di soggiorno.

29 Febbraio 2000 Si firma la Convenzione da parte del Dipartimento delle pari opportunità con Enti territoriali e associazioni che rende operativi i 49 progetti di protezione sociale approvati dalla Commissione per l'attuazione dell'art. 18. Con il loro avvio è possibile applicare in pieno l'articolo 18 che prevede il rilascio di un permesso di soggiorno temporaneo per poter accedere ai progetti di protezione sociale da parte delle donne trafficate.

Dicembre 1999 ‑ Febbraio 2000 Avvio delle azioni di sistema da parte della commissione per l'attuazione dell'art. 18. Servono per realizzare il coordinamento dei progetti, il monitoraggio degli effetti, diffondere l'informazione sugli interventi tra le istituzioni, i cittadini e i potenziali utenti delle misure di protezione sociale. La prima Azione di sistema consiste nell'apertura di un numero verde per informazioni e aiuto, realizzato con un coordinamento nazionale, collegato con 15 punti locali, per assicurare un tempestivo aiuto sul territorio alle vittime della tratta.

Dicembre 1999 Pubblicazione dei primo avviso per «Progetti di protezione sociale per persone vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale». La commissione interministeriale per l'attuazione dell'art. 18 lavora contro il tempo per non perdere i finanziamenti previsti per aiutare le donne vittime di tratta e che scadono il 31 dicembre. 61 progetti presentati, 49 approvati.

23 Novembre 1999 Decreto interministeriale per l'indicazione dei criteri e delle modalità per la selezione dei programmi di assistenza e integrazione sociale, di cui all'art.18 del Testo Unico sull'immigrazione.

11 Novembre 1999 Costituzione della Commissione interministeriale per l'attuazione dell'art. 18. Composta da rappresentanti di Pari opportunità, Solidarietà sociale, Interno, Giustizia, controlla indirizza e programma le risorse per l'attuazione dei programmi di assistenza e integrazione sociale.

3 Novembre 1999 Approvazione del Regolamento di attuazione del Testo Unico sull'immigrazione. Prevede il finanziamento, da parte del Dipartimento per le Pari opportunità, di programmi di assistenza ed integrazione sociale realizzati dagli enti territoriali o da soggetti privati con essi convenzionati, valutati e approvati dalla Commissione prevista.

Marzo 1999 Presentazione del Governo alla Camera dei disegno di legge «Misure contro il traffico di persone». Assegnato alla Commissione Giustizia, dov'è in corso l'esame (Relatrice: on. Anna Finocchiaro).

Luglio 1998 Testo Unico sull'immigrazione. Contiene l'articolo 18 che prevede la possibilità di sottrarsi alla tratta e accedere ai progetti di protezione sociale, finanziati con 10 miliardi annui.

Febbraio 1998 Istituzione del Comitato interministeriale di coordinamento delle azioni di Governo contro la tratta di donne e minori ai fini di sfruttamento sessuale. Studia e analizza il fenomeno della tratta ed è il centro di coordinamento per l'azione del Governo in Italia e all'estero. E' formato da tutti i ministeri interessati al fenomeno e dai rappresentanti delle associazioni più impegnate e da esperti. E' presieduto dalla ministra delle pari opportunità e degli affari sociali.

Marzo 1997 Approvazione della Direttiva Prodi ‑ Finocchiaro in attuazione della Piattaforma di Pechino; all'obiettivo 8 di contrasto alla violenza contro le donne il governo si impegna a promuovere azioni specifiche contro la tratta delle donne immigrate e la prostituzione coatta.

 

Riferimenti bibliografici

 

 AA.VV.

1994 Dossier Prostituzione, Aspe.

 

AA.VV.

1996 Dossier Prostituzione, Nigeriane di strada, Missione Consolata, Aprile

 

AA.VV.

1998 Il traffico delle donne immigrate per sfruttamento sessuale: aspetti e problemi. Ricerca e analisi della situazione italiana, Parsec/Università di Firenze.

 

AA.VV.

1998 Zero Tolerance. Esperienze, progetti e proposte per la campagna europea sulla violenza contro le donne, Bologna, Conferenza nazionale 15‑16 ottobre.

 

Adamo, C.

2000 L'Unione Europea e la tratta di esseri umani, Demos, Monza.

 

Associazione on the road (a cura di)

1998 ‑ On the road. Manuale di intervento sociale nella prostituzione di strada, Edizioni Comunità, Ascoli Piceno.

 

Brussa, L.

1995 Progetto Città e prostituzione, analisi del primo anno di lavoro, Comune di Venezia

 

Carchedi, F. et al.

2000 I colori della notte. Migrazioni, sfruttamento sessuale, esperienze di intervento sociale, Franco Angeli, Milano.

 

Caritas di Bologna

1996 Progetto «uscita dalla prostituzione», relazione sul progetto

Censis,

1998 Rapporto sullo sfruttamento sessuale dei minori, Roma Cespi.

 

Centro studi di politica internazionale

2000 L'Italia nel sistema internazionale del traffico di persone. Risultanze investigative, ipotesi interpretative, strategie di risposta, Commissione per l'integrazione, Dipartimento Affari sociali, «Working Paper», n. 5, Roma.

 

Colombo Svevo, M.P.

1995 Progetto di relazione sulla tratta di esseri umani, Commissione per le libertà pubbliche e gli affari interni, Parlamento Europeo, Settembre.

 

Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute

1995 Progetto di informazione AIDS rivolto alle persone prostitute immigrate, Ministero della Sanità,

 

Istituto Superiore di Sanità.

Commissione Comunità Europea

1996 Sul traffico di donne a scopo di sfruttamento sessuale, Bruxelles.

 

Comune di Bologna

1996 Progetto prostituzione sicura, Bologna.

 

Corso, C., Landi, S.

1998 Quanto vuoi?, Giunti, Firenze

 

Covre, P.

1998 Una riflessione in tema di prostituzione, CGIL Nazionale, Roma

 

Da Pra Pochiessa, M.

1996 Ragazze di vita. Viaggio nel mondo della prostituzione, Editori Riuniti

 

De Stoop, C.

1997 Trafficanti di donne, Gruppo Abele

 

Giammarinaro, MG.

2000 La rappresentazione simbolica della tratta come riduzione in schiavitù, in: Carchedi et al., p. 93.

 

IOM. International Organization for Migration

2000 Measures to prevent and combat trafficking in women and minors for sexual exploitation. Emergency health and information campaign, Final Report 1 July 1999­ - 30 June 2000.

 

Leonini, L.

1999 Sesso in acquisto, Ed. Unicopli, Milano

 

Olivero, F.

1996 Prostituzione. Un mondo che attraversa il mondo: la tratta delle donne straniere immigrate in Italia, Caritas di Torino.

 

Progetto Integra‑Ippolita

2000 Sex Worker, Reti sociali, progetti e servizi per uscire dalla prostituzione, Editoriale Alesse, Pordenone.

 

Regione Emilia Romagna

1997 Oltre la strada, Bologna

 

APPROFONDIMENTO

 

La tratta di esseri umani e il traffico di migranti

Strumenti internazionali: Convenzione contro la criminalità organizzata transnazionale e protocolli supplementari «Smuggling of migrants» e «Trafficking in human beings» aperti alla firma degli Stati aderenti alle Nazioni Unite (Palermo, 12 dicembre 2000) (9)

 

La cooperazione internazionale nella lotta alla tratta di persone e al traffico di migranti (10)

 

La prospettiva della cooperazione internazionale nella lotta ai fenomeni criminosi connessi ai movimenti migratori, sia in riferimento all'odioso crimine di tratta di esseri umani, sia in relazione al traffico illegale di migranti, è ora riposta in nuovi importanti strumenti internazionali multilaterali in corso di adozione.

Ci si riferisce alla Convenzione contro la criminalità organizzata transnazionale ed ai protocolli supplementari «Smuggling of migrants» e «Trafficking in human beings», nei testi adottati dal Comitato ad hoc per l'elaborazione il 28 ottobre 2000, approvati dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York, strumenti che saranno aperti alla firma degli Stati aderenti alle Nazioni Unite nella Conferenza i i

Internazionale di Palermo il 12 dicembre 2000. (11)

Il complesso delle misure introdotte con la Convenzione e i relativi Protocolli risulta ampio: dall'obbligo di criminalizzare i delitti individuati all'attuazione di misure di prevenzione, all'attivazione di meccanismi di tutela delle vittime e, soprattutto, ad un più efficace sistema di cooperazione al fine di individuare, pro­cessare e punire i responsabili, recuperando per quanto possibile i profitti dei crimini.

Da non trascurare, inoltre, l'importanza di quel gruppo di norme che costituiscono la via di collaborazione tra gli Stati c.d. industrializzati e quelli in via di sviluppo, tutte finalizzate ad una migliore lotta al crimine organizzato, individuato come effetto ‑ ma anche causa ‑ delle diseguaglianze strutturali tra i Paesi Onu.

Per quanto attiene in via specifica alla cooperazione giudiziaria internazionale, l'attivazione del meccanismo scatterà in tutti quei casi nei quali, in una fase iniziale delle indagini, la situazione non consenta ancora di affermare il carattere di crimine organizzato, ma permetta solo di cogliere elementi di coinvolgimento con una realtà criminale che opera con gli esseri umani quel frazionamento di condotte criminose, in maniera analoga a quanto noto e verificato anche in relazione al traffico di droga e di armi.

Infatti la transnazionalità delle rotte del traffico, ossia la raccolta o «arruo­lamento» nei Paesi d'origine dei soggetti da far migrare, il cross‑border, la gestione a destinazione e lo smistamento nei settori del lavoro nero o della manovalanza criminale di stranieri «consenzienti» al fatto di porsi in un progetto migratorio illegale, ma anche nei diversi mercati di sfruttamento coattivo (prostituzione, lavoro forzato, ecc.), sono tutti elementi che possono venire alla luce solo attraverso un'attività d'indagine attenta e professionale che, per individuare gli autori di condotte criminose, non può fare a meno della cooperazione internazionale; sarebbe velleitario pensare di combattere contro una criminalità senza confini, senza utilizzare il meccanismo della reciproca assistenza nel campo investigativo e giudiziario: in proposito l'articolo 19 della convenzione contro il crimine organizzato transnazionale prevede un'immediatezza di utilizzo dei poteri investigativi, attraverso la possibilità di costituire squadre investigative comuni a Stati diversi, parimenti interessati a svolgere le indagini.

Gli obiettivi specifici attribuiti ai Protocolli sono quindi prevenire e combattere lo smuggling e il trafficking, promuovere la cooperazione tra gli Stati Parte e, proteggere ed assistere le vittime, nel pieno rispetto per i loro diritti umani, per il protocollo tratta, proteggere i diritti umani dei migranti, per il protocollo traffico.

Quanto all'ambito di applicazione, occorre aver presente la relazione tra la Main Convention ed i Protocolli, come disciplinata dagli articoli 1 (esattamente uguali) dei Protocolli. Infatti si stabilisce una norma di interpretazione congiunta degli strumenti, e, d'altro lato, si dispone anche l'applicazione «mutatis mutandis» delle disposizioni della Convenzione ai protocolli. La formula consente una interpretazione estensiva di molte norme della convenzione‑madre, che deve essere però condotta nella logica (12) della supplementarietà.

 

Il Protocollo sulla Tratta

Il Protocollo prevede quattro sezioni. Nella prima sono disciplinati gli scopi, l'ambito di applicazione, le definizioni del reato e gli obblighi di criminalizzazione. Nella seconda ci si occupa della «Protezione delle vittime», prevedendo misure di protezione sia in relazione al procedimento penale nel suo svolgimento che come garanzia risarcitoria. Si prevedono anche misure di assistenza che coinvolgono aspetti sociali e prevedono il raccordo tra Stato e organizzazioni non governative. E' inoltre prevista la possibilità di concessione alla vittima di un permesso di soggiorno nel territorio dello Stato di destinazione, come anche il diritto per la vittima di ritornare nel Paese d'origine o in quello di residenza permanente, connesso all'obbligo per il citato Stato di consentirne il rimpatrio.

La Terza sezione si occupa di prevenzione e cooperazione; si tratta di norme complementari a quelle già previste nella Convenzione madre, che attengono specificamente al controllo di frontiera ed ai controlli documentali, nonché al miglioramento della qualità della produzione dei documenti connessi al fenomeno (identità e viaggio) al fine di evitare facili falsificazioni, ed alla garanzia di una reciproca capacità di accertamento in ordine alla veridicità e validità degli stessi; elementi tutti ai quali viene assegnata una forte connotazione di prevenzione del traffico. La Quarta sezione prevede, oltre alle norme sulla modalità di entrata in vigore dello strumento internazionale e sui meccanismi di operatività, la clausola di salvaguardia che garantisce che l'implementazione dei contenuti del Protocollo avvenga senza interpretazioni discriminatorie per le vittime del traffico, facendo inoltre salve le disposizioni internazionali relative alla particolare tutela dello status di rifugiato.

 

a) La definizione di tratta

Come si è detto, il Protocollo «supplementa» la Convenzione e, espressamente, è stabilita l'equivalenza tra i fatti previsti come reati dalla Convenzione madre e quelli «criminalizzati» (ossia imposti da criminalizzare agli Stati aderenti) nel Protocollo. Il che significa che anche tutte le disposizioni della Convenzione si applicano al Protocollo, elemento questo che consente di includere la transnazionalità del crimine tra i requisiti dell'ambito di applicazione, in base alla disposizione dell'articolo 3, paragrafo 2, della Convenzione.

E' quindi confermata l'opinione, a lungo sostenuta dalla delegazione italiana, della intrinseca natura di transnazionalità della tratta, sia perché è evidente che un fenomeno criminoso di tale complessità attuativa nella maggior parte dei casi è riconducibile a gruppi criminali che svolgono attività in più Stati, sia perché comunque le condotte criminose che lo compongono riverberano effetti in uno Stato diverso da quello del cosiddetto arruolamento, ricerca o approvvigionamento delle persone che sono destinate allo sfruttamento.

Quanto al coinvolgimento del gruppo criminale organizzato, salta agli occhi l'immagine di un meccanismo operativo di perpetrazione del crimine che viene a coinvolgere più persone, atte a «garantire» con la loro compartecipazione la realizzazione di tutti i segmenti dell'azione criminale (ricerca della vittima, inizio del progetto migratorio della stessa con i mezzi violenti, minacciosi o fraudolenti, trasporto materiale della persona in viaggi lunghi, pericolosi in caso di movimento clandestino, o comunque trasporto della stessa con viaggi corredati da utilizzazione di documenti fraudolenti per simulare ingressi regolari, consegna della vittima nel Paese di transito o destinazione a chi dovrà occuparsi dello sfruttamento della stessa, eccetera, a seconda delle diverse tipologie).

Nella definizione del Protocollo il «trafficking in persons» infatti viene caratterizzato come un reato di trasporto, trasferimento, reclutamento o accoglienza di una persona, ottenuta per mezzo di minaccia o uso di forza o altri mezzi coercitivi, o per mezzo fraudolento o ingannatorio, o in conseguenza di un abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità della vittima stessa. E' anche previsto l'utilizzo di un mezzo idoneo ad ottenere il consenso a prelevare il soggetto da parte di chi ne abbia il controllo, consistente nel pagamento di denaro o nella concessione di benefici economici. I suddetti mezzi sono idonei a forzare la volontà della vittima o ad ottenerne un consenso viziato da una falsa rappresentazione della realtà.

La condotta indirizzata al soggetto che abbia il controllo sulla persona destinataria della tratta si ricollega, in primis, alle situazioni che vedono coinvolti soggetti minori di età. Infatti per i minori di età (individuati come le persone di età inferiore ai 18 anni) l'eventuale consenso delle vittime alle condotte è stato considerato irrilevante, e si prevede che non possano residuare margini giustificativi per quelle condotte di «cessione» del minore, o autorizzazione all'allontanamento del minore, da parte del soggetto che ne abbia la potestà o la eserciti (potere giuridico riferibile al concetto di potestà genitoriale o tutoria) o il controllo o la sorveglianza, incluse situazioni di fatto caratterizzate o riconducibili ad eventi particolari, nei quali possa configurarsi una posizione di controllato‑controllore .

Il mezzo «abuso di vulnerabilità» ‑ incluso nella definizione ‑ costituisce un punto di arrivo compromissorio, atto a dare considerazione a tutte le situazioni di fattuale inferiorità del soggetto migrante, ricollegabile non solo ad una minorazione psichica, ma anche ad una accertata situazione di sottosviluppo socio‑culturale­personale che, benchè non deducibile sic et simpliciter dallo stato di povertà o di bisogno, finisca per costituire elemento viziante del consenso prestato dal soggetto migrante, in conseguenza ad un comportamento attivo di persuasione da parte del reclutatore di vittime a fini di sfruttamento.

Ma la condotta criminosa dell'autore del crimine di tratta di persone si caratterizza inoltre per uno scopo ulteriore, che costituisce la finalità avuta di mira dagli autori del reato. Tale finalità consiste nello «sfruttamento delle persone oggetto del trafficking».

Dopo un lungo dibattito in sede di elaborazione del testo, si è giunti non già ad una definizione di sfruttamento, ma ad un elencazione meramente esemplificativa di tipologie di sfruttamento, fatto questo che consente così a ciascuno Stato di potere individuare forme di sfruttamento diverse, che risultino connesse in base all'esperienza pratica al fenomeno in esame. Il Protocollo quindi stabilisce una serie di ipotesi di sfruttamento che ogni Stato dovrà ricomprendere nella fattispecie di criminalizzazione «come minimo livello», tra esse: lo sfruttamento della prostituzione o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro forzato o i servizi forzati, la riduzione in schiavitù o pratiche similari e la servitù.

La problematica relativa alla prostituzione in senso lato è stata ‑ all'esito di numerose discussioni in sede di Comitato ad hoc ‑ discussa, ma volutamente non disciplinata in via specifica: le diversificate politiche sul tema della prostituzione (si va da Paesi che criminalizzano l'esercizio della prostituzione di per sé, a Paesi che la regolamentano come una attività professionale) hanno costituito un serio rischio di esclusione dello sfruttamento dell'esercizio della prostituzione altrui e le altre forme di sfruttamento sessuale (si pensi al mercato della pornografia) tra le forme di sfruttamento atte a caratterizzare l'illecita finalità della tratta. La scelta quindi non poteva essere che di includere il tema solo come indicazione dell'obiettivo finale di sfruttamento dei migranti da parte dei trafficanti, rimettendo a ciascun singolo Stato lo sviluppo di un dibattito riguardante le problematiche sottese al fenomeno della prostituzione. (13)

Tutte le altre situazioni di sfruttamento indicate sono già utilizzate in altri strumenti od atti internazionali. In particolare ci si riferisce all'espressione «slavery and servitude» che compare sia nella Convenzione Europea dei diritti dell'uomo (1950), sia della Convenzione Internazionale sulla protezione dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie (1990). I termini non sono definiti, ma sono stati già oggetto di analisi e studio nel loro significato, tanto da non richiedere l'elaborazione di una specifica definizione.

La situazione di sfruttamento rappresenta, come già detto, l'obiettivo finale della tratta di esseri umani e pertanto gli Stati dovranno criminalizzare il traffico in sé, a prescindere dall'effettivo verificarsi di tale scopo finale. Tale specificazione consente tra l'altro di attivare il meccanismo di cooperazione per le condizioni riconducibili all'evento criminoso della tratta in sé, senza che risulti necessario avanzare elementi dimostrativi del realizzarsi o meno di tale criminoso specifico obiettivo di sfruttamento degli esseri umani.

Il Protocollo prevede inoltre la criminalizzazione di ogni condotta di tentativo e di partecipazione al traffico degli esseri umani come sopra definito, nonché stabilisce il regime delle circostanze ulteriori ed accessorie, che ciascuno Stato dovrà prevedere, facendo salvo il rispetto dei principi generali del proprio sistema legale.

 

b) Vittime e/o trafficked persons ? L'ambito di applicazione variabile del protocollo

Interessante spunto di riflessione può essere costituito dall'analisi tra le due categorie enucleabili: vittime della tratta e trafficked persons, come definite dalla norma che disciplina l'ambito di applicazione del protocollo, al fine di verificare se il Protocollo sulla tratta possa essere interpretato come strumento ad ambito di applicazione variabile. Sembra sostenibile, e non solo suggestiva, la tesi dell'ambito variabile del Protocollo, sulla base della necessità che sia gli Stati di provenienza, che quelli di destinazione, offrano il più ampio corredo di strumenti di assistenza e tutela alle persone oggetto dei traffico, a prescindere dal fatto che la condotta criminale che le abbia interessate possa presentare il requisito del coinvolgimento al gruppo criminale organizzato.

 

La vittima del reato e le problematiche di accertamento legate al consenso. Il trafficking, come detto, rappresenta una condotta criminale connotata da una consistente incidenza nella sfera del soggetto passivo del reato: infatti oltre alla fenomenologia collegata alla completa assenza di volontà della vittima a «migrare», conseguente ad esempio a condotte di violenza o ratto, la gamma di situazioni riconnesse alla coartazione della volontà o ai meccanismi di inganno o frode tali da «viziare» il consenso della vittima, finisce per costituire la parte più interessante del fenomeno, anche per la complessità dei suo accertamento.

Non irrilevante è poi l'analisi delle conseguenze che la perpetrazione del crimine provoca nelle condizioni di vita successive al trasferimento della persona in uno Stato diverso, essendo evidente che sulla situazione di inferiorità, anche per carente conoscenza della lingua e dei meccanismi di vita, fanno leva i trafficanti per ottenere anche lo scopo ulteriore dello sfruttamento della vittima stessa, tramite l'impiego nei settori di mercificazione della persona. Di certo l'analisi del consenso della vittima in relazione a tale fase ulteriore non appartiene in senso tecnico all'accertamento del fatto di «tratta dell'essere umano» come criminalizzato.

Durante i lavori di elaborazione del Protocollo, si è a lungo discusso su aspetti problematici di valutazione delle prove. Numerosi paesi hanno infatti descritto le notevoli difficoltà ad ottenere le condanne degli autori del traffico nei loro sistemi processuali, nei quali il presunto consenso delle vittime allo sfruttamento diventa spesso tema di prova della difesa dei criminali, in grado di riverberare effetti anche sulle condotte di traffico poste in essere in precedenza per «trasferire» la vittima «al di fuori» del suo Paese d'origine o di residenza.

A parziale soluzione del problema è stata discussa ed approvata una disposizione di valutazione della prova, in cui si stabilisce che il consenso allo sfruttamento successivamente dalla vittima è irrilevante, qualora risultino posti in essere quei mezzi fraudolenti o forzosi utilizzati per ottenere la tratta della persona.

Certo una tale soluzione non può che essere parziale, essendo chiaro che le modalità di criminafizzazione delle condotte come descritte vanno poi trasferite da ciascuno Stato all'interno dei propri parametri e schemi legali di criminalizzazione ed alle proprie regole processuali, che non solo disciplinano l'acquisizione e la valutazione della prova, ma sono atte a garantire il diritto di difesa degli imputati.

Gli assetti normativi riferibili ai profili di accertamento dei fatti criminosi o alle modalità di tipizzazione delle condotte delittuose esistenti in ciascun singolo Stato Parte del protocollo non possono venire derogati, anche per effetto del disposto dell'articolo 11, paragrafo 6 della Convenzione, che dispone che la descrizione delle offese e gli altri principi di attribuzione della responsabilità per le condotte sia riservata alla legislazione nazionale.

La previsione relativa all'irrilevanza del consenso eventualmente prestato daEa vittima allo sfruttamento, ha comunque il merito di porre in evidenza ‑ all'interno di una fonte normativa internazionale ‑ come l'accertamento di un fatto di sfruttamento che è lo scopo del traffico, non si riverberi automaticamente nell'accertamento della complessa condotta di trafficking, in relazione alla quale la situazione della vittima va esaminata nel momento nel quale la stessa fu costretta o indotta ad attuare un progetto migratorio, finalizzato ‑ seppure solo nella mente degli autori del crimine ‑da uno scopo illecito di sfruttamento della vittima stessa.

 

Protezione delle vittime e assistenza. Le disposizioni dedicate al tema disciplinano tutti gli aspetti attuabili delle metodologie di protezione e assistenza alle vittime. Certamente le norme non creano rigidi obblighi per gli Stati contraenti, ma lasciano flessibilità di contenuti e presupposti. Di rilievo sembra essere la possibilità che tra le misure di assistenza e il sistema investigativo sussista un collegamento che attribuisca carattere premiale all'eventuale collaborazione offerta dalla vittima all'accertamento dei fatti criminosi.

Al di là delle scelte che i singoli Stati opereranno in materia, sembra importante enfatizzare il risultato rappresentato dai contenuti della tutela offerta alle vittime, posti nello strumento internazionale, che vanno oltre le affermazioni relative ai diritti risarcitori e le misure di protezione a garanzia del procedimento giudiziario, previste dall'articolo 25 della convenzione, inaugurando anche sul piano multilaterale la particolare attenzione nei confronti del soggetto vittima del reato.

In questa logica va letta non solo la clausola di salvaguardia dei diritti connessi allo status di rifugiato, ma soprattutto la possibilità di due diverse forme di garanzia, connesse a quello stato di «migrante forzato» che la vittima ha assunto per effetto del crimine perpetrato ai suoi danni, fornite, rispettivamente, dallo Stato di destinazione e da quello di origine.

Ci si riferisce innanzitutto al permesso di soggiorno eventualmente concedibile, nei casi appropriati, da parte dello Stato di destinazione, sulla scorta di ragioni umanitarie o di protezione della vittima (articolo 5).

Quanto ai Paesi di provenienza, invece, è previsto l'obbligo di rimpatrio delle vittime per lo Stato di origine, nel caso di cittadini e di persone che avevano al momento dell'ingresso nello Stato di ricezione un «permanent residence».  E' inoltre stato inserito uno specifico riferimento alle esigenze delle vittime, non solo sotto il profilo della tutela della loro salute, ma anche con riferimento alla considerazione dei loro «desiderata» in merito al rimpatrio (preferibly voluntary), unitamente alle esigenze del procedimento in corso contro i trafficanti.

 

Il protocollo sul traffico dei migranti

Anche questo Protocollo si articola in quattro sezioni. Nella prima sono disciplinati gli scopi, l'ambito di applicazione, le definizioni del reato e gli obblighi di criminalizzazione; la seconda è specificamente dedicata al traffico via mare. La Terza sezione si occupa di prevenzione e cooperazione; si tratta di norme complementari a quelle già previste nella Convenzione madre, che attengono specificamente al controllo di frontiera ed ai controlli documentali, nonché al miglioramento della qualità della loro produzione al fine di evitare facili falsificazioni, elementi tutti ai quali viene assegnata una forte connotazione di prevenzione del traffico; tali norme sono complementari a quelle previste nel Protocollo tratta; inoltre la sezione include la norma sulla riammissione dei migranti oggetto del traffico. La Quarta sezione prevede, oltre alle norme sulla modalità di entrata in vigore dello strumento internazionale e sui meccanismi di operatività, la clausola di salvaguardia che garantisce che l'implementazione dei contenuti del Protocollo avvenga senza interpretazioni discriminatorie per i migranti, facendo inoltre salve le disposizioni internazionali relative alla particolare tutela dello status di rifugiato (principio del non-refoulement).

 

a) Ambito di applicazione e scopo. L'obiettivo centrale della protezione dei diritti del migrante

Come già analizzato nel discorso generale sull'ambito di applicazione dei protocolli, risulta evidente quanta importanza sia stata attribuita alla protezione dei diritti, non solo umani, dei migranti (14) elemento che ha rappresentato anche una chiave di volta negoziale per ottenere l'accordo sull'adozione dello strumento relativo allo «smuggling», nella consapevolezza che lo stesso, benchè nasca come supplemento ad una convenzione di cooperazione per la lotta al crimine, finisce invero per fornire mezzi giuridici più ampi, atti anche a prevenire la clandestinità nei flussi migratori e quindi per spiegare effetti anche in un campo di politica immigratoria in senso ampio.

La tutela del migrante (15) non è pertanto rappresentata solo da quelle misure di protezione e di assistenza, che ribadiscono impegni già vincolanti per gli Stati per effetto della normativa internazionale in vigore in materia di protezione dei diritti umani, o da quelle specifiche norme di salvaguardia predisposte nel traffico via mare, ma consiste nella scelta di fondo ‑ frutto di un intenso lavoro in Comitato ad hoc ‑ di garantire al migrante, oggetto delle condotte criminose individuate dal protocollo, la non punibilità penale per il solo fatto di essere coinvolto nel traffico dei migranti.

L'equilibrio della disposizione consente anche in questo caso di lasciare impregiudicate, ed intoccabili, le scelte di legislazione nazionale, chiarendo come la fonte internazionale non imponga obblighi di criminalizzazione in capo al migranfle che si colleghino, sic et simpliciter, al fatto che lo stesso sia «oggetto» delle condotte criminose individuate dal protocollo. In pratica si stabilisce l'irrilevanza di riflessi criminali per il migrante della posizione di migrante in sè, ferma restando la possibilità per le legislazioni nazionali di stabilire diversamente quanto alle valutazioni delle condotte di illegale ingresso in uno Stato o di illegale emigrazione, o di utilizzo dei documenti falsi e così via.

 

b) Definizione del traffico di migranti

Il crimine di «smuggling» in senso stretto (lett: contrabbando) si sostanzia nel procurare l'ingresso illegale in uno Stato, di una persona che non abbia la nazionalità di quello Stato o che non abbia titolo di risiedere in via permanente, con lo scopo di ottenere, direttamente o indirettamente, vantaggi finanziari o economici.

La condotta illecita del «procurement illegal entry» viene a costituire la regolarità degli ingressi nel territorio di uno Stato‑Parte del protocollo come interesse tutelato dalla norma incriminatrice che dovrà essere creata in virtù dell'obbligo di criminalizzazione. Si prescinde insomma da una mera tutela tra Stati «fisicamente» vicini: ogni Stato dovrà quindi criminalizzare il comportamento di chi, nel proprio territorio, procuri, o concorra a procurare, l'ingresso in un altro Stato, non necessariamente confinante, fuori dalle regole stabilite per la immigrazione regolare in quello Stato. Non solo quindi garanzia dei propri confini (perseguire chi favorisce l'ingresso illegale nel proprio Stato), ma tutela, in reciprocità con gli altri Stati‑Parte, della disciplina di regolamentazione dei flussi migratori verso altri territori, attraverso altri territori.

Completano il quadro delle «offences estabilisted» altre condotte per le quali sussiste l'obbligo di criminalizzazione:

1. la produzione, ricezione, fornitura o possesso di documenti di viaggio o identità fraudolenti, quando commessi al fine di favorire lo smuggling;

2. il favoreggiamento dell'«illegal residence», con l'utilizzo dei mezzi docu­mentali fraudolenti individuati nella fattispecie al punto 1 sopraindicato o con utilizzo di altri mezzi illegali; tale fattispecie ha consentito il compromesso tra la posizione di chi voleva restringere lo smuggling al fenomeno dell'irregolare «cross border» e quella sensibile alla necessità di perseguire le modalità fraudolenti del fenomeno, caratterizzate da un «ingresso apparentemente legale» nel territorio e da una successiva attività illegale volta a consentire una illecita situazione di permanenza nello Stato ricevente.

Si deve ritenere un indubbio successo essere riusciti a includere tra le condotte criminali con le quali opera il traffico dei migranti, il meccanismo dei flussi di ingresso apparentemente regolari, in quanto giustificati da movimenti di brevi periodo, ma invece artatamente organizzati per trasformare un legittimo soggiorno temporaneo in uno stato di illegale residenza permanente, mediante l'utilizzo fraudolento di documenti. Si tratta di una modalità operativa più complessa che richiede uno sforzo di cooperazione tra gli Stati diverso dal mero rafforzamento de controlli di frontiera.

 

c) La riammissione del migrante: tra obbligo per lo Stato, garanzia per lo straniero e rimozione degli effetti del crimine

Durante l'elaborazione dello strumento internazionale è stata a lungo dibattuta la problematica afferente la riammissione dello straniero. Il tema è di grande rilievo non solo e non tanto per l'importanza del suo contenuto operativo (peraltro si tratta di prassi convenzionale già vigente), ma per i riflessi di diritto internazionale, nonché per le considerazioni che attribuiscono all'istituto funzioni di prevenzione generale ‑

per l'efficacia esemplificativa delle riammissioni operate che finirebbero per incentivare la desistenza dei trafficanti dal proposito criminoso ‑ ed ancor più funzione di rimozione degli «effetti» che il crimine sia venuto a causare in riferimento alla potestà degli Stati di operare una gestione dei flussi migratori, regolamentata reciprocamente.

Ferma restando l'applicabilità e salvaguardia degli accordi ed intese in materia di riammissione di migranti, la norma come approvata ha stabilito in via espressa: l'obbligo per gli Stati di origine di riammissione dei propri nazionali e dei soggetti che hanno abbiano un titolo di permanent residence al momento del ritorno nel Paese di origine (tenendo conto delle situazioni in cui il Paese di origine abbia revocato il titolo di soggiorno prima concesso in conseguenza del volontario espatrio irregolare di uno straniero prima residente); la facoltà di possibile riammissione da parte dello Stato di provenienza dei soggetti muniti di permanent residence nello Stato di origine, al momento dell'irregolare ingresso nello Stato ricevente, ma che non lo possiedono più al momento in cui dovrebbero essere riammessi.

E' importante sottolineare come la positiva conclusione del testo sulla riammissione rappresenti un importante punto di arrivo, in fondo ben accolto da tutti i Paesi, anche quelli aforte spinta migratoria che nel corso dei negoziati avevano spesso ribadito l'estraneità dello strumento in esame a temi di politica migratoria: per la prima volta viene stabilito in via normativa in uno strumento multilaterale l'obbligo di riammissione, con la conseguenza di confermare da un lato le caratteristiche dell'interesse protetto dalle norme sulla criminalizzazione, e di precisare dall'altro come lo sforzo di cooperazione contro il crimine organizzato dedito al «ramo delle migrazioni» non possa limitarsi a quella tradizionalmente connessa alla lotta contro i reati o preventiva degli stessi, ma debba necessariamente comprendere la cooperazione in tema di politica delle migrazioni, che include la riammissione come misura di «reazione» all'illegalità di un ingresso di uno straniero, che nel caso specifico costituisce l'effetto di un crimine.

 

d) Prevenzione, border measures, norme sul traffico via mare e i link fattuali tra i Protocolli

Da ultimo appare necessario svolgere una breve riflessione sulle parti degli strumenti internazionali che riguardano in via diretta la prevenzione del fenomeno, il controllo delle frontiere e lo sviluppo di una rete di cooperazione, con scambio informativo, tra gli Stati Parte, a fini di prevenzione del fenomeno.

Preme qui sottolineare che le norme specifiche dei due strumenti, che in questa sede non è il caso di analizzare, devono essere lette congiuntamente, in quanto sia la tratta, che il traffico di migranti presentano delle sintomatologie operative e delle modalità di attuazione spesso simili, che vanno osservate con cura, al fine di mas­simizzare gli sforzi contro un crimine organizzato che lucra comunque sul fenomeno delle migrazioni e, per le situazioni riconducibili alla tratta, arriva all'asservimento dei migranti e a situazioni in parte simili alla schiavitù in senso proprio.

Per questo motivo appare evidente che gli strumenti di primo intervento nel traffico via mare, previsti nel protocollo migranti in formulazione analoga a quanto già previsto dalla convenzione Onu sulla repressione del traffico degli stupefacenti, dovranno essere applicati anche in situazioni di «tratta», ossia in situazioni in

relazione alle quali successivamente emergano elementi riconducibili alle condotte di tratta. Così pure è facile intendere come durante il controllo di frontiera sia possibile intercettare non solo il movimento clandestino di un migrante, ma anche il passaggio ‑ clandestino o no ‑ della vittima destinata allo sfruttamento.

Nel breve cenno ai possibili link fattuali nella rilevazione dei fenomeni oggetto dei due separati strumenti internazionali, trova conferma la necessità di affinare gli strumenti di prevenzione e investigazione e di sviluppare la cooperazione multilaterale e le intese bilaterali su tutto il fenomeno migratorio, che rappresenta oggi uno dei terreni di attività più facile nel suo « approvvigionamento di merce umana» (basti riflettere alle innumerevoli cause, anche di carattere politico, che azionano i movimenti migratori e alla connessa situazione di disparità sociale ed economica dei soggetti a possibile cammino migratorio), ma soprattutto il terreno di maggiore guadagno nell'attuale market riferibile alla criminalità organizzata.

 

Note:

 

1) D.d.l. n. 5839, Misure contro il traffico delle persone.

 

2) D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero. Art.18 «Soggiorno per motivi di protezione sociale».

 

3) D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.

 

4) Art. 27 D.P.R. 394/99, Rilascio del permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale.

 

5) Decreto 23 novembre 1999. Indicazione dei criteri e modalità preordinati alla selezione dei programmi di assistenza e di integrazione sociale disciplinati dall'art. 18, art. 2.2 «azioni di sistema».

 

6) L. 20 febbraio 1958, n. 75, Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui.

 

7) «Infatti il flusso di donne trafficate tende a mimetizzarsi nel flusso dell'immigrazione, come l'esercizio della prostituzione da parte delle trafficate si mimetizza nell'esercizio della prostituzione in generale. Ciò significa che, se vogliamo intervenire efficacemente per contrastare il traffico di donne, dobbiamo tenere presenti sia le differenze sia le interconnessioni tra realtà diverse, poiché si presentano e si manifestano come cerchi concentrici», Anna Finocchiaro, prefazione a: Carchedi et al., I colori della notte. Migrazioni, sfruttaniento sessuale, esperienze di intervento sociale, Franco Angeli Milano, 2000, p. 12.

 

8) «Tre anni fa abbiamo cominciato a costruire l'esperienza, inedita nel nostro paese, del Ministero per le pari opportunità. Quasi subito ci siamo imbattute nel fenomeno della tratta a scopo di sfiuttamento sessuale. Allora se ne parlava poco, sulla stampa e nei media. Ma in alcune sedi internazionali l'allarme era già stato lanciato e si discuteva del che fare. Mi ricordo che restammo impressionate soprattutto delle storie che ci raccontavano i pochi operatori e operatrici delle associazioni che iniziavano allora a intervenire per contrastare come meglio potevano quello che appariva come un fenomeno in forte ascesa... Abbiamo capito che era una delle forme più gravi di violenza contro le donne, una nuova feroce riduzione in schiavitù. Eppure si trattava di qualcosa di oscuro, di poco conosciuto, che addirittura ogni giorno era oggetto di mistificazione. Ciò che si vedeva, o meglio che si voleva vedere, era solo la prostituzione straniera sulle strade delle grandi città, verso la quale cominciavano ad emergere atteggiamenti di intolleranza indiscriminata». Anna Finocchiaro, prefazione a: Carchedi et al., I colori della notte. Migrazioni, sfruttamento sessuale, esperienze di intervento sociale, Franco Angeli, Milano, 2000, p. 11

 

9) Per i testi degli strumenti, si veda il sito www.uncji.org/documents/XI sessione. Il commento ai testi, costituisce un primo lavoro di analisi degli strumenti, redatto in conclusione dei lavori del Comitato ad hoc, seguiti dall'autrice in qualità di componente della delegazione italiana, su designazione del ministero della Giustizia.

 

10) La traduzione nel testo non ufficiale in italiano dei Protocolli dovrebbe essere quella indicata. Il testo nelle lingue ufficiali recita: Trafficking in persons, Traite des personnes, Trata de personas e Smuggling of migrants, Trafic de migrants, Trafico de migrantes. La diversità tra lingua inglese e lingue francese e spagnola è evidente e risulta connessa alla difficoltà di tradurre «smuggling» con un termine accettabile se riferito agli esseri umani (letteralmente: contrabbando). Sarà comunque prevista la spiegazione circa l'equivalenza dei termini, nel glossario ufficiale preparato a cura dei Segretariato delle Nazioni Unite.

 

11) Si intende, come ovvio, per multilaterale, lo strumento convenzionale intercorrente tra più Stati, con esclusione quindi degli accordi in sede bilaterale, che abbia come primario tema la cooperazione giudiziaria penale.

 

12) Di particolare rilevanza appare la disposizione che attribuisce alle condotte individuate come «offese» dai Protocolli la stessa considerazione delle offese individuate come tali dalla Convenzione. Occorre infatti tenere presente come lo strumento internazionale di prossima adozione operi da un lato una ricognizione dei serious crimes (offese punite con pena superiore ai quattro anni, nelle legislazioni nazionali), dall'altro imponga di criminalizzare specifiche condotte (partecipazione a gruppo criminale organizzato, riciclaggio, corruzione e ostacolo alla giustizia), disponendo che le previsioni della convenzione si applichino quando il crimine sia transnazionale in natura e coinvolga un gruppo criminale organizzato, ma anche richiamando la necessità che per le nuove categorie di crimini da descrivere, e quindi tipizzare, l'obbligo di criminalizzazione si estenda anche alle condotte prive della caratteristica del coinvolgimento con l'associazione a delinquere o la natura transnazionale dell'offesa (art. 34 paragrafo 2 della convenzione). Pertanto, in coerenza, tale norma della convenzione, che consente la criminalizzazione anche della fattispecie monosoggettiva, deve essere ritenuta applicabile ai Protocolli, per i quali l'obbligo di criminalizzazione delle condotte individuate si estenderà anche ai medesimi fatti delittuosi quando risultino commessi da un solo individuo, fermo restando che tutti gli strumenti di cooperazione, preventiva, investigativa e giudiziaria, potranno invece operare solo quando le offese siano transnazionali in natura e coinvolgano un gruppo criminale organizzato.

 

13) Il traffico di persone a fini di sfruttamento sessuale trova già una esaustiva trattazione definitoria nella Joint action adottata il 24 febbraio 1997 dal Consiglio dell'Unione Europea (in Official Journal of the European Communities 4.3.97 No L 63/3). Per la problematica specifica della prostituzione si veda invece la Convenzione ONU per la repressione della tratta degli esseri umani e dello sfruttamento della prostituzione altrui dei 21.3.1950, ratificata dall'Italia con legge n. 1173 del 23.11.1966 ‑ G.U. n. 5 del 7.1.1967.

 

14) Si ricordano le fonti internazionali sul tema: l'art. 13 par. 2 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo; l'art. 5 lett. d ii) della Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale; l'art. 12 par. 2 del Patto internazionale sui diritti civili e politici.

 

15) Si ricordano in particolare i contenuti delle note presentate al Comitato ad hoc dall'Ufficio dell'Alto Commissario Onu per i diritti umani (da ultimo doc. 8.2.2000, A/AC.254/27) a sostegno della necessità che il Protocollo contenesse una espressa previsione di protezione del migrante, che in particolare garantisse il pieno rispetto delle opportunità di richiedere asilo, di riconoscere il diritto del ritorno del migrante e di tenere conto della sua «vulnerabilità», connessa alla sua situazione di irregolarità.