Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati
SECONDO RAPPORTO SULL'INTEGRAZIONE DEGLI
IMMIGRATI IN ITALIA
APPROFONDIMENTI
CAPITOLO 3. 1
IL MERCATO
DEL LAVORO
LA FORMAZIONE PROFESSIONALE PER GLI IMMIGRATI: UNO STRUMENTO PER L’INTEGRAZIONE ?
La transizione in corso
configura valenze plurime e differenti per la formazione professionale rivolta
ai cittadini extracomunitari, sia in quanto risorsa spendibile per un primo
ingresso dell’immigrato nei mercati del lavoro locali sia come chance promozionale
per una ricollocazione lavorativa che accompagni eventuali processi di mobilità
e favorisca graduali percorsi verso posizioni professionali più qualificate.
Tra gli obiettivi assegnati alla formazione, uno in particolare tende in questi
anni a prendere corpo: quello di contribuire a rafforzare la collocazione dei
soggetti nel mercato del lavoro e di accompagnare i processi di mobilità
professionale, configurando così la formazione come strumento per avanzamenti
nel percorso di integrazione e come possibile leva per incrinare i meccanismi
di segregazione professionale e di etnicizzazione delle occupazioni che connotano ormai l’inserimento degli
immigrati nei mercati del lavoro italiani (1).
Non a caso recentemente si è posta sempre più attenzione ad indicatori quali
l’alta scolarizzazione di quote ragguardevoli di cittadini extracomunitari
presenti nel nostro paese e si è cominciato a ragionare più diffusamente circa
il tema della dequalificazione , della qualificazione e della riqualificazione
dei soggetti immigrati (2).
L‘evoluzione
dell’offerta di formazione professionale negli anni ‘90
Nel decennio ‘90 si sono
verificati alcuni cambiamenti sul versante dell’offerta formativa specifica,
pur se permangono limiti e vincoli che impediscono alla formazione di
rispondere in maniera soddisfacente alle trasformazioni della domanda e dell’offerta
di lavoro immigrata. Si possono in particolare individuare tre tappe (3). l’intervento formativo all’inizio degli anni
novanta assume di fatto il medesimo carattere emergenziale che connota l’intera politica per l’immigrazione:
la formazione è una delle leve che vengono utilizzate per far fronte ad un
problema nuovo, emergente e soprattutto difficile da affrontare. A questa prima
fase segnata dall’emergenza e dalla rincorsa ai problemi, ne segue una di
relativa stasi, e comunque di minore visibilità degli interventi e di
sperimentazione quasi «sotterranea». Ciò deriva sicuramente dalla
consapevolezza diffusa circa le difficoltà degli interventi realizzati, che si
manifestano nella scarsa partecipazione e nel basso interesse degli immigrati
ai corsi attivati, nella frequenza altalenante e nei diffusi fenomeni di
abbandono, nel faticoso raccordo con il mercato del lavoro e con le imprese
potenzialmente interessate. Si potrebbe forse dire che si constata anche una
certa inutilità dei corsi: gli immigrati trovano comunque lavoro e questo non
sembra dipendere in primo luogo dalla formazione acquisita; anzi, questa tende
ad innalzare le attese dei formati rispetto a una domanda di lavoro che invece
si concentra su mansioni di basso profilo e scarsa qualificazione. Gli ultimi
anni del decennio novanta definiscono un panorama della formazione
professionale per immigrati con qualche segnale di discontinuità; si rileva una
certa ripresa di attenzione ma soprattutto un consolidamento delle attività,
peraltro più di tipo qualitativo che quantitativo, atteso che il numero dei
corsi e soprattutto degli utenti rimane di dimensioni ridotte. Anche per
effetto dei Fondi e dei Programmi comunitari, la formazione professionale per
immigrati sembra riemergere come strumento con valenze più innovative e con
obiettivi parzialmente ridefiniti.
Tra intervento
residuale e «buone prassi»
La situazione italiana
presenta un quadro disorganico della formazione professionale per gli
immigrati, caratterizzato da mancanza di progettazione, frammentazione
dell’offerta, discontinuità temporali, incertezze finanziarie. Essa risente
indubbiamente di una serie di vincoli che le provengono sia dalla
programmazione regionale (riduzione dei finanziamenti, ma soprattutto mancanza
di continuità dei finanziamenti stessi, oltre che eccessiva burocrazia) sia
dalle direttive e dalle linee del Fondo Sociale Europeo.
Fatica a dipanarsi anche
una strategia di collaborazione e di intervento sinergico e coordinato. In
generale, molto sembra lasciato alle iniziative dal basso e vi è scarsa
interazione tra gli enti proponenti, e le pubbliche amministrazioni, e con il
soggetto regionale, il quale non svolge un’azione strategica significativa di
promozione e integrazione, quando invece è a livello di governo regionale che
dovrebbero essere garantiti il presidio e la coerenza dell’intero quadro
dell’offerta, la sua rispondenza agli effettivi bisogni e la necessaria
attenzione alle nuove domande del territorio. Quello della formazione professionale
per gli immigrati appare un segmento formativo marginale (anche in termini
quantitativi), su cui pochi enti possono vantare una reale e consolidata
competenza, e in merito al quale sembrano pesare le difficoltà di
collaborazione tra i soggetti istituzionali competenti e la scarsa
progettualità del soggetto pubblico. D’altra parte, se l’inserimento lavorativo
degli immigrati è «spontaneo» (stante la cronica indisponibilità di manodopera
autoctona per le mansioni dequalificate ricoperte) e in qualche modo
rigidamente predeterminato nei percorsi e nelle mansioni (limitato cioè a
specifici segmenti professionali), e se esso deve rimanere il più possibile
sommerso e invisibile, diventa neanche troppo paradossale pensare che non
servano interventi di orientamento, di accompagnamento al lavoro e di
formazione professionale. La formazione diventa così residuale rispetto alla
negoziazione e ai pronunciamenti pubblici degli attori istituzionali e dei
soggetti sociali.
Le analisi condotte in
questi anni tuttavia hanno messo in luce anche esperienze formative
significative, in qualche caso con un ruolo positivo e innovativo giocato dai
soggetti pubblici (4). Facendo
riferimento alla situazione nella
regione Lombardia si possono individuare alcune realtà provinciali dove
risulta particolarmente sviluppata la formazione professionale per immigrati.
Più precisamente, i singoli casi sono caratterizzabili in questi termini:
1) Milano presenta un’accentuata ricchezza di iniziative, stante l’articolazione della sua ricchezza un po’ anarchica e scarsamente governata;
2) Bergamo rappresenta
il tentativo di intervento globale rispetto al problema migratorio, con lo
sforzo, da parte del Centro servizi stranieri del Comune, di introdurre un
approccio diverso alla questione; da segnalare in particolare sono i protocolli
con Camera di Commercio e Unione industriali per l’attivazione di corsi
professionali per qualifiche più elevate, la realizzazione di una banca dati
sulle opportunità formative per immigrati, la creazione di una rete con gli
istituti di scuola superiore per il riconoscimento dei crediti formativi;
3) Brescia si qualifica
per lo sforzo di realizzare un’integrazione di sistema: tra i soggetti locali
istituzionali e non (comune, scuola e formazione professionale) e tra i tipi di
percorsi formativi (possibilità di passaggi e riconoscimento dei crediti
formativi).
In tali contesti locali
sono rilevabili iniziative formative di particolare interesse e con un certo
carattere di innovazione, soprattutto per le modalità di attuazione che vedono
il coinvolgimento di una pluralità di soggetti, valorizzando così competenze ed
esperienze maturate nell’area degli interventi a favore dell’inserimento
lavorativo degli immigrati. Ci riferiamo in particolare a quattro iniziative
emblematiche, ovvero:
il progetto Worldjob della
Provincia di Milano, nato sulla base di un protocollo di intesa tra soggetti
istituzionali e non, con l’obiettivo di unire le azioni che ciascuno di essi
realizza a sostegno dell’inserimento lavorativo degli stranieri. I soggetti
coinvolti sono enti di formazione professionale (Fondazione Clerici),
istituzioni pubbliche (Agenzia per l’Impiego della Lombardia, Comune di
Milano), associazioni di immigrati (Associazione Extracenter) , associazioni e
fondazioni non-profit (Centro di Solidarietà San Martino, Fondazione San
Carlo). Quanto alla tipologia dei corsi professionali previsti nell’ambito del
progetto, nell’anno 1998/99 sono stati cinque e hanno riguardato figure
professionali sia del terziario sia dell’industria: assistente familiare
geriatrica (18 allievi, di cui 15 donne, di 11 diverse nazionalità), meccanico
saldocarpentiere (15 allievi maschi, di 10 paesi diversi), operatore di
ristorazione collettiva (18 immigrati, di cui 12 donne, di 11 nazionalità
diverse), lattoniere (15 immigrati, tutti africani ma di 10 paesi diversi),
meccanico (18 allievi, la gran parte africani). Per tutti i corsi il
monte-ore si è distribuito tra
formazione teorica, un breve modulo di orientamento, esercitazioni pratiche e
laboratorio, e un periodo prolungato di stage. L’esito occupazionale si
presenta buono, favorito per diversi immigrati dal periodo di stage nelle
realtà produttive;
i progetti Work, sostenuti sempre dalla Provincia di
Milano, che hanno dato vita ad una esperienza corsuale rivolta anche agli
immigrati. Essi nascono come evoluzione delle tradizionali «150 ore»,
all’interno di un ripensamento dei percorsi formativi per gli adulti e hanno
previsto l’integrazione tra diversi moduli: uno propedeutico orientativo, uno
pre-professionalizzante e un modulo di insegnamento tradizionale. Al termine
del corso gli allievi conseguono il diploma di terza media e ottengono un
attestato di frequenza rilasciato dal centro di formazione professionale nel
quale è avvenuto il modulo professionalizzante. Anche in questo caso il
progetto si è caratterizzato per la positiva collaborazione tra diversi
soggetti istituzionali e non (Regione, Provincia, Provveditorato, Centri
territoriali per l’educazione degli adulti, Centri di formazione
professionale). Anche per questi progetti, gli sbocchi occupazionali sono
risultati molto buoni;
i progetti realizzati
nella provincia di Brescia, in particolare dal Comune di Brescia, che hanno il
loro punto di forza nell’integrazione, intesa sia come sinergia tra più attori
sia come interconnessione tra percorsi formativi differenti. Infatti, il soggetto comunale si pone come
coordinatore tra i diversi attori operanti nel settore, ovvero Provveditorato,
Regione, Centri di formazione professionale, organizzazioni sindacali,
associazioni di volontariato. Ma la realizzazione che data ormai dai primi anni Novanta, passa anche attraverso l’integrazione tra scuola, formazione
professionale e avviamento al lavoro. Sono questi i tratti peculiari
dell’esperienza bresciana, tanto da parlare,
al singolare appunto, di
«progetto Brescia», ad indicare
l’intento di conferire carattere unitario a tutti gli interventi nel settore
educativo e formativo, coinvolgendo e valorizzando le competenze specifiche di
ciascun attore. Si prevedono percorsi formativi modulari e integrati (con
possibilità di passaggi da uno all’altro), con tre livelli di intervento, nel
quadro di un progetto sperimentale di educazione degli adulti: corsi
professionali specifici per cittadini stranieri; corsi di orientamento e di
alfabetizzazione linguistica; inserimento di immigrati nei corsi di formazione
professionale ordinari. Il pacchetto formativo sperimentale si completa con i
corsi per licenza elementare e media (le tradizionali «150 ore»). L’offerta
formativa ha previsto per l’anno 1998/99 un pacchetto composto da corsi di
lingua italiana e di licenza media; corsi Sirio (per immigrati in possesso di
laurea o diploma del paese di origine); corsi di formazione professionale (le
figure professionali interessate sono state operaio saldocarpentiere, operatore
di macchine utensili, manovale dell’edilizia, aiuto-cuoco, mungitore). Quanto
agli esiti occupazionali, la quasi totalità degli immigrati che hanno terminato
il corso si è inserita nel mondo del lavoro;
il progetto del
Formaper, azienda speciale della Camera di Commercio di Milano, che da qualche
anno promuove un corso di formazione denominato «Immigrati creano la propria
impresa», programmato con il contributo del Fondo sociale europeo, della
Regione Lombardia e del Ministero del lavoro e con la collaborazione di altri
enti (in particolare la Fondazione San Carlo). I partecipanti, tutti con un
livello di istruzione medio-alto, sono stati 20 per ogni edizione del corso;
nella prima 16 (di cui 8 donne) hanno sostenuto l’esame finale e nella seconda
invece 12, di cui 3 donne. Il corso di formazione costituisce un percorso che
parte dalla business idea per arrivare al business plan, con lo scopo
essenziale di fornire strumenti conoscitivi e tecniche operative affinché i
partecipanti siano in grado di sviluppare e realizzare il piano di fattibilità
di un progetto di creazione di impresa e/o di attività autonoma. La struttura del
corso vede un parte preponderante di formazione teorica in aula, ma anche un
breve modulo di attività pratica di ricerca dati e informazioni, e un
prolungato periodo di stage presso aziende medio-piccole del settore di
attività nel quale l’allievo intende sviluppare l’idea del proprio business.
Il progetto presenta dunque un carattere di innovazione, sia per il
supporto offerto alla maggiore mobilità professionale degli utenti immigrati,
sia per la prevista collaborazione tra soggetti diversi del territorio
milanese.
Linee per la
riqualificazione dell‘intervento formativo
Sembra dunque sensato
partire da queste esperienze, che possono rappresentare «buone prassi» da
riprodurre e trasferire in altri contesti e realtà, (5)
per tentare di nidefinire le condizioni politico-stituzionali nonché le
caratteristiche di qualità dell’itinerario formativo specifico. È possibile
infatti arrivare a definire alcuni aspetti che si presentano come condizioni
essenziali di un intervento formativo che voglia puntare sulla qualità e che
riprendiamo quali elementi di trasfenibilità per ulteriori attività formative;
caratteristiche che prefigurano il passaggio da un itinerario formativo
semplice a un intervento formativo complesso o integrato, così come riassunte
nello schema seguente.(6)
intervento
formativo semplice |
intervento
formativo complesso/integrato |
soggetti
promotori new comers, senza esperienza specifica |
soggetti
promotori con esperienza consolidata di formazione professionale per
immigrati |
iniziativa
e gestione a cura del solo ente formativo |
partnership tra vari enti e coinvolgimento
del volontariato |
corso
di formazione professionale e/o di alfabetizzazione linguistica e/o di
orientamento |
moduli
e percorsi integrati di formazione professionale, orientamento,
alfabetizzazione linguistica |
utilizzo
della sola leva formativa |
integrazione tra formazione e altri tipi di
intervento promozionale (politiche del lavoro e politiche sociali |
programmazione generica e poco mirata ai
fabbisogni professionali del mercato del lavoro |
analisi
della domanda di lavoro locale e verifica delle effettive opportunità
occupazionali della figura professionale |
utenza
esclusivamente immigrata (fino ad esaurimento dei posti disponibili) |
utenza
mista (immigrata e autoctona) e accurata reselezione degli allievi |
docenza
tradizionale e indigena |
co-docenza
e/o mediatore culturale e/o tutor immigrato |
orario
standard |
modularità dell’orario rispetto all’utente |
debole
integrazione tra apprendimento teorico ed esperienza pratica |
forte
integrazione tra apprendimento teorico ed esperienza pratica (stage e
tirocini) |
coinvolgimento
‘generico’degli imprenditori |
coinvolgimento
delle aziende interessate prima, durante e dopo il corso |
inserimento occupazionale ‘aleatorio’ e
lasciato all’iniziativa dell’allievo |
inserimento
occupazionale più certo, garantito e guidato |
esaurimento del rapporto con gli allievi
alla fine dell’intervento formativo |
counselling
successivo, e promozione associazionismo tra immigrati |
Tra tutte queste
caratteristiche si può tentare altresì di precisare, alla luce delle esperienze
formative locali, quelle condizioni che oggi si presentano come più necessarie
per prefigurare casi forrnativi di qualità, che richiedono un’attenzione e un
intervento specifici e che investono anche le dimensioni politico-istituzionali
e il ruolo degli attori. Tali condizioni prioritarie possono essere indicate
nei termini seguenti:
la realizzazione di
iniziative che rispondano ad una logica di utenza mista, e che vedano
localmente un adeguato mix tra interventi per tutti e interventi ad hoc
per immigrati, in una prospettiva di flessibilizzazione dell’intervento che
non contrappone gli immigrati agli altri segmenti di utenza, ma che prevede
attenzione alle difficoltà di accesso e fruizione, oltre che alle domande e
problemi specifici di un’utenza non omogenea;
la creazione di una
rete: la capacità di costruire e di lavorare in una rete di soggetti a diverso
titolo coinvolti nel processo costituisce un elemento imprescindibile;
l’intervento per l’immigrazione può essere paradigmatico dell’esigenza di
operare in una prospettiva di rete, tra servizi e istituzioni diverse, tra
strutture pubbliche, reti associative e di terzo settore, con una particolare
valorizzazione dell’associazionismo immigrato;
la diversificazione
dell’offerta formativa, secondo una tipologia di corsi che la ricerca empirica
disponibile ha cercato di esplicitare con sufficiente adeguatezza (7). Ciò su cui però vogliamo mettere l’accento in
questa sede è soprattutto l’importanza di distinguere due momenti fondamentali
dell’intervento: quello del primo inserimento e quello rivolto ai già occupati.
Sul primo versante, la fase di inserimento si rivela problematica, più che per
la scarsa formazione professionale, per la mancanza di altri requisiti e
condizioni; per cui si richiedono altri strumenti e leve di intervento (di
orientamento, di socializzazione, di supporto linguistico, di accompagnamento,
di rapporto con le aziende, di sostegno economico, ecc.) oltre, e forse più,
che formazione; la quale tuttavia deve essere molto breve, mirata, in
alternanza (possono essere utili strumenti quali le borse lavoro). Sul versante
invece della formazione per soggetti già occupati o che comunque hanno già
vissuto un passaggio tra diverse occupazioni, l’intervento deve saper
rispondere - sempre con modalità in alternanza, flessibili, e con
strutturazione modulare e breve — alle situazioni in cui necessita
riqualificarsi, migliorare e perfezionare la propria condizione lavorativa. Si
tratta di intervenire in situazioni esistenziali e lavorative nelle quali -
come peraltro avviene anche per i giovanissimi italiani inseriti troppo
precocemente e senza adeguata istruzione nel mondo del lavoro - la formazione
viene maggiormente apprezzata e riscoperta proprio dopo un po’ di anni di
esperienza lavorativa (8). Sovente poi
queste
aspirazioni al miglioramento
professionale si indirizzano verso il passaggio a un lavoro autonomo e in
specie verso l’avvio di un’attività imprenditoriale, aprendo un capitolo
interessante della futura formazione per immigrati; (9)
la capacità di mirare
molto l’obiettivo dell’intervento, che dovrà essere selettivo quanto a target
di utenza, breve quanto a durata e preciso quanto a sbocco occupazionale,
poiché non è scontato che azioni di carattere generale riescano a incontrare le
esigenze specifiche degli immigrati;
la presenza di un
centro/ente con un’esperienza formativa forte, con un bagaglio costruito nella
formazione professionale per italiani e in quella specifica, non solo sul piano
più strettamente formativo ma anche in quello della mediazione lavorativa,
dell’accompagnamento, del tutoraggio;
l’integrazione tra gli
interventi pubblici, e quindi tra politiche formative, sociali e del lavoro,
nella prospettiva di una più stretta correlazione tra integrazione economica e
lavorativa e integrazione sociale. Ciò significa integrazione con la scuola,
con i nuovi servizi all’impiego e con le funzioni di politica attiva del
lavoro. Per limitarsi ad un solo riferimento esemplificativo, si pensi alla
necessità di prevedere misure di sostegno del reddito integrate con il progetto
formativo: emblematicamente, proprio in considerazione delle difficoltà di
partecipazione e di frequenza ai percorsi formativi da parte degli immigrati,
il patto formativo perseguito in alcuni progetti europei prevede appunto garanzia
di vitto e alloggio in cambio di fedeltà e impegno nella frequenza al corso.
Ridefinire le
azioni formative
La ridefinizione
dell’intervento formativo deve percorrere una duplice prospettiva, quella della
differenziazione e quella dell’integrazione degli interventi, se è vero che le
esigenze formative vanno collocate all’interno delle esigenze più ampie
espresse dagli immigrati nel loro percorso di inserimento economico-lavorativo
e di integrazione sociale nella società ospitante. La formazione si trova di
fronte due strade: può paradossalmente rafforzare la marginalità degli
immigrati nel mercato del lavoro oppure può contribuire a far uscire gli
immigrati dalla spirale della marginalità lavorativa e professionale. Sono
necessari un’innovazione dei sistemi formativi e il cambiamento delle politiche
- in un’ottica di integrazione, se è vero che la formazione professionale
costituisce una parte dei diritti di cittadinanza (10) - ma sono richiesti altresì un
mutamento culturale degli attori e del loro modo di rapportarsi, e
un'assunzione di responsabilità da parte dei diversi soggetti sociali ed
economici dello sviluppo locale, sindacato e impresa in primo luogo.
Note:
1)
Cfr. il contributo di Zanfrini L., La discriminazione nel mercato del lavoro,
in Fondazione Cariplo I.S.MU., Quinto rapporto sulle migrazioni 1999, Franco
Angeli, Milano 2000, pp. 163-186.
2) Si
veda, in proposito, l’analisi proposta nella ricerca Cerfe, Fse, Ministero del
lavoro, Ricerca-Azione Impresa e Immigrazione. Documento di lavoro, rapporto
policopiato, Roma 1999.
3) Si
vedano i risultati di una recente ricerca promossa dalla Fondazione Cariplo
I.S.MU. e coordinata da chi scrive, pubblicata in Colasanto M., Martinelli M.,
Zucchetti E., Formazione professionale, enti locali e immigrazione, Quaderni
I.S.MU., 1, 2000. Cfr. anche l’ampia ricerca di Carchedi F. (a cura di), La
risorsa inaspettata. Lavoro e formazione degli immigrati nell’Europa
mediterranea, Ediesse, Roma 1999
4) Si
vedano le ricognizioni empiriche contenute in Colasanto M., Martinelli M.,
Zucchetti E., Formazione professionale, enti locali e immigrazione, cit.;
Carchedi F. (a cura di), La risorsa inaspettata. Lavoro e formazione degli
immigrati nell’Europa mediterranea, cit.
5)
Cfr. Montedoro C., Le buone pratiche nella formazione professionale iniziale,
in «Professionalità», 58, 2000, pp. 71-85.
6) Si
veda Zucchetti E. (a cura di), La formazione professionale per immigrati nella
realtà lombarda,
«Quaderni I.S.MU., 1,
1992.
7) Si
veda al riguardo Provincia di Bologna-Comune di Bologna, La formazione
professionale delle immigrate e degli immigrati a Bologna, in «La società
multietnica-Osservatorio metropolitano delle Immigrazioni», 3, dicembre 1998
(cfr. in particolare il contributo di L. Tronti alle pp. 143-154); Massa R. (a
cura di), Imparare errando. La formazione professionale degli extracomunitari
in Europa, Libreria Cuem, Milano 1996; Zucchetti E. (a cura di), La formazione
professionale per immigrati nella realtà lombarda, cit.
8)
Vanno in tale direzione i risultati di un’esperienza forniativa recente, che
appunto si è rivolta a un’utenza presente in Italia da qualche anno e
desiderosa di migliorare la propria posizione lavorativa. In questi casi, la
formazione può diventare anche «uno strumento di autoprogettazione e
definizione delle proprie strategie, essere un elemento di promozione al
benessere dell’individuo e della società ospitante, attuando l’accordo tra
individui e gruppi, per favorire l’autonomia degli immigrati e un nuovo
inserimento all’interno del Paese in cui emigrano» (Derosas R.-Guarino 5., La
fp: un ponte per il lavoro. Analisi di un‘esperienza di fp rivolta ad adulti
extracom unitari, in «Professionalità», XIX, 54, 1999, p. 83).
9)
Cfr. al riguardo l’interessante analisi contenuta nella già citata ricerca
Cerfe, Fse, Ministero del lavoro, Ricerca-Azione Impresa e Immigrazione.
Documento di lavoro, cit, pp. 133-159.
10)
Cfr. Carchedi F. (a cura di), La risorsa inaspettata, cit.