Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati

SECONDO RAPPORTO SULL'INTEGRAZIONE DEGLI IMMIGRATI IN ITALIA

 

PRIMA PARTE

INDICATORI DI INTEGRAZIONE

 

CAPITOLO 1

 

UN SISTEMA DI INDICATORI DI INTEGRAZIONE: UN PRIMO TENTATIVO DI COSTRUZIONE

 

1. Premessa

Nel predisporre e realizzare politiche volte a favorire l'inserimento degli immigrati stranieri nella nostra società è necessario, sia nella fase progettuale sia in quella di verifica degli interventi adottati, poter disporre di una serie di indicatori capaci di cogliere la condizione dei nuovi venuti nelle diverse sfere della vita sociale e in grado di evidenziare le dimensioni maggiormente problematiche.

L'importanza della predisposizione di un adeguato sistema informativo è ampiamente riconosciuta: negli ultimi anni molta attenzione è stata rivolta in Europa, a livello internazionale, alla misura dell'integrazione degli immigrati [Cagiano et al. 1992; 1994; Council of Europe 1997; Haug 2000] e diverse proposte ed analisi sono emerse anche a livello nazionale [Colasanto e Ambrosini 1993; Casacchia e Strozza 1995; Natale e Strozza 1997; Caritas di Roma 1999; Zincone 2000b]. Qui si intende porre le basi per la predisposizione di un sistema di indicatori che consenta di avere, anno dopo anno, un monitoraggio sulla situazione delle collettività immigrate nei diversi contesti territoriali italiani. Evidentemente l'obiettivo è ambizioso e di non facile realizzazione.

Per ciascuna dimensione saranno proposti gli indicatori che sembrerebbero, a livello teorico, i più adeguati al «monitoraggio» dell'integrazione e quelli costruibili in base al materiale statistico attualmente disponibile.

 

2. Dai modelli alle possibili misure di integrazione

 

2. 1. Un richiamo ai principali modelli

Per un'attenta individuazione delle misure e degli indicatori di integrazione occorre preliminarmente evidenziare gli aspetti caratteristici del fenomeno e richiamare brevemente i principali modelli teorici e i limiti di applicabilità riscontrati. Il termine integrazione esprime un concetto complesso il cui significato può variare nel tempo e nello spazio a seconda del paese considerato, delle circostanze storico‑politiche e della fase dell'immigrazione [Conti e Strozza 2000]. Notevoli sono le difficoltà nel fornire una formulazione univoca e puntuale del termine, anche perché ciò che sicuramente contraddistingue l'integrazione è il suo carattere dinamico: si può defi­nire pertanto sia un processo che lo stadio raggiunto del processo stesso d'inserimento [Castles 1998].

In termini di processo, l'integrazione è vista come un percorso che coinvolge due entità distinte, l'individuo che cerca di inserirsi, e anche di coesistere al meglio, nel contesto di accoglimento e la società ospitante che lo aiuta, lo lascia fare o lo ostacola nel raggiungere il proprio scopo. Nella sua accezione di processo, l'integrazione comprende tutte le modalità attraverso le quali l'immigrato può essere «incorporato» nella realtà di adozione. L'inserimento può assumere, immaginando un continuum che va dalla assimilazione al multiculturalismo [Magura e Coleman 1994], forme e caratteristiche assai differenti.

L'assimilazione definisce un processo unidirezionale di adattamento dello straniero al nuovo ambiente sociale. Più precisamente, per Park e Burgess questa costituisce «il processo di interpenetrazione e di fusione per il quale persone o gruppi acquisiscono memorie, sentimenti e attitudini di altre persone o gruppi e, modellati dalla loro esperienza e storia, sono incorporati in una vita culturale comune» [Park e Burgess 1921, p. 360]. In altre parole, ci si aspetta che l'individuo rinunci alle proprie caratteristiche linguistiche, sociali e culturali a favore di un suo completo assorbimento nella società ospitante. Per questa via, l'immigrato si confonde con il resto della popolazione e ne acquisisce anche la «nazionalità culturale». In questo modello ed in questa logica, il ruolo dello Stato è quello di creare le condizioni giuridiche ed operative che favoriscano l'adattamento dell'individuo al nuovo ambiente sociale e non quello di riconoscere l'esistenza di diversi gruppi etnici. Un atto di questo tipo sarebbe infatti contrario all'assimilazione in quanto consentirebbe ed ufficializzerebbe l'esistenza di più appartenenze culturali. Di fatto, il tentativo da parte di alcuni governi di tradurre in realtà il modello socio‑politico si è risolto in un mancato raggiungimento dell'obiettivo. Il noto caso del «velo islamico» sollevato in Francia qualche anno fa ha dimostrato come l'identità culturale sia una realtà incancellabile.

Un secondo modello di incorporazione degli immigrati prevede la loro più o meno ampia marginalizzazione e/o esclusione. Le politiche che si ispirano a questo principio riducono la partecipazione degli individui solo ad alcune, determinate, sfere della società (che, in genere, corrispondono a quelle connesse con il mercato del lavoro), rifiutandogli invece l'accesso alle altre dimensioni. L'esclusione può materialmente tradursi in strumenti giuridici quali, ad esempio, l'imposizione di onerose condizioni per l'acquisizione della cittadinanza, oppure in atteggiamenti discriminatori che impediscono un pieno inserimento dell'immigrato nella società ospitante.

Diverso è invece il caso in cui l'integrazione è intesa nel senso di coesistenza tra più gruppi che riescono a preservare le proprie tradizioni nei confronti del gruppo maggioritario. I vari gruppi rimangono distinti tra loro e dal gruppo maggioritario in ordine a lingua, cultura e tradizioni [Todisco 1995]. La collettività nativa non si attende, quindi, che gli individui rinuncino alla loro diversità ma che accettino alcuni valori chiave della società di adozione. Il rischio connesso all'applicazione di questo modello è la costituzione di comunità ripiegate su se stesse e non interagenti tra di loro.

L'incorporazione può infine avvenire secondo le regole dell'integrazione. Questo modello cerca di superare i limiti dei modelli precedentemente esposti intendendo per integrazione sia l'integrità della persona, delle collettività coinvolte in tale processo, sia l'interazione positiva e la pacifica convivenza tra tutte le collettività, compresa ovviamente quella autoctona [Zincone 2000a].

Seguendo questo principio, nel costruire le politiche di integrazione, occorre tenere conto delle esigenze dei nazionali e delle loro insicurezze di fronte al complesso fenomeno dell'immigrazione. E’ necessario tuttavia tenere presente che le esigenze delle comunità immigrate sono altrettanto degne di tutela e che pertanto, l'accoglimento delle istanze dei nazionali vadano contemperate al riconoscimento delle diversità di tali collettività. Riconoscere e rispettare le differenze non deve però portare alla creazione di cellule isolate: l'obiettivo di fondo dell'integrazione è, al contrario, quello di realizzare interazioni positive tra nazionali ed immigrati nel quadro di un dialogo che si articoli in più dimensioni, estendendosi così a tutte le sfere del convivere, e che sia in grado di arricchire entrambe le parti in causa [Zincone 2000a].

 

2.2. L'utilità delle misure di integrazione

Il richiamo assai sintetico ai vari modelli di integrazione consente di ricordare quante chiavi di lettura possono essere date allo stesso termine. Tuttavia, una volta indicate le differenze, occorre sottolineare il dato comune relativo alle dimensioni nelle quali interviene l'integrazione.

Questo riguarda il ruolo giuridico, sociale, culturale e, aggiungiamo noi, economico che gli immigrati ricoprono nel contesto in cui si trovano ad agire [Council of Europe 1997]. Le scelte effettuate dal legislatore dovrebbero favorire un'evoluzione delle condizioni di vita dell'immigrato in ciascuna di queste sfere. Di conseguenza, risulta evidente che il secondo carattere distintivo dell'integrazione, dopo quello dell'essere processo, è dato dalla sua pluridimensionalità.

La complessità del fenomeno, dal punto di vista della definizione del concetto stesso e dal numero di aspetti interessati, ha fatto emergere la necessità di costruire misure di sintesi atte ad evidenziare «differenze o similitudini nei comportamenti o nelle situazioni» [Haut Conseil à l'Intégration, 1991a] che coinvolgano immigrati e nazionali. Attraverso il ricorso a misure o indicatori statistici si cerca, quindi, di monitorare un processo di per sé difficilmente quantificabile nel tempo e nello spazio.

Essendo inoltre questo tipo di calcoli suscettibili, in diversi casi, di misurare la distanza tra i gruppi cui fanno riferimento, possono essere considerati come degli indicatori di allerta: un eccessivo scarto tra le misure relative ai vari gruppi potrebbe infatti indicare un rischio di non integrazione o di discriminazione (1) [Haut Conseil à l'Intégration 1991b].

Il ricorso agli indicatori appare cruciale per misurare i cambiamenti nelle caratteristiche, nelle propensioni e nei bisogni delle collettività immigrate, nonché per monitorare specifici aspetti delle politiche di intervento sociale. L'attenzione va rivolta in particolare a quelle informazioni statistiche che consentono di misurare le condizioni sociali, e le loro modificazioni nel tempo, delle diverse comunità straniere.

 

2.3. Modello di integrazione e misura dell'integrazione

La scelta di un indicatore va ancorata alla realtà storica nella quale si colloca lo studio: questa, infatti, incide sia nel selezionare un indicatore tra gli altri, sia sul significato da attribuire al risultato dell'elaborazione.

Riguardo al primo aspetto, nel rapporto EUROSTAT del 1994 relativo alle politiche di integrazione di sette paesi europei [Cagiano de Azevedo et al. 1994] vengono sottolineate le differenze nelle batterie di indicatori scelte dai vari gruppi di lavoro. Ad esempio, il rapporto relativo all'Italia non contempla, nell'ambito delle misure relative all'alloggio, l'ipotesi di immigrati proprietari delle abitazioni occupate che, al contrario, appare nelle analisi realizzate per gli altri paesi. In effetti, l'elaborazione fotografa una realtà nella quale il fenomeno allo studio era nel nostro paese meno «maturo» rispetto ai paesi di più antica immigrazione. Nella situazione italiana dell'inizio degli anni Novanta ed anche attuale, l'ipotesi di cui sopra assumeva scarsa rilevanza. Per contro, solo gli esperti italiani rilevano misure relative agli immigrati sistemati in centri di prima accoglienza a testimonianza, di nuovo, della considerazione che viene fatta delle caratteristiche dei contesto che gli indicatori aiutano a sintetizzare. Gli indicatori, quindi, non sono sempre fissi nel tempo ma, in alcuni casi possono variare in base alla fase ed all'evoluzione del processo migratorio.

Se è vero che cambia il tipo di indicatore utilizzato in funzione della realtà e del modello sotteso, è d'altra parte vero che alcuni indicatori vengono studiati più spesso di altri anche se il significato loro attribuito varia a seconda della realtà di riferimento. Proprio la procedura di costruzione potrebbe far pensare a indicatori tarati su distinti modelli migratori. In realtà, diversi indicatori non possono che riferirsi all'intensità o alla struttura di un fenomeno così come osservate nella popolazione autoctona. Inoltre, è assai utile leggere la misura alla luce della politica migratoria del paese in esame ed agli scopi che essa persegue tarando, quindi, il risultato statistico al modello di integrazione ambito o adottato: diverso sarà infatti il senso da attribuire ad uno stesso indicatore quale, ad esempio, l'acquisizione della cittadinanza, in un paese che persegue un obiettivo di assimilazione degli immigrati da uno che punta invece alla loro marginalizzazione.

Tra gli indicatori che più frequentemente vengono utilizzati, un posto di primaria importanza si deve riconoscere proprio alle acquisizioni di cittadinanza attraverso cui si raggiunge la piena parità di diritti e di doveri tra immigrati e nazionali.

Alcuni autori [Gallo, Bisogno e Strozza 2000] hanno puntualizzato l'ambi­valente ruolo di questo istituto giuridico in ordine al percorso di integrazione: da un lato, questo può assumere la valenza di uno strumento volto a facilitare l'integrazione dell'immigrato nel paese ospite riconoscendogli piena cittadinanza, dall'altro, può essere interpretato come la tappa finale di un lungo e faticoso processo.

Coleman [1994] suggerisce di dividere i paesi europei in due gruppi in ordine alla concessione della cittadinanza: paesi che adottano una politica «liberale» volta ad incoraggiare gli immigrati ad acquisire una nuova cittadinanza e paesi «protezionisti» che impongono invece severe condizioni monetarie o la verifica del grado di integrazione raggiunto dall'interessato. Chiaramente una distinzione così netta e precisa può riferirsi solo ad un'astrazione teorica: la situazione è più complessa perché spesso le politiche non sono così facilmente ed univocamente catalogabili.

Il risultato è quindi influenzato (e si dovrà tenere conto di questo) dalle politiche adottate ma non solo. Il valore dell'indicatore sarà anche determinato dall'orizzonte spazio‑temporale del migrante: è ovvio che se il progetto migratorio (che, peraltro, essendo progetto per definizione può cambiare) non contempla una permanenza a lungo termine nel paese di accoglienza ma un rientro a breve in quello di origine, o se il paese di accoglienza è considerato un ponte verso un altro paese, possiamo ipotizzare che avremo un basso livello di richieste di cittadinanza a prescindere dalla maggiore o minore apertura delle politiche di integrazione nazionale. In altre parole, anche il ruolo svolto dal paese ospitante (di vera attrazione o di solo passaggio), che può variare in base ad alcune caratteristiche e all'area di origine dei migranti, può incidere sul risultato fornito dall'indicatore.

In conclusione, il carattere di complessità insito nella nozione di integrazione comporta necessariamente l'impiego di vari indicatori il cui significato varia in base al «modello migratorio» delle collettività straniere che è la sintesi tra il progetto iniziale e la sua realizzazione effettiva nel contesto di accoglimento. Pertanto, quella che potrebbe sembrare un'analisi puramente tecnica presuppone, al contrario, un elevato grado di conoscenza della realtà che si cerca di cogliere e sintetizzare attraverso il ricorso a strumenti statistici.

Sarebbe quindi fondamentale far ricorso anche ad indicatori che esprimano le caratteristiche delle collettività straniere e le loro intenzioni sia a stabilirsi nel paese di accoglimento sia a intraprendere relazioni positive con la collettività autoctona.

 

2.4. Modalità di analisi e categorie considerate

Nella predisposizione degli indicatori di integrazione un punto cruciale è rappresentato dall'esatta definizione dei segmenti di popolazione a cui fare riferimento. Gli immigrati stranieri, che all'inizio del processo migratorio costituiscono praticamente la totalità del collettivo obiettivo, col passare del tempo rappresentano solo il segmento principale a cui va affiancato quello degli immigrati naturalizzati e quello dei figli nati nel paese di accoglimento (la cosiddetta seconda generazione). In tal modo si determina un'articolazione della realtà tale da rendere inadeguata l'adozione di definizioni semplici quali quella di immigrato o quella di straniero che non sono più coincidenti e, soprattutto, colgono soltanto una parte del collettivo d'interesse. Accanto alla popolazione straniera sembra pertanto opportuno considerare anche quella di origine straniera che ha acquisito la cittadinanza del paese di accoglimento, segmento che in genere si colloca in uno stadio più avanzato del processo di integrazione. (2) Inoltre, all'interno dell'insieme degli stranieri va considerata non solo la componente legale (immigrati con permesso di soggiorno valido e minori al seguito) ma anche quella illegale (immigrati clandestini o con permesso scaduto e non rinnovato) che, ovviamente, risulta difficilmente quan­tificabile. Gli illegali rappresentano sicuramente la parte meno stabile ed integrata della popolazione straniera; essi potranno intraprendere un effettivo percorso di integrazione soltanto a seguito di disposizioni eccezionali di regolarizzazione che ne consentano la transizione verso una situazione di legalità della presenza.

Pertanto, in maniera schematica si possono individuare almeno tre segmenti di interesse che individuano differenti bisogni e livelli di partecipazione sociale: i naturalizzati, gli stranieri legali e quelli illegali. Per le collettività immigrate la strutturazione interna secondo questi sub‑gruppi può risultare anche enormemente differenziata, riflettendo fasi diverse del processo migratorio (le collettività di più recente costituzione hanno una quota più elevata di illegali e più contenuta di naturalizzati) e variabili propensioni all'inserimento nella società di accoglimento.

Sarebbe sicuramente di grande interesse poter considerare tutti e tre i segmenti in quanto ciascuno di essi incide in modo differenziato sulla società di arrivo ed è destinatario di specifiche politiche sociali. (3) Spesso però i dati rilevati e/o disponibili fanno riferimento prevalentemente al segmento centrale, quello costituito dalla popolazione straniera legale. Appare comunque opportuno avere indicazioni più o meno attendibili sulla consistenza dei tre gruppi che, come detto, potrebbe risultare assai differente tra le collettività immigrate. Inoltre, appare assolutamente necessario trovare soluzioni che consentano di costruire alcuni indicatori essenziali, superando i problemi dovuti alla mancanza di omogeneità nella popolazione di riferimento a numeratore e denominatore dei rapporto (alcuni casi specifici saranno evidenziati nel par. 3).

 

3. Un sistema di indicatori di integrazione

Dopo aver evidenziato alcuni legami tra modelli ed indicatori e l'utilità di questi ultimi come segnali di inserimento o meno degli immigrati nel contesto di accoglienza, occorre individuare, sulla base prevalente della definizione di integrazione proposta dalla Commissione [«integrità e interazione», cfr. Introduzione e sintesi in Zincone 2000a], i diversi aspetti che devono entrare in gioco per la costruzione di un adeguato sistema di misurazione del processo di integrazione delle collettività straniere. (4) Va subito detto che non tutte le misure che saranno proposte sono costruibili: l'impedimento è dovuto, in alcuni casi, alla mancanza dei dati necessari, in altri, alla mancata rispondenza dei dati alla realtà che si vuole cogliere.

La procedura seguita, che in questo primo anno di analisi statistica ha carattere sperimentale, ha comportato in primo luogo la determinazione di alcune dimensioni generali della integrazione che sono state articolate al loro interno in ambiti specifici per ciascuno dei quali sono stati definiti misure e indicatori. Le quattro dimensioni generali individuate (prospetto 1) esprimono aspetti differenti che entrano in gioco nel processo di integrazione:

A. le caratteristiche demografiche, sociali e territoriali che costituiscono i requisiti di base, in larga misura ascrivibili al capitale umano e sociale degli immigrati;

B. le relazioni con la comunità di origine e con quella di accoglimento, nel tentativo di valutare la propensione alla stabilizzazione e l'interazione con la popolazione nazionale;

C. l'effettivo inserimento e la piena realizzazione nel contesto scolastico e in quello lavorativo, dal momento che scuola e lavoro sono assi fondamentali per l'integrazione e per la mobilità sociale;

D. le condizioni di vita e l'attiva partecipazione alla vita di tutti i giorni che testimoniano di un pieno e positivo processo di interazione con l'ambiente di accoglimento.

Chiaramente, ognuna di queste dimensioni, descrivendo quadri generali, necessita della definizione di criteri che ne esplicitano sistematicamente il senso. Di conseguenza, le quattro dimensioni saranno divise in 12 ambiti specifici che, a loro volta, daranno luogo a vari indicatori (prospetto 1).

La carenza delle informazioni necessarie per costruire gli indicatori relativi alla quarta dimensione e ad una parte della terza, quella concernente la scolarità, nonché l'inadeguatezza dei dati per collettività sull'inserimento lavorativo (secondo ambito specifico della terza dimensione) hanno consigliato di evitare di proporre un'analisi di sintesi che, per forza di cose, sarebbe stata limitata alle sole prime due dimensioni, esprimendo quindi non lo stadio dell'integrazione ma i prerequisiti e le propensioni delle collettività straniere. Di seguito verranno definiti, distintamente per le quattro dimensioni, i principali indicatori di integrazione, mettendo in evidenza i problemi di costruzione e i limiti del materiale statistico attualmente disponibile. Poiché lo scopo principale è di fornire un quadro generale sulle attuali possibilità di analisi del processo di integrazione le tabelle e le figure proposte saranno commentate in maniera estremamente sintetica.

 

A ‑ La struttura demografica, sociale e territoriale

 

A.a ‑ Di alcuni problemi di costruzione degli indicatori

La struttura demografica, sociale e territoriale secondo il paese di origine, in tale ottica, costituisce il primo livello di studio dell'integrazione: l'intero processo dipende infatti innanzitutto dalla «morfologia» della popolazione immigrata.

 

Prospetto 1 ‑ Dimensioni, ambiti specifici, misure e indicatori di integrazione delle collettività straniere

 

DIMENSIONI

AMBITI SPECIFICI

MISURE E INDICATORI

A. STRUTTURA DEMOGRAFICA, SOCIALE E TERRITORIALE

A.I. Struttura demografica e comportamento riproduttivo

A.1.1.Ammontare

A. 1.2. Struttura per età

A.1.3. Struttura per sesso

A. 1.4. Struttura per stato civile

A. 1.5. Natalità/fecondità

 

A.2. Struttura sociale

A.2.1. Livello di istruzione

 

A.3. Struttura territoriale

A.3. 1. Distribuzione della popolazione sul territorio

B. RELAZIONI CON LA COMUNITA’ DI ORIGINE E CON QUELLA DI ACCOGLIMENTO

 

B.1. Relazioni con il paese di origine     

 

B. 1.1. Rimesse

B.3.1. Ricongiungimenti familiari

B. 1.2. Contatti con familiari in patria

 

B.2. Relazioni con il gruppo etnico

di origine e con gli altri gruppi               

B.2.1. Iscritti ad associazioni etniche

B.2.2. Matrimoni tra stranieri

 

B.3. Relazioni con il paese di accoglimento

B.3.2. Uso della lingua italiana

B.3.3. Matrimoni misti

B.3.4. Naturalizzazioni e acquisizioni della cittadinanza

 

C. INSERIMENTO LAVORATIVO E MOBILITA’ SOCIO‑PROFESSIONALE

C.1. Riuscita scolastica dei figli degli immigrati e della seconda generazione    

C. 1.1. Scolarizzazione

C.1.2. Insuccessi nella scuola dell'obbligo

C.1.3. Ritardi ed abbandoni

 

 

 

 

 

 

 

C.2. Inserimento lavorativo

               

C.2.1. Tasso di attività e partecipazione femminile

C.2.2. Tasso di disoccupazione

C.2.3. Settori di occupazione e qualifiche professionali

C.2.4. Lavoratori autonomi

C.2.5. Utilizzazione del capitale umano

D. VITA NELLA SOCIETA’

D.1. Alloggio

D.1.l. Distribuzione sul territorio urbano (concentrazione geografica e segregazione)

D. 1.2. Tipo di sistemazione abitativa

D.1.3. Quota di proprietari di abitazioni

D. 1.4. Quota di senza casa

D.1.5. Affollamento

 

D.2. Consumi

D.2.1. Quota di reddito consumato in beni non di prima necessità

 

D.3. Salute

D.3.1. Condizioni di salute

D.3.2. Abortività

D.3.3. Mortalità

 

D.4.. Devianza

D. 4. 1. Intensità dei comportamenti devianti rispetto ai nazionali

 

E’ impensabile cercare di approntare una qualsivoglia politica sociale prescindendo da una precisa conoscenza delle caratteristiche del collettivo obiettivo. La prima dimensione costituisce quindi una premessa a tale politica venendo infatti a definire principalmente il complesso del capitale umano e sociale degli immigrati.

Prima di tutto è fondamentale conoscere la numerosità delle collettività immigrate e la loro distribuzione territoriale per avere un'idea generale sulla consistenza e la localizzazione degli eventuali interventi da predisporre. La articolazione dell'ammontare totale secondo le modalità delle principali caratteristiche demografiche appare fondamentale per valutare in modo specifico squilibri ed eventuali necessità.

In particolare, la struttura per età dovrebbe consentire di evidenziare l'importanza assunta dalla popolazione in età lavorativa, oltre che dalla componente giovanile e da quella anziana, mettendo in luce la fase del processo migratorio (da un'immigrazione per lavoro al prevalere dei ricongiungimenti familiari fino all'eventuale invecchiamento del collettivo degli immigrati) e l'emergere di distinti e specifici bisogni (per i più giovani di istruzione e formazione per gli anziani di assistenza).

E’ non meno importante la struttura per sesso che è anche un segnale dello stadio del processo migratorio e che, in caso di forti squilibri, può essere un'indicazione delle possibili difficoltà che gli immigrati incontrano nelle relazioni sociali.

Anche la struttura per stato civile rivela una realtà che incide profondamente sulla sfera affettiva dell'immigrato e quindi sui suoi atteggiamenti e comportamenti. L'esistenza o meno di vincoli matrimoniali e la presenza o meno del coniuge in Italia esercita notevole influenza sull'esperienza migratoria e sul vissuto del migrante. Inoltre, è un'informazione utile per cogliere anticipatamente i possibili comportamenti nuziali e il numero atteso di richieste di ricongiungimento familiare.

Il comportamento riproduttivo delle coppie immigrate risente, ovviamente, dei modelli delle comunità di origine, anche se l'esperienza migratoria e la realtà di accoglimento possono modificare il calendario ed il numero delle nascite per donna. In letteratura particolare attenzione è stata rivolta proprio al processo di convergenza della fecondità degli immigrati, soprattutto di quelli provenienti da paesi ad alta fecondità, verso i livelli sperimentati dalla popolazione dei paese di accoglimento.

In questo tipo di analisi occorre considerare un possibile iniziale declino della fecondità, dovuto alle difficoltà connesse all'emigrazione [Maffioli 1996] ed allo squilibrio nella struttura per sesso, ed una successiva ripresa che in molti casi non raggiunge i livelli osservati nei paesi di origine, poiché una parte della fecondità rinviata non verrà più recuperata e/o il modello riproduttivo tenderà ad avvicinarsi a quello della popolazione autoctona.

Pertanto, se in molti paesi di accoglimento si assiste ad una flessione della fecondità delle popolazioni immigrate rispetto ai livelli osservati nei paesi di origine, questa situazione potrebbe non essere la conseguenza di un processo di convergenza dei comportamenti dei nuovi venuti verso quelli della popolazione ospitante. Nel primo periodo di immigrazione, infatti, la bassa fecondità potrebbe dipendere

soprattutto dalla proporzione di bambini nati prima dell'evento migratorio e/o dalla separazione delle coppie.(5)

Particolare attenzione viene rivolta alla fecondità intesa anche come segnale di un più generale rapporto degli immigrati con la società di accoglienza [Feld 1991]. infatti, è possibile individuare nel comportamento riproduttivo una vera e propria strategia di mobilità sociale messa in atto da gruppi minoritari economicamente e socialmente svantaggiati: in quest'ottica, una diminuzione del tasso di fecondità verrebbe interpretato come un fattore di promozione sociale. Tuttavia, una comunità che avverte come ostile la società circostante potrebbe dar luogo ad una forte fecondità come reazione sociale. Un terzo approccio considererebbe determinante nei comportamenti riproduttivi le norme religiose o ideologiche proprie di alcuni gruppi.

Da quanto detto è evidente, quindi, l'importanza che assume l'analisi del livello e dell'evoluzione della fecondità delle collettività straniere, anche se vanno superate alcune non facili difficoltà di misura. Il calcolo dei tassi specifici di fecondità per età e conseguentemente del tasso di fecondità totale (TFT), che esprime il numero medio di figli per donna, non appare semplice poiché il numero di nati vivi da riportare a numeratore comprende anche quelli da donne senza permesso di soggiorno, ma le donne illegali che dovrebbero quindi risultare a denominatore dei rapporto insieme a quelle legali, non essendo rilevate dalle fonti ufficiali risultano di difficile valutazione. Per questa ragione alcuni [Natale e Strozza 1997] hanno limitato l'attenzione alle nascite da donne straniere residenti, altri [Maffioli 1996] hanno fatto ricorso a metodi alternativi di stima del TFT.

Spesso si fa riferimento al quoziente generico di natalità, numero di nascite in un anno di calendario per ogni mille persone, che necessita di una stima complessiva degli stranieri (legali e illegali) da porre a denominatore del rapporto. La interpretazione del valore assunto da tale indice va però sostenuta dall'analisi di ulteriori informazioni. (6)

Avendo inteso la prima dimensione come il capitale umano che lo straniero porta con sé al momento del suo arrivo in Italia, nell'ambito di questa viene inquadrato l'indicatore relativo al titolo di studio degli immigrati (ad esempio, la quota di diplomati e laureati tra gli ultra venticinquenni) che potrebbe giocare un ruolo importante nell'inserimento lavorativo e, più in generale, in quello sociale nella realtà di adozione.

Va notato però che attualmente solo in pochi casi sono disponibili informazioni sul livello d'istruzione le quali, quando rilevate, riguardano quasi sempre il titolo di studio riconosciuto in Italia e non quello conseguito in patria. In pratica, la presenza nei paesi di origine di sistemi scolastici e programmi formativi differenti da quelli italiani comporta spesso il mancato riconoscimento del titolo conseguito dagli immigrati e quindi uno svantaggio che alle volte è possibile colmare soltanto attraverso l'acquisizione dei titoli di studio in Italia.

 

A.b ‑ Misure e indicatori disponibili

Tab. 1 ‑ Sulla base dei dati sui permessi di soggiorno validi all'inizio del 1999, raccolti dal Ministero dell'Interno e rivisti dall'Istat [2000c], è possibile, pur con qualche limite di non poco conto, trarre interessanti informazioni sulla dimensione e sulla struttura demografica delle comunità straniere, nonché sulla loro distribuzione sul territorio nazionale.

Naturalmente, questi dati si riferiscono alla sola componente legale, vale a dire a quegli stranieri presenti sul territorio nazionale nel rispetto della normativa sul soggiorno in Italia.

All'inizio del 1999 gli stranieri con permesso di soggiorno sono poco meno di 1.100.000, se si tiene conto anche dei minori al seguito si arriva ad una cifra di circa 1.250.000 stranieri legali [Gabrielli, Gallo e Strozza 2000] che costituisce quasi il 2,2% della popolazione complessiva presente in Italia. Per effetto soprattutto della sanatoria del 1998, i permessi di soggiorno dovrebbero superare all'inizio del 2000 la cifra di 1.300.000 unità, circa 1.500.000 dovrebbero essere quindi gli stranieri legali compresi i minori.

La mappa della popolazione straniera per luogo di origine si caratterizza per la sua estrema complessità: il numero relativamente ridotto di presenze rispetto ad alcuni tradizionali Stati europei di accoglimento (Germania, Francia e Regno Unito) si qualifica per l'altissimo numero di collettività che lo costituiscono. Si consideri che le dieci comunità straniere numericamente più importanti rappresentano solo poco più della metà del totale.

Riguardo alla struttura per sesso, le informazioni sopra riportate documentano, in generale, un forte squilibrio tra i due generi con alcune collettività a netta prevalenza maschile (senegalese, egiziana, tunisina, marocchina, ecc.) ed altre a chiara predominanza femminile (brasiliana, polacca, peruviana, filippina, ecc.).

Le differenze assolute tra l'ammontare dei maschi e delle femmine danno conto dell'importanza numerica dello squilibrio che è, in genere, più forte per le comunità a dominanza maschile.

La gravità di queste discrepanze, insieme al gran numero di nazionalità presenti sul territorio, rendono la definizione di politiche di integrazione particolarmente problematica. Va notato comunque che con la stabilizzazione della presenza c'è una chiara tendenza al riequilibrio della struttura per sesso [Gabrielli, Gallo e Strozza 2000].

Pertanto, oltre all'elevato numero di collettività esiste un problema di differenze tra collettività di «antica» e di più «recente» immigrazione. A influire sulle differenze gioca un ruolo non secondario anche il diverso tasso di sviluppo socio‑economico della popolazione nei luoghi di origine che può spingere o meno l'emigrato a rimanere in Italia e a richiamare la propria famiglia.

 

Tab. 1 ‑ Dimensione assoluta e struttura per sesso delle principali collettività straniere. Italia, 1‑1‑1999. Valori assoluti e percentuali

 

Paese di cittadinanza (a)

Valori assoluti

Differenza

%

% squilibrio

 

Totale

maschi

femmine

assoluta

femmine

tra i sessi (b)

Marocco

128.297

93.948

34.349

59.599

26,8

46,5

Albania

87.595

55.916

31.679

24.237

36,2

27,7

ex‑Jugoslavia

82.067

50.697

31.370

119.327

38,2

23,6

Filippine

59.074

19.443

39.631

‑20.188

67,1

34,2

USA

45.944

15.399

30.545

‑15.146

66,5

33,0

Cina

41.237

22.217

19.020

3.197

46,1

7,8

Tunisia

41.137

32.310

8.827

23.483

21,5

57,1

Germania

33.836

13.928

19.908

‑5.980

58,8

17,7

Romania

33.777

15.023

18.754

‑3.731

55,5

11,0­

Senegal(c)

31.420

29.305

2.115

27.190

6,7

86,5

Sri Lanka

27.381

15.612

11.769

3.843

43,0

14,0

Francia

24.762

9.798

14.964

‑5.166

60,4

20,9

Egitto

23.811

18.882

4.929

13.953

20,7

58,6

Perù

23.637

7.428

16.209

‑8.781

68,6

37,1

Regno Unito

23.377

10.114

13.263

‑3.149

56,7

13,5

Polonia

23.258

7.177

16.081

‑8.904

69,1

38,3

India

21.974

13.048

8.926

4.122

40,6

18,8

Spagna

17.132

5.534

11.598

‑6.064

67,7

35,4

Brasile (d)

16.593

4.270

12.323

‑8.053

74,3

48,5

Svizzera

16.404

7.196

9.208

‑2.012

56,1

12,3

Altro

288.107

135.323

152.784

‑17.461

53,0

16,1

Totale

1.090.820

1.582.568

508.252

74.316

46,6

6,8

 

Note:

(a) Sono riportate le prime 20 collettività straniere ordinate in modo decrescente in base alla numerosità dei permessi validi all'inizio del 1999.

(b) L'indice di squilibrio per sesso, che è uguale a due volte la differenza in valore assoluto tra il valore di equilibrio e quello della quota delle donne (2* |50‑%F|), assume valori compresi tra 0 e 100, con i due estremi corrispondenti rispettivamente ai casi di perfetto equilibrio e di massimo squilibrio.

(c) Comunità con la massima eccedenza maschile.

(d) Comunità con la massima eccedenza femminile.

Fonte: nostra elaborazione su dati del Ministero dell'Interno rivisti dall'Istat [2000c].

 

Tab. 2 ‑ I permessi di soggiorno distinti per stato civile consentono di confermare al 1999 la prevalenza degli stranieri coniugati, emersa per la prima volta nel 1998 [Golini 2000], a dimostrazione della tendenza alla stabilizzazione della presenza degli immigrati sul territorio italiano, rafforzata anche dal fatto che in diversi casi (oltre il 14%) i titolari di permesso hanno almeno un figlio minorenne al seguito (7).

 

Più in generale, il consolidarsi dell'immigrazione, la stabilizzazione delle pre­senze e l'arrivo dei congiunti determina significativi cambiamenti nella struttura demografica della popolazione straniera: gli italiani oggi non hanno di fronte solo l'immigrato giovane, celibe e lavoratore ma anche quello coniugato, non di rado con moglie, figli e genitori anziani.

 

Tab. 2 ‑ Struttura per stato civile ed età delle principali collettività straniere. Italia, 1‑1‑1999. Valori percentuali ed età media

 

Paese di cittadinanza (a)

% per stato civile

% con prole

Età media (b)

Struttura età lav. (c)

% anziani (65+)

Celibi/ nubili

Coniugati

Altro

 

 

 

 

 

 

 

 

Marocco

45,2

53,3

1,5

17,6

34,2

32,2

0,8

Albania

41,5

56,5

2,0

20,6

31,8

20,7

2,0

ex‑Jugoslavia

39,7

57,7

2,6

18,7

34,0

35,6

2,3

Filippine

44,2

54,2

1,6

8,0

36,9

57,5

0,6

USA

27,9

69,7

2,4

26,4

41,3

101,6

16,7

 

 

 

 

 

 

 

 

Cina

37,8

61,3

0,9

18,6

32,9

30,0

1,3

Tunisia

54,7

44,3

1,0

14,5

33,4

17,0

0,3

Germania

44,3

48,0

7,6

13,9

40,6

69,4

21,4

Romania

41,9

53,5

4,7

10,1

31,7

21,4

2,0

Senegal

40,6

59,1

0,3

8,3

35,9

38,0

0,1

 

 

 

 

 

 

 

 

Sri Lanka

35,1

64,1

0,8

10,5

35,0

40,0

0,5

Francia

50,4

43,0

6,6

12,0

37,1

48,2

17,1

Egitto

47,8

51,3

0,9

13,7

35,3

35,5

0,9

Perù

62,3

35,8

1,9

6,1

34,7

35,5

1,3

Regno Unito

50,1

44,8

5,1

12,7

38,7

161,2

17,7

 

 

 

 

 

 

 

 

Polonia

51,4

43,2

5,4

8,9

33,4

28,9

3.2

India

59,6

39,9

0,5

12,0

34,8

36,3

1,7

Spagna

67,0

30,3

2,7

5,6

38,4

41,3

199

Brasile

54,5

41,9

3,5

7,4

35,1

32,5

3,6

Svizzera

39,1

52,9

8,0

22,2

45,6

150,1

40,3

 

 

 

 

 

 

 

 

Altro

153,5

43,5

3,0

11,7

30,5

5,9

Totale

146,9

50,4

 

4,2

34,9

135,4

5,5

 

Note:

(a) Sono riportate le prime 20 collettività straniere ordinate in modo decrescente in base alla numerosità dei permessi validi all'inizio del 1999.

(b) Calcolata sull'insieme degli stranieri compresi tra 18 e 64 anni compiuti.

(c) Rapporto percentuale tra stranieri di età 40‑59 anni e stranieri di età 20‑39 anni.

 

Fonte: nostra elaborazione su dati del ministero dell'Interno rivisti dall'Istat [2000c].

 

In generale, la popolazione immigrata proveniente dai paesi a forte pressione migratoria (Pfpm) si conferma comunque nettamente più giovane di quella originaria dei PSA, con una grande concentrazione nelle fasce di età centrali, propriamente lavorative, ed una scarsa incidenza degli anziani. L'età media risulta essere di 34 anni anche se il dato, elaborato sui permessi di soggiorno, non tiene conto dei minori a cui, come è noto, non vengono rilasciati permessi di soggiorno e che risultano invece indicati su quello del genitore.

Tab. 3 ‑ L'analisi relativa alla distribuzione territoriale delle prime dieci collettività straniere mette in evidenza importanti difformità: mentre alcune nazionalità si concentrano solo in poche province, in genere in quelle metropolitane, altre invece si caratterizzano per una presenza più o meno diffusa sul territorio. Nella prima situazione rientra senz'altro la comunità filippina che si concentra soprattutto a Roma e Milano (più del 60% dei presenti). L'opposto accade invece per le collettività marocchina ed albanese: nelle cinque province dove si registra la loro presenza più consistente è insediato solo tra il 20 ed il 25% degli stranieri appartenenti a tali nazionalità.

Tab. 4 ‑ Sia in valore assoluto che in percentuale rispetto alla popolazione residente, Roma e Milano risultano essere le due capitali dell'immigrazione in Italia, seguite a grande distanza da Torino, Napoli, Firenze, Vicenza e così via. Si nota come la presenza straniera sia concentrata nel Centro‑Nord e, in particolare, nella ripartizione Nord‑occidentale. La maggior parte degli stranieri tende a stabilirsi prevalentemente nelle aree più ricche del nostro Paese. Potrebbero di conseguenza ritornare in questo contesto le considerazioni svolte dalla Commissione lo scorso anno riguardo alle modalità di inserimento degli stranieri nel segmentato, anche dal punto di vista territoriale, mercato dei lavoro: gli immigrati tendono, infatti, a concentrarsi nelle regioni italiane più prossime al pieno impiego.

Va sottolineata l'esigenza che a livello locale le politiche di integrazione debbono tenere conto delle specifiche caratteristiche della presenza straniera. Così mentre a Roma e a Milano prevalgono collettività a prevalenza femminile che trovano impiego soprattutto nell'assistenza alle famiglie, a Torino prevalgono nettamente i marocchini, a Firenze i cinesi, a Vicenza gli ex iugoslavi. Si tratta di collettività che per le loro caratteristiche e le loro modalità di inserimento lavorativo necessitano di interventi specifici e differenziati.

Tab. 5 e Fig. 1 ‑ I dati sulle nascite sono registrati dallo stato civile per cittadinanza dei genitori fin dal 1984; dall'inizio degli anni novanta sono disponibili anche quelli registrati dall'anagrafe con riguardo al sottoinsieme dei nati da genitori entrambi stranieri di cui almeno la madre residente in Italia. Tra il 1992 e il 1996 (8) si è osservata una crescita abbastanza rilevante delle nascite da almeno un genitore straniero passate da meno di 16.000 a quasi 24.000 [Istat, 2000c]. In particolare, i nati da entrambi i genitori stranieri sono stati meno di 9.000 nel 1992 ed oltre 14.500 nel 1996, con un incremento di quasi il 70%. L'aumento delle nascite è costante e fortissimo per le coppie dell'est europeo (+ 108% dal 1992 al 1996) e per quelle africane (+ 73% dal 1992 al 1996). Sarebbe interessante sapere se il figlio sia voluto o meno: se così fosse l'aumento costituirebbe un indice di stabilità del progetto migratorio. I dati a nostra disposizione sembrerebbero evidenziare che le coppie dell'America Latina tendano a non avere figli in Italia. Come detto in precedenza, attualmente non è possibile ottenere una misura del tutto attendibile della fecondità poiché le nascite comprendono anche quelle da genitori presenti sul territorio senza permesso di soggiorno, ma la consistenza degli stranieri irregolari è, ovviamente, di difficile valutazione. Per il periodo 1995‑96 si è comunque pervenuti ad una stima di prima approssimazione del TFT in Italia per alcune collettività immigrate come media tra due valutazioni estreme, una di minimo ed una di massimo (maggiori dettagli sulla procedura di calcolo sono riportati nella nota alla fig. 1).

 

Tab. 3 ‑ Distribuzione territoriale delle prime 10 collettività di stranieri in base ai permessi di soggiorno. Valori percentuali per le prime cinque province e per ripartizione territoriale. Valori assoluti in migliaia. Italia, 1‑1‑1999

 

Marocco

Albania

ex Jugoslavia

Filippine

USA

Cina

Tunisia

Germania

Romania

Senegal

Prov./ ripart.

%

Prov./ ripart.

%

Prov./ ripart.

%

Prov./ ripart.

%

Prov./ ripart.

%

Prov./ ripart.

%

Prov./ ripart.

%

Prov./ ripart.

%

Prov./ ripart.

%

Prov./ ripart.

%

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Milano

8,5

Milano

5,3

Vicenza

8,8

Roma

37,8

Napoli

20,0

Milano

18,2

Ragusa

10,1

Milano

14,0

Roma

22,4

Bergamo

10,3

Torino

7,5

Roma

5,0

Trieste

8,4

Milano

26,0

Roma

16,2

Prato

14,1

Trapani

6,3

Roma

14,0

Torino

7,4

Milano

9,3

Bergamo

3,9

Bari

4,7

Roma

7,8

Firenze

4,2

Porden.

9,6

Firenze

11,3

Milano

6,0

Bolzano

12,3

Milano

7,0

Brescia

8,2

Bologna

3,8

Firenze

3,8

Treviso

5,1

Napoli

2,9

Catania

7,6

Roma

10,3

Roma

5,9

Firenze

3,3

Padova

3,3

Ravenna

5,1

Verona

3,6

Torino

2,5

Milano

4,4

Bologna

2,7

Vicenza

7,1

Torino

4,0

Bologna

3,9

Varese

3,1

Verona

3,1

Pisa

3,8

altre

72,7

altre

78,7

altre

65,6

altre

 26,5

altro

39,5

altre

42,1

altre

67,9

altre

53,3

altre

56,7

altre

63,2

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tot.

100,0

Tot.

100,0

Tot.

100,0

Tot.

100,0

Tot.

100,0

Tot.

100,0

Tot.

100,0

Tot.

100,0

Tot.

100,0

Tot.

100,0

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NO

40,0

NO

27,1

NO

17,4

NO

32,8

NO

8,9

NO

32,7

NO

23,4

NO

32,0

NO

27,2

NO

43,9

NE

27,7

NE

22,4

NE

51,9

NE

8,5

NE

22,6

NE

18,8

NE

23,5

NE

28,1

NE

20,8

NE

23,8

CE

15,3

CE

28,9

CE

21,5

CE

47,3

CE

27,3

CE

40,3

CE

16,5

CE

29,8

CE

42,1

CE

15,7

SU

11,6

SU

18,9

SU

7,5

SU

6,8

SU

30,7

SU

6,6

SU

10,9

SU

5,5

SU

6,9

SU

8,2

IS

5,4

IS

2,7

IS

1,6

IS

4,6

IS

10,5

IS

1,7

IS

25,7

IS

4,5

IS

3,0

IS

8,4

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Totale

100,0

Totale

100,0

Totale

100,0

Totale

100,0

Totale

100,0

Totale

100,0

Totale

100,0

Totale

100,0

Totale

100,0

Totale

100,0

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

v.a.

128,3

v.a.

87,6

v.a.

82,1

v.a.

59,1

v.a.

45,9

v.a.

41,2

v.a.

41,1

v.a.

33,8

v.a.

33,8

v.a.

31,4

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nota:

(a) Per ogni collettività straniera è riportata in corsivo la ripartizione territoriale di maggiore presenza.

 

Fonte: nostra elaborazione su dati del Ministero dell'Interno rivisti dall'Istat [2000c].

 

Tab. 4 ‑ Stranieri con permesso di soggiorno nelle prime 10 province per numerosità della presenza. Italia, 1‑1‑1999.

Valori assoluti, incidenza percentuale sulla popolazione residente e distribuzione percentuale delle principali cittadinanze

 

Province

Stranieri

Graduatoria % secondo i primi cinque paesi di cittadinanza (a)

 

v.a.

% sui resid.

1

2

3

4

5

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Roma

182.108

4,8

Fil

12,3

Pol

5,3

Rom

4,2

Usa

4,1

Spa

4,1

altro

70,0

Milano

136.098

3,6

Fil

11,3

Egi

8,4

Mar

8,0

Cin

5,5

Per

5,3

altro

61,5

Torino

37.900

1,7

Mar

25,4

Rom

6,6

Alb

5,8

Per

5,6

Cin

4,3

altro

52,3

Napoli

36.229

1,2

Usa

25,3

Sri

11,3

Mar

5,7

Alg

5,1

Fil

4,7

altro

47,9

Firenze

31.884

3,3

Cin

14,6

Alb

10,3

Fil

7,8

Mar

6,0

Jug

4,0

altro

57,3

Vicenza

26.447

3,4

Jug

27,4

Usa

12,4

Mar

10,4

Gha

9,9

Alb

5,0

altro

34,9

Bologna

24.828

2,7

Mar

19,4

Tun

6,4

Fil

6,3

Jug

6,2

Alb

6,0

altro

55,7

Brescia

24.557

2,3

Mar

15,7

Sen

10,5

Gha

8,0

Alb

7,6

Jug

6,7

altro

51,5

Verona

22.410

2,8

Mar

20,6

Jug

11,6

Gha

8,0

Sri

5,3

Rom

4,7

altro

49,8

Bergamo

20.599

2,2

Mar

24,2

Sen

15,7

Alb

8,3

Jug

7,1

Ind

3,3

altro

41,4

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nota:

(a) Le cittadinanze sono indicate con una etichetta di tre lettere quasi sempre le prime tre del paese di cittadinanza. In particolare, con «Jug» viene indicata la ex Jugoslavia e non quella attuale.

Fonte: nostra elaborazione su dati dei Ministero dell'Interno rivisti dall'Istat [2000c].

 

Tab. 5 ‑ Nati vivi da entrambi i genitori stranieri. Italia, 1992‑1999

 

Anni

Nati da popol. resid.

Nati da popolazione presente (a)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

v.a.

% sul totale nascite

di cui: area di cittadinanza della madre

 

 

 

 

PSA (b)

Altro Europa

Africa

Asia

America Latina

1992

...

8.684

1,5

1.173

1.903

2.987

2.025

545

1993

7.000

9.884

1,8

1.106

2.199

3.604

2.308

624

1994

8.028

11.739

2,2

1.029

2.787

4.453

2.760

659

1995

9.061

13.096

2,5

1.150

3.292

4.927

2.948

654

1996

10.820

14.584

2,7

1.114

3.955

5.163

3.458

796

1997

13.569

 

 

 

 

 

 

 

1998

16.901

 

 

 

 

 

 

 

1999

21.175

 

 

 

 

 

 

 

 

Note:

(a) Sono compresi i casi in cui uno dei due genitori è ignoto. Il totale è maggiore della somma dei valori per area di cittadinanza della madre poiché comprende anche gli apolidi e i casi in cui la madre è ignota.

(b) Sono compresi i paesi dell'Ue, del Nord America e dell'Oceania.

(…) Dato non rilevato.

 

Fonti: Istat [1998; 1999; 2000b; 2000c].

 

I valori stimati, che vanno presi con molta cautela, mostrano come per diverse comunità straniere originarie dei Pfpm l'intensità della fecondità in Italia risulti inferiore a quella registrata nello stesso periodo nei paesi di provenienza e, in qualche caso, sia addirittura più bassa pure di quella della popolazione italiana. Per una parte non trascurabile degli immigrati ciò è legato sicuramente anche alla brevità della permanenza sul territorio italiano, che fra l'altro comporta problemi di primo adattamento alla nuova realtà oltre che la rottura temporanea (in qualche caso definitiva) di rapporti affettivi e la eventuale separazione tra i coniugi. La stabilizzazione delle presenze e la composizione o ricomposizione di nuclei familiari potrebbe determinare un certo innalzamento della fecondità come sembrerebbe già emergere per le collettività dell'Africa mediterranea.

 

Fig. 1 ‑ Un tentativo di stima del numero medio di figli per donna (TFT) per alcune collettività straniere. Valori nel paese di origine intorno alla metà degli anni novanta e in Italia nel periodo 1995‑96 (a)

 

 

Inserire immagine

 

Nota:

(a) Il TFT è ottenuto come somma dei tassi specifici di fecondità per classi di età moltiplicati per l'ampiezza della classe. I tassi specifici per classi di età sono stati ottenuti come media dei valore di minimo ricavato ponendo a numeratore solo i nati da donne residenti in Italia e quello di massimo in cui si è posto a numeratore del rapporto il totale dei nati (da straniere residenti e non). Il denominatore è stato posto sempre uguale all'ammontare dei permessi di soggiorno.

Fonti: ‑ per la fecondità in Italia: nati vivi registrati allo stato civile [Istat 1999; 2000c] e permessi di soggiorno del Ministero dell'Interno rivisti dall'Istat [1998; 1999]; ‑ per la fecondità nei paesi di origine: United Nations [1999].

 

Va notato infine che negli ultimi anni le nascite da genitori entrambi stranieri e residenti in Italia, che costituiscono la parte più stabile della popolazione immigrata, si sono fortemente accresciute (tra il 1993 e il 1999 sono triplicate), superando nel 1999 i 20.000 casi: si tratta di bambini nati in Italia, che probabilmente cresceranno e studieranno in Italia ma che potrebbero rimanere stranieri fino al compimento del 18 anno di età. In altre parole, con l'attuale legislazione sulla concessione della cittadinanza ci si troverà di fronte ad un numero elevato di ragazzi cresciuti e istruiti in Italia che non godono dei diritti connessi con la cittadinanza stessa.

 

B ‑ Relazioni con la comunità di origine e con quella di accoglimento

 

B.a ‑ Di alcuni problemi di costruzione degli indicatori

La seconda dimensione individuata nel presente lavoro cerca di chiarire i termini del rapporto tra una comunità immigrata e tutte le altre allo scopo di coglierne il maggiore o minore grado di apertura rispetto alla collettività italiana ed alla altre collettività presenti in Italia. Gli indicatori, volti a misurare la forza del legame tra gli immigrati di una certa nazionalità e la popolazione di origine vengono assunti quali elementi del progetto migratorio.

Prima di tutto appare essenziale cercare di misurare il legame degli immigrati con il paese di origine attraverso notizie sui rientri periodici, sui contatti (epistolari, telefonici ecc.) con i familiari rimasti in patria e sull'invio di rimesse. Le prime due informazioni sono ricavabili esclusivamente attraverso la realizzazione di indagini ad hoc, mentre il dato sui risparmi inviati in patria dovrebbe essere rilevato anche dalle fonti amministrative, quando il trasferimento avviene attraverso i principali canali ufficiali.

Per quanto concerne le rimesse non facile può risultare l'interpretazione dei dati raccolti e degli indicatori costruibili (rimesse annue pro‑capite, quota del reddito o del risparmio inviato in patria, ecc.): se, nelle prime fasi dell'esperienza migratoria un cospicuo ammontare di rimesse può essere indice di buon guadagno e quindi di un riuscito inserimento lavorativo o comunque di un progetto migratorio di successo (9), lo stesso indicatore, se e quando riferito a gruppi da tempo insediati sul territorio, può essere il riflesso del mantenimento di forti legami con il paese di origine e, di conseguenza, di deboli legami con il paese di accoglimento [Haut Conseil à l'Intégration 1991].

Dalla forza dei legami con il paese di origine si passa ad esaminare le relazioni che gli immigrati di ciascuna collettività instaurano nel paese di adozione. Seguendo questo criterio, attraverso l'utilizzo di ulteriori indicatori, si cercherà di individuare l'esistenza di una qualche forma di organizzazione interna alla comunità e forme di interazione tra i vari gruppi etnici.

Un primo indicatore che potrebbe rivelare la maggiore o minore chiusura di una comunità nei confronti delle altre è dato dalla quota di iscritti ad associazioni etniche per collettività. Se, infatti, il divenire membri di queste unioni, nella prima fase dell'esperienza migratoria, può fornire al nuovo arrivato un valido supporto psicologico, in quanto viene in qualche modo ricostituita su scala ridotta la comunità d'origine, e materiale visto che gli incontri spesso si traducono in un crocevia di informazioni utili per chi non conosce ancora la realtà di accoglimento (10) , in un secondo momento può invece far ravvisare un segno di chiusura e una volontà di coesistenza all'interno della propria comunità, più che di interazione e commistione con le altre.

Per quanto concerne le relazioni con il paese di accoglimento va sottolineata anzitutto l'importanza che può assumere l'informazione sui ricongiungimenti familiari. Tale evento determina sicuramente una riduzione del legame dell'immigrato con il paese di origine, anche se può costituire una tappa ambivalente, per quanto

fondamentale, del processo di integrazione: se, da un lato, il ricongiungimento familiare può essere interpretato come un segnale di stabile radicamento nel paese ospite, dall'altro rafforza i legami di base e ripropone valori e tradizioni del paese di origine in quello di adozione [Natale 1995]. E' certo che la ricostituzione dei nuclei familiari fa degli immigrati dei portatori di nuove istanze in termini, in particolare, di bisogni abitativi, sanitari e culturali: si passa quindi dalle esigenze del singolo individuo a quelle di un nucleo familiare.

Prerequisito per la nascita di una qualsiasi interazione è la possibilità materiale di comunicazione. Questo è il motivo per il quale in molti studi sugli indicatori dell'inte­grazione appare l'uso della lingua del paese ospite. L'Haut Conseil à l'Intégration francese propone più specificatamente, di misurare tale indicatore non in riferimento alla popolazione di bambini immigrati e scolarizzati in Francia ma a quella dei loro genitori anche perché, d'altra parte, l'utilizzo della lingua da parte dei genitori favorisce l'integrazione degli stessi figli.

Un ulteriore indice in questo specifico ambito è dato dai matrimoni in cui almeno uno dei due sposi è straniero. Il monitoraggio sulla nuzialità degli stranieri (al pari del ricongiungimento) testimonia del raggiungimento di una tappa fondamentale nel processo di stabilizzazione del cittadino immigrato. Nel loro studio Natale e Strozza [1997] focalizzano l'attenzione solo su una particolare categoria di matrimoni misti: quelli in cui in cui uno dei due sposi è italiano e l'altro straniero. Infatti, il matrimoni tra due stranieri di nazionalità diversa, anche se è un segnale di apertura verso altre collettività, non dovrebbe produrre, in linea di massima, un miglior inserimento dei coniugi nella società italiana. In effetti, il matrimonio misto si caratterizza per le reazioni sociali di cui è portatore coinvolgendo non solo i due individui ma le due intere collettività da cui essi provengono [Alotta 1998]. A livello empirico va sottolineato che la quota di matrimoni misti potrebbe, per una serie di ragioni, sovrastimare l'importanza effettiva di tale fenomeno. Sfuggono, infatti, alla rilevazione statistica i matrimoni celebrati fuori dall'Italia e quelli per i quali la legge italiana non prevede l'automatica registrazione allo stato civile che sono, in genere, unioni tra connazionali (unioni omogame). Inoltre, incidono negativamente sull'affidabilità del risultato anche i cosiddetti «matrimoni di comodo», quelle unioni cioè che sono strumentali al rinnovo del permesso di soggiorno o all'ottenimento della cittadinanza da parte del coniuge straniero. Pertanto, alcune collettività potrebbero sperimentare nel paese di accoglimento pochissimi matrimoni, ma quasi tutti con partner autoctono. Per questa ragione l'indicatore forse maggiormente adatto a misurare l'intensità effettiva della commistione con la popolazione nazionale è il tasso di nuzialità mista che esprime il numero di unioni miste ogni 1000 stranieri presenti legalmente sul territorio.

Infine, l'ultimo indicatore nel quadro del rapporto tra comunità straniera e paese di accoglienza concerne l'ottenimento della cittadinanza italiana da parte degli immigrati. Come notano Bisogno e Gallo [2000], l'acquisizione della cittadinanza per naturalizzazione può essere intesa in due modi: da una parte come strumento capace di facilitare il percorso di integrazione, dall'altra come coronamento, tappa ultima dello stesso processo in quanto attraverso tale istituto si raggiunge la piena parità di diritti e di doveri con gli italiani. (11) Va tenuto presente però che le coppie miste potrebbero risultare meno stabili di quelle italiane per la difficoltà di far coesistere nella vita quotidiana le differenze culturali esistenti tra i due partner.

 

B.b ‑ Misure e indicatori disponibili

Tabb. 6 e 7 ‑ Le informazioni sulle rimesse seppur fondamentali si rivelano estremamente lacunose. La difficoltà è data dal fatto che non tutti gli immigrati si servono dei canali ufficiali per l'invio dei risparmi in patria ed inoltre i dati registrati dell'Ufficio italiani cambi (Uic) riguardano i soli trasferimenti che passano attraverso il sistema bancario. Pertanto i dati attualmente disponibili riescono a cogliere solo una parte, variabile da collettività a collettività, della reale entità dei trasferimenti monetari.

Secondo i dati forniti da questa istituzione l'invio pro‑capite medio di rimesse da parte di immigrati provenienti dai paesi in via di sviluppo tra il 1997 ed il 1999 oscilla dalle 600 alle 900 mila lire annuali. L'ammontare pro‑capite non troppo elevato delle rimesse registrate dall'Uic è un segnale di come gli extracomunitari utilizzino solo in parte il sistema bancario per l'invio dei propri risparmi nel paese di origine.

Questa situazione emerge chiaramente dai dati di un'indagine svolta nel 1998 su alcune collettività dell'Europa dell'Est e del Nord Africa [Natale e Strozza 2000]. Gli intervistati che hanno dichiarato di inviare denaro in patria, pur con non trascurabili differenze per collettività, solo in minima parte fanno ricorso al sistema bancario o comunque ai canali ufficiali. (12)

Al di là quindi della mancanza di dati che siano effettivamente completi e robusti ci si deve chiedere perché esista una situazione del genere. Dai risultati di due indagini su immigrazione e servizi di credito è emerso da un lato un diffuso disinteresse degli istituti bancari per i problemi collegati alle esigenze specifiche degli stranieri [Golini, Racioppi e Pozzuoli 1996] e dall'altro anche la presenza di alcuni ostacoli all'accesso degli immigrati ai principali servizi bancari [Mazzonis e Naletto 2000]. L'invio di rimesse all'estero è un servizio di fatto riservato prevalentemente alla propria clientela, anche se formalmente accessibile a tutti, e dai costi abbastanza alti. E' per questo che gli immigrati, quando possono, utilizzano altri canali per inviare i loro risparmi nel paese di origine [Mazzonis e Naletto 2000]. Solo di recente alcune banche hanno attivato alcuni servizi rivolti espressamente agli immigrati.

 

Tab. 6 ‑ Rimesse registrate per paese di destinazione. Italia, 1997‑1999. Valori correnti in lire, ammontare totale in milioni e ammontare pro‑capite in migliaia

 

Paese di destinazione

Ammontare totale (in milioni di lire)

Ammontare medio pro capite                 (in migliaia di lire) (a)

 

1997

1998

1999

1997

1998

1999

 

 

 

 

 

 

 

Filippine

190.019

268.199

327.132

3.381

4.680

5.538

Stati Uniti

87.231

108.457

139.292

1.944

2.429

3.032

Regno Unito

26.827

40.870

85.957

1.236

1.806

3.677

Germania

29.593

43.195

55.979

962

1.331

1.654

Cina

15.318

25.370

48.536

485_

718

11.177

 

 

 

 

 

 

 

Francia

23.893

32.666

47.398

1.078

1.388

1.914

Svizzera

27.407

57.865

41.960

1.726

3.587

2.558

Belgio

7.060

8.727

36.817

1.786

2.102

8.450

Paesi Bassi

1.855

3.820

22.432

315

622

3.503

Canada

14.623

18.401

22.137

5.810

7.311

8.795

 

 

 

 

 

 

 

Marocco

36.853

30.468

21.015

320

249

164

Spagna

4.988

8.503

20.502

322

521

1.197

Australia

8.479

12.650

12.900

4.596

6.856

6.992

Egitto

2.750

4.088

6.788

117

173

285

Senegal

3.574

3.889

6.113

113

121

195

 

 

 

 

 

 

 

Altro

85.530

93.416

93.118

152

161

148

 

 

 

 

 

 

 

Totale

566.000

760.584

988.076

574

744

906

 

Note:

(a) Graduatoria dei primi 15 paesi di destinazione delle rimesse degli immigrati inviate nel 1999.

(b) Valori ottenuti dividendo l'ammontare complessivo delle rimesse per il numero di permessi di soggiorno.

Fonte: nostra elaborazione su dati dell'Ufficio italiano cambi.

 

Tab. 7 ‑ Stranieri che, in una indagine del 1998, hanno dichiarato di inviare rimesse per modalità prevalente di invio. Valori percentuali.

 

Paese di cittadinanza

Numero

% per modalità prevalente di invio delle rimesse

 

casi

Vaglia postale

Tramite banche

Parenti e connaz.

Personalmente

Altro

Totale

Albania

99

11,1

10,1

61,6

17,2

0,0

100,0

ex Jugoslavia

79

19,0

6,3

31,6

31,6

11,4

100,0

Polonia

185

20,5

7,6

43,8

20,5

7,6

100,0

Romania

72

23,6

9,7

62,5

1,4

2,8

100,0

Marocco

235

58,3

3,8

14,9

20,9

2,1

100,0

 

Fonte: Indagine su «Lavoro, reddito e rimesse di alcune collettività straniere in Italia», Dipartimento Scienze Demografiche [Natale e Strozza 2000].

 

Tabb. 8 e 9 ‑ All'inizio del 1999 i permessi per motivi di famiglia rappresentano quasi un quarto del totale, raggiungendo quote particolarmente elevate in alcune collettività. Ancora più interessante è notare come nel periodo 1997‑98 più del 40% dei nuovi permessi siano stati rilasciati per motivi di famiglia, quota che diventa quasi del 55% tra le donne. Tra le collettività a netta prevalenza maschile l'immigrazione femminile è quasi completamente ascrivibile ai ricongiungimenti familiari. La quota elevata anche tra i maschi di nuovi permessi per ricongiungimento è in parte ascrivibile a quelli rilasciati ai minori (all'inizio del 1999 dei 43.000 permessi relativi a minori di 18 anni ben 30.000, circa il 70%, sono per motivi familiari).

 

Tab. 8 ‑ Stock di permessi di soggiorno per motivi di famiglia all'1‑1‑1999 e flusso dei nuovi permessi per motivi di famiglia nel 1997‑98 distintamente per le principali collettività straniere. Valori assoluti, percentuali e tassi per 1000 permessi per motivi di lavoro

 

Paese di cittadinanza (a)

Permessi per motivi di famiglia all'1‑1‑1999

% per motivi di famiglia tra i nuovi permessi del 1997‑98

Tasso di ingr. per mot. fam.

 

v.a.

% sul tot. permessi

maschi

femmine

Totale

1997‑98 (b)

 

 

 

 

 

 

 

Marocco

31.593

24,6

66,1

91,4

84,8

62,6

USA

28.623

62,3

26,0

62,9

48,5

294,9

Albania

26.770

30,6

35,4

81,1

64,3

135,1

ex Jugoslavia

14.977

18,2

16,4

59,6

38,1

47,4

Cina

11.893

28,8

60,2

76,8

693

93,7

 

 

 

 

 

 

 

Romania

10.630

31,5

21,8

56,7

46,1

144,4

Tunisia

9.194

22,3

57,9

93,9

84,4

40,0

Brasile

7.522

45,3

15,7

48,5

38,4

175,8

Sri Lanka

7.089

25,9

72,7

83,0

79,5

95,4

Germania

6.911

20,4

45

15,3

10,5

29,8

 

 

 

 

 

 

 

Polonia

6.732

28,9

15,0

45,5

38,1

80,8

Francia

5.938

24,0

4,0

18,0

11,5

30,6

Filippine

5.600

9,5

60,6

30,8

41,9

20,1

Regno Unito

5.342

22,9

3,8

13,5

9,1

20,6

Egitto

5.294

22,2

37,5

91,9

75,0

36,9

 

 

 

 

 

 

 

India

4.434

20,2

34,5

56,2

47,8

96,5

Perù

4.338

18,4

71,2

54,8

61,3

46,6

Spagna

3.806

22,2

2,9

16,6

11,9

46,4

Svizzera

3.312

20,2

10,4

26,6

20,1

32.5

Argentina

2.591

45,3

30,3

53,3

43,8

149,6

 

 

 

 

 

 

 

Altro

68.909

22,0

15,3

40,3

30,8

57,5

 

 

 

 

 

 

 

Totale

271.498

24,9

25,5

54,1

43,4

67,5

 

Note:

(a) Sono riportate le prime 20 collettività straniere ordinate in modo decrescente in base alla numerosità dei permessi per motivi di famiglia all'inizio del 1999.

(b) Stima sulla base dei nuovi permessi per motivi di famiglia nel 1997‑98 per 1000 permessi per motivi di lavoro all'1‑1‑1998. Fonte: nostra elaborazione su dati del Ministero dell'Interno revisionati dall'Istat.

 

La crescente importanza assunta dai permessi per motivi di famiglia sembra confermare le tesi di Böhning (1974) relative ai diversi protagonisti del processo migratorio a seconda del suo stadio di «maturità»: ad un prima fase costituita da giovani lavoratori maschi generalmente celibi (ora anche frequentemente giovani donne), subentra successivamente un'immigrazione diversa nella quale le mogli o i mariti dei lavoratori coniugati raggiungono il coniuge e cambiano, di conseguenza, le istanze della popolazione immigrata.

 

Tab. 9 ‑ Visti di ingresso per ricongiungimento familiare rilasciati a cittadini extracomunitari. Italia, 1998 e 1999. Valori assoluti e percentuali

 

Paese di cittadinanza (a)

Anni

% per cittadinanza

 

1998

1999

1998

1999

Marocco

8.510

9.977

17,6

22,3

Albania

8.925

7.370

18,4

16,5

Cina

6.238

2.620

12,9

5,9

ex Jugoslavia

3.574

4.182

7,4

9,4

Sri Lanka

3.131

2.494

6,5

5,6

 

 

 

 

 

Romania

2.183

2.062

4,5

4,6

India

1.829

2.142

3,8

4,8

Tunisia

1.707

1.689

3,5

3,8

Filippine

1.969

1.397

4,1

3,1

Perù

1.571

1.576

3,2

3,5

 

 

 

 

 

Pakistan

910

1.028

1,9

2,3

Bangladesh

742

1.092

1,5

2,4

Egitto

844

786

1,7

1,8

Rep. Dominicana

655

799

1,4

1,8

Ghana

532

810

1,1

1,8

 

 

 

 

 

Somalia

921

304

1,9

0,7

Costa d'Avorio

329

442

0,7

1,0

Senegal

385

367

0,8

0,8

Nigeria

289

354

0,6

0,8

Polonia

310

242

0,6

0,5

 

 

 

 

 

Altro

2.930

2.934

6,0

6,6

 

 

 

 

 

Totale

48.484

44.667

100,0

100,0

 

Nota:

(a) Sono riportate le prime 20 collettività straniere ordinate in modo decrescente in base alla numerosità dei visti per ricongiungimento familiare rilasciate nel biennio 1998‑99.

 

Fonte: nostra elaborazione su dati dei Ministero degli Affari Esteri.

 

I valori del tasso di ingresso per motivi familiari mostrano come le collettività che hanno registrato il maggior ricorso all'immigrazione di tipo familiare sono state, tra i Pfpm, quella argentina e quella brasiliana seguite da quella romena e albanese. Non viene quindi rispettata la graduatoria dello squilibrio tra i sessi a testimonianza dell'esistenza di modelli migratori diversi per le varie collettività. Si può supporre

comunque che questo indicatore esprima una tendenza alla stabilizzazione della presenza in Italia.

I visti concessi per ricongiungimento familiare nel periodo 1998‑99 mostrano una graduatoria per nazionalità parzialmente differente rispetto a quella dei nuovi permessi per motivi di famiglia a causa, almeno in parte, di situazioni differenti e su differenti possibilità concrete di ingresso regolare sul territorio nazionale.

 

Tab. 10 ‑ Sulla conoscenza della lingua italiana da parte degli stranieri ‑ elemento fondamentale per il loro inserimento e per una più positiva interazione tanto con la collettività autoctona quanto con le altre comunità straniere ‑ non esistono indagini correnti (sic) ed esaustive. Sono state compiute soltanto indagini parziali e locali che danno luogo a risultati non sempre comparabili. Dall'indagine svolta nel 1998, di cui si è detto in precedenza, è possibile trarre utili notizie sulla conoscenza della lingua italiana in base alla autovalutazione degli stranieri intervistati. Le informazioni raccolte sono state sintetizzate nella tabella seguente. (13)

La capacità di comprendere e di esprimersi nella lingua del paese di accoglimento è un elemento della massima importanza, se si considera che la non comprensione della lingua costituisce una barriera oggettiva all'integrazione funzionale e, viceversa, la sua conoscenza è uno strumento fondamentale per compiere un ulteriore passo verso la piena integrazione, non solo per gli immigrati adulti ma anche per i loro figli. In generale, emerge un'autovalutazione di conoscenza sufficiente, anche se per alcune nazionalità è elevata la quota di quelli che conoscono poco o per niente l'italiano.

 

Tab. 10 ‑ Autovalutazione del livello di conoscenza dell'italiano da parte degli stranieri intervistati in una indagine del 1998 in alcune aree dell'Italia.

 

Paese di cittadinanza

Num. casi

% per grado conoscenza italiano

Indice sintetico (a)

 

 

nullo o scarso

sufficiente

buono

val. medio

s.q.m.

 

 

 

 

 

 

 

Albania

279

17,2

57,3

25,4

0,60

0,23

ex‑Jugoslavia

264

9,1

52,3

38,6

0,68

0,22

Polonia

410

21,2

55,1

23,7

0,58

0,23

Romania

202

31,5

52,7

15,8

0,53

0,23

Marocco

765

34,0

51,5

14,5

0,51

0,24

 

Nota:

(a) L'indice varia tra zero ed uno con i due estremi che esprimono rispettivamente nessuna conoscenza e perfetta conoscenza dell'italiano.

Fonte: Indagine su «Lavoro, reddito e rimesse di alcune collettività straniere in Italia», Dipartimento Scienze Demografiche [Natale e Strozza 2000].

 

Tab. 11 ‑ Analizzando i dati di stato civile sui matrimoni di stranieri in Italia nel 1994‑95 si osserva come, tranne poche eccezioni, siano nettamente prevalenti le unioni miste: su 23.346 matrimoni con almeno uno dei due sposi straniero ben 20.266 sono quelli in cui uno dei due partner è italiano (circa l'87%).

E' interessante notare come il numero di matrimoni misti presenti notevoli differenze di genere: mentre nella comunità marocchina riguardano quasi esclusivamente la componente maschile, in quella romena, brasiliana e polacca interessano soprattutto quella femminile. In termini di tasso grezzo di nuzialità mista va notato come le donne dell'ex Urss, dell'Europa dell'Est e dell'America Latina presentino valori particolarmente elevati.

 

Tab. 11 ‑ Matrimoni in totale e matrimoni misti (a) di stranieri distintamente per sesso e principali cittadinanze. Valori assoluti, percentuali e tassi di nuzialità mista. Italia, 1994‑95

 

Paesi di cittadinanza

Matrimoni (a)

Matrimoni misti (b)

% matrimoni misti

Tassi di nuzialità mista (c)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

M

F

M

F

M

F

M

F

USA

866

817

380

348

43,9

42,6

13,1

66,0

Germania

1.138

1.370

415

631

36,5

46,1

17

186

Francia

285

482

262

436

91,9

90,5

17,4

18,1

Regno Unito

448

455

323

328

72,1

72,1

197

14,4

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ex URSS

57

988

55

977

96,5

98,9

15,1

98,3

Romania

142

1.395

117

1.361

82,4

976

16,3

807

Polonia

73

1.191

58

1.132

79,5

95,0

6,5

71,6

ex Jugoslavia

321

617

179

468

55,8

75,9

‑1,8

93

Albania

282

408

241

366

85,5

89,7

6

25,6

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Marocco

1.105

439

1.055

401

95,5

91,3

9,0

137

Tunisia

572

82

509

67

.89,0

81,7

10,9

7,7

Brasile

164

1.370

135

1.337

82,3

97,6

19,7

74,7

Rep. Domin.

46

872

36

859

78,3

98,5

30,0

84,6

Perù

143

480

54

372

37,8

77,5

13,9

39,0

Filippine

105

313

5

202

4,8

64,5

0,3

4,4

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Altro

3.480

5.920

2.323

4.834

66,8

81,7

7,9

 18,4

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Totale (c)

9.227

17.199

6.147

14.119

66,6

82,1

8,5

22,4

 

Note:

(a) Distintamente per sesso il totale dei matrimoni comprende quelli con connazionali, con italiani e con altri stranieri.

(b) Sono considerati matrimoni misti soltanto quelli con italiani.

(c) Numero medio annuo di matrimoni misti per 1000 stranieri con permesso di soggiorno.

(c) Nel periodo 1994‑95 il numero dei matrimoni con almeno uno degli sposi straniero è uguale a 23.346 (11.017 nel 1994 e 12.329 nel 1995). Tale valore si ottiene sommando al numero di matrimoni misti (20.266 = 6.147 + 14.119) quello dei matrimoni tra stranieri (3.080 = 9.227 ‑ 6.147 = 17.199 ‑ 14.119).

 

Fonte: nostra elaborazione su dati dell'Istat [1999].

 

Tab. 12 ‑ In base ai dati del Ministero dell'Interno gli stranieri che nel corso degli anni novanta hanno acquisito la cittadinanza per matrimonio o per naturalizzazione ordinaria sono più di 50.000. L'ammontare dei naturalizzati alla fine del 1998 è sicuramente maggiore di tale cifra sia perché non sono considerati gli stranieri che hanno acquisito la cittadinanza negli anni precedenti il 1991, sia perché non vengono contabilizzate le altre modalità di acquisizione. Concentrando l'attenzione sui dati relativi al periodo 1997‑98 emerge una realtà attesa: in nove casi su dieci l'acquisizione della cittadinanza avviene per matrimonio. In effetti, in un paese come il nostro dove vige il principio dello jus sanguinis, sebbene il matrimonio sia solo una delle due principali modalità per diventare cittadino italiano è di fatto quasi l'unica effettivamente percorribile (assorbendo quasi il 90% dei casi): questo è dato dalla rigidità dei criteri richiesti per l'acquisizione tramite naturalizzazione ordinaria (dieci anni di residenza continuativa in Italia per i cittadini extracomunitari).

 

Tab. 12 ‑ Acquisizioni della cittadinanza italiana per le principali cittadinanze. Italia, 1991‑98. Valori assoluti, percentuali e tassi di naturalizzazione per 1000 stranieri legali arrivati da almeno 10 anni

 

Paesi di cittadinanza

Acquisizioni 1991‑98

Acquisizioni 1997‑98

 

 

v.a.

% sul tot. stranieri legali (a)

Naturalizzazione ordinaria

per matrimonio

Totale

% per matrimonio

Tasso di naturalizzazione (b)

 

 

 

 

 

 

 

 

Svizzera

4.153

20,2

28

1.483

1.511

98,1

1,3

Romania

3.988

10,6

74

1.530

1.604

95,4

47,9

ex Jugoslavia

2.852

3,4

226

781

1.007

77,6

14,7

Rep. Dominic.

2.660

21,7

9

1.051

1.060

99,2

 

Argentina

2.656

31,7

40

574

614

93,5

13,0

 

 

 

 

 

 

 

 

Marocco

2.568

2,0

36

1.108

1.144

96,9

0,9

Polonia

2.294

9,0

37

743

780

95,3

6,5

Russia

2.200

17,8

8

681

689

988

17,2

Brasile

1.669

9,1

22

629

651

 

 

Egitto

1.657

6,5

133

326

459

71,0

11,1

 

 

 

 

 

 

 

 

Filippine

1.380

2,3

34

347

381

91,1

1,2

Albania

1.151

1,3

166

621

787

78,9

222,5

Tunisia

1.068

2,5

19

413

432

95,6

1,3

Iran

1.022

14,7_

146

241

387

62,3

17,6

Perù

1.009

 

14

401

415

96,6

7,3

 

 

 

 

 

 

 

 

Altro

20.730

3,8

1.015

5.674

6.689

84,8

3,8

 

 

 

 

 

 

 

 

Totale

53.057

4,6

2.007

16.603

18.610

89,2

4,7

 

Note:

(a) Percentuale di persone di origine straniera che ha acquisito la cittadinanza tra il 1991 e il 1998 sul totale degli stranieri legali all'inizio del 1999 e dei naturalizzati.

(b) Naturalizzazioni ordinarie per 1000 stranieri legali arrivati in Italia da almeno 10 anni.

 

Fonte: nostra elaborazione su dati del Ministero dell'Interno [Istat, 1998; Caritas, 1999; Bisogno, Gallo e Strozza 2000].

 

A causa della severità dei requisiti richiesti, la graduatoria delle nazionalità per numero di conferimenti della cittadinanza dipende essenzialmente dalla maggiore propensione di alcune collettività a contrarre matrimonio con cittadini italiani [Caritas di Roma 20001. Pertanto, elevato risulta l'ammontare di acquisizioni della cittadinanza italiana da parte di Svizzeri, Romeni e Dominicani, quasi completamente determinato dai matrimoni misti (14) (rappresentano più del 95%), mentre relativamente scarse sono le acquisizioni per gli Egiziani che, pur costituendo un aggregato di più «antica» immigrazione, hanno una più bassa propensione ai matrimoni con italiani. Il tasso di naturalizzazione ordinaria dovrebbe esprimere la propensione a diventare cittadini italiani da parte degli immigrati delle diverse collettività che hanno le condizioni per ottenerla (presenti in Italia, come si diceva, da almeno un decennio). Tale indicatore sarà utilizzabile soprattutto nei prossimi anni. Infatti, attualmente i valori osservati risentono del numero ridotto di casi sia a numeratore che, per alcune collettività di più recente immigrazione, anche a denominatore. E' questo, ad esempio, il caso degli Albanesi che fino al 1990 erano una collettività di dimensione assolutamente trascurabile.

 

C ‑ Inserimento lavorativo e mobilità socio‑professionale

 

C.a ‑ Di alcuni problemi di costruzione degli indicatori

All'analisi della terza dimensione dell'integrazione, bisogna premettere che se la prima indica il capitale umano che l'immigrato porta in Italia dal suo paese di origine, questa penultima area di interesse riguarda l'inserimento nella società di accoglimento. Se, di conseguenza, la prima dimensione tiene conto del livello di istruzione della prima generazione arrivata in Italia, in questo secondo contesto troverà spazio l'inserimento scolastico dei bambini immigrati al seguito dei genitori e della seconda generazione (figli nati in Italia). In quest'ambito, si potrà definire alto il livello di integrazione di un gruppo di immigrati solo se il suo livello di istruzione e di qualificazione professionale verranno ad allinearsi con quelli dei nazionali.

L'istruzione è una variabile chiave dell'integrazione. Come è già stato notato da questa stessa Commissione [Zincone 2000b], la maggiore preoccupazione riguarda il ritardo scolastico rispetto all'età anagrafica degli alunni e gli abbandoni. I ragazzi rimangono spesso «intrappolati» tra la scarsa padronanza della lingua italiana e la progressiva perdita dell'uso della lingua di origine.

Date le premesse, ci si rende facilmente conto che la riuscita scolastica dipende, in larga misura, dall'importanza (quantitativa e qualitativa) della scolarizzazione in età giovanile. Gli indicatori corrispondenti a questo settore andranno quindi dal tasso di scolarizzazione materna, elementare fino alla percentuale di iscritti all'università. Notiamo infine che l'inserimento nella scuola da parte dei bambini può dipendere dall'inserimento lavorativo da parte dei padri.

In un paese come il nostro dove l'immigrazione è ancora, in prevalenza, legata a motivi economici, l'integrazione nel mondo del lavoro assume rilievo assolutamente prioritario. Integrazione qui significa, secondo la definizione del Consiglio d'Europa, l'assenza di differenze tra gruppi comparabili di lavoratori nazionali e ed immigrati. L'inserimento appare inoltre importante visto che l'integrazione dovrebbe avvenire non solo nel lavoro ma anche attraverso il lavoro. (15)

Un primo segnale di allerta può derivare dalla disoccupazione che, specie se di lungo periodo, può comportare un elevato rischio di marginalizzazione. Pertanto il tasso di disoccupazione andrebbe confrontato con quello riscontrato per i lavoratori nazionali, possibilmente a parità di caratteristiche. (16) Altri fattori quali il lavoro « in nero» turbano l'affidabilità delle statistiche. Il tasso infatti potrebbe risultare sovrastimato o per la sottostima della popolazione attiva (a causa della presenza dei lavoratori clandestini) oppure dalla sovrastima del numero di disoccupati (dovuta all'esistenza di chi lavora ‑ in nero ‑ ma che, ufficialmente, risulta disoccupato).

Infine il monitoraggio del tasso di disoccupazione non significa, necessariamente, seguire l'evoluzione di una stessa popolazione di riferimento. Lo scollamento è dovuto al continuo ricambio della popolazione attiva sia per i flussi di persone in entrata ed in uscita dal paese, sia per i flussi giuridici legati alle acquisizioni di nazionalità italiana. In sintesi, il tasso di disoccupazione da conto di una realtà solo approssimata e in continua evoluzione.

Importante appare anche la partecipazione femminile al mercato del lavoro che, quando inferiore a quella delle donne italiane potrebbe essere un segnale di esclusione e segregazione, quando molto superiore potrebbe indicare una immigrazione quasi esclusivamente per lavoro che non riesce a valorizzare le altre dimensioni della vita individuale e familiare, specie quando si tratta di donne che hanno lasciato marito e figli nel paese di origine.

Ulteriore indicatore estremamente significativo è fondato sulla percentuale di lavoratori autonomi sul totale di lavoratori immigrati. La sua importanza deriva dalla constatazione che la decisione di intraprendere un'attività autonoma presuppone una buona conoscenza del mercato del lavoro che, a sua volta, risulta da un elevato livello di familiarità con le regole della pubblica amministrazione. Inoltre, lo svolgimento di attività lavorative autonome e di attività imprenditoriali può essere un chiaro segnale di successo del processo migratorio e di mobilità sociale ascendente nel contesto di accoglimento.

Anche la percentuale di occupati in professioni medio‑alte può costituire un indicatore del riuscito inserimento lavorativo e della possibilità di mobilità socio­professionale. Questo indice costituisce, infatti, un segnale di integrazione non solo per l'individuo che se ne renda protagonista ma per l'intero suo gruppo di appartenenza. L'importanza di questa affermazione risulta ancora più evidente se si tiene conto che diverse collettività straniere sperimentano la segregazione occupazionale, trovando collocazione solo in determinati segmenti del mercato del lavoro (generalmente si tratta di impieghi che non richiedono o richiedono solo un basso livello di qualificazione). L'indicatore proposto richiede un monitoraggio continuo: se, infatti, nel primissimo periodo di immigrazione, occupare le fasce basse del mercato occupazionale può considerasi «normale», il persistere di tale situazione potrebbe segnalare situazioni di segregazione e/o di discriminazione nei confronti degli stranieri.

Inoltre, qualora gli immigrati occupati in attività a bassissimo contenuto professionale abbiano, al contrario, conoscenze e capacità tali da poter essere impiegati in attività maggiormente qualificate, si determinerà una perdita non solo per l'immigrato ma anche una perdita secca per il sistema produttivo italiano: questo tipo di situazione viene sintetizzata dall'indice di utilizzazione del capitale umano definito come la quota di stranieri occupati in posizioni congrue rispetto al loro titolo di studio posseduto [Natale e Strozza 1997].

 

C. b ‑ Misure e indicatori disponibili

Tabb. 13, 14 e 15 ‑ Un segno dei forti cambiamenti che si vanno registrando nella popolazione immigrata in Italia è costituito dal forte aumento degli alunni stranieri iscritti alle scuole italiane: si è passati da circa 6.000 unità agli inizi degli anni ottanta al netto superamento della soglia delle 100.000 nell'anno scolastico 1999‑2000. I dati del Ministero della Pubblica Istruzione [2000] mostrano come l'incremento assoluto più forte sia stato registrato nella seconda metà degli anni novanta: tra l'a.s. 1994‑95 e l'a.s. 1999‑2000 il numero di alunni stranieri iscritti nelle scuole italiane è aumentato di ben 80.000 unità, triplicando la loro consistenza. Occorre, inoltre sottolineare che l'aumento va verificandosi anche per le scuole medie e per quelle superiori [Ministero della Pubblica Istruzione 2000].

 

Tab. 13 ‑ Alunni stranieri per ordine e tipologia di scuola. Anni scolastici 1994‑95 e 1999‑2000

 

Ordine scuola

Totale alunni stranieri

% sul totale degli alunni

Num. Indice

 

1994 ‑ 1995

1999 ‑ 2000

1994 ‑ 1995

1999 ‑ 2000

1994 ‑ 1995=100

Materna

4.223

24.103

1,52

1,69

571

Elementare

20.135

52.973

1,91

2,03

263

Media

9.089

28.891

0,47

1,68

318

Superiore

6.060

13.712

0,22

0,58

226

 

 

 

 

 

 

Totale

39.507

119.679

0,44

1,47

303

 

Fonti: Istat, Statistiche della scuola, anno scolastico 1994‑95, 1996; Ministero della Pubblica Istruzione, 2000.

 

Questa situazione può essere la conseguenza dell'effetto congiunto di più fattori di cui i più significativi sono la regolarizzazione del 1995‑96, e i conseguenti ricongiungimenti familiari, nonché l'aumento delle nascite degli immigrati.

 

Tab. 14 ‑ Alunni stranieri per ordine di scuola e cittadinanza. Anno scolastico 1999‑2000. Valori assoluti e numero di alunni per ogni 100 stranieri maggiorenni (a)

 

Paese di cittadinanza (b)

Alunni stranieri per ordine di scuola

Stranieri 18 e + anni

Alunni per 100 stranieri 18+ anni

 

Materna

Elementare

Media

Superiore

Totale

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Albania

4.142

9.853

4.726

2.138

20.859

82.977

25,1

Marocco

5.125

8.583

5.351

1.646

20.705

121.799

17,0

ex Jugoslavia

2.403

7.915

3.544

1.257

15.119

77.017

19,6

Cina

901

3.501

3.097

708

8.207

37.760

21,7

Romania

532

2.172

972

461

4.137

32.129

12,9

 

 

 

 

 

 

 

 

Perù

401

1.420

1.082

916

3.819

22.348

17,1

Filippine

937

1.358

606

254

3.155

57.870

5,5

Tunisia

1.171

1.090

364

167

2.792

39.411

7,1

India

642

1.140

489

140

2.411

20.536

11,7

Egitto

768

1.016

312

194

2.290

23.547

9,7

 

 

 

 

 

 

 

 

Polonia

317

885

507

391

2.100

22.616

9,3

Ghana

646

923

347

117

2.033

14.670

13,9

Brasile

232

782

488

321

1.823

15.650

11,6

Ecuador

256

741

444

179

1.620

4.584

35,3

Russia

148

614

298

260

1.320

8.314

15,9

Altro

5.482

10.980

6.264

4.563

27.289

465.809

5,9

Totale

24.103

52.973

28.891

13.712

119.679

1.047.037

11,4

 

Note:

(a) L'ultima colonna riporta la percentuale degli stranieri sulla popolazione residente ottenuta rapportando il numero di permessi di soggiorno rilasciati a maggiorenni al numero totale di maggiorenni residenti in Italia al 1998.

(b) Sono riportate le prime 15 collettività straniere ordinate in modo decrescente in base alla numerosità degli iscritti nell'anno scolastico 1999‑2000.

Fonte: nostra elaborazione su dati dei Ministero della Pubblica Istruzione [2000].

 

Il crescente numero di alunni stranieri si combina, così come per la presenza straniera complessiva, con un ampio ventaglio di cittadinanze coinvolte (che nelle grandi città può superare anche il numero di cento): questa circostanza rende senz'altro più problematica la messa a punto di politiche di istruzione efficaci nel segno dell'integrazione come integrità ed interazione. La graduatoria degli alunni stranieri per cittadinanza mette in evidenza alcune differenze rispetto alla graduatoria dei permessi di soggiorno, a testimonianza della presenza di modelli migratori differenti e di una diversa importanza della componente illegale. In particolare, risultano rovesciate le prime due posizioni con gli alunni albanesi più numerosi di quelli marocchini e la collettività filippina, quarta per consistenza complessiva, che slitta al settimo posto per numero di iscritti nelle scuole italiane. In quadro completo, e assai variegato, dei rapporto fra alunni e adulti nelle varie collettività figura chiaramente nei dati dell'ultima colonna della tab. 14.

Il costante aumento assoluto e relativo dei bambini e dei ragazzi stranieri nel sistema scolastico italiano, se esaminato all'interno del quadro legislativo vigente relativamente ai loro diritti, fa emergere una situazione socialmente delicata, dal momento che viene riconosciuto anche ai figli di immigrati irregolari il diritto a ricevere l'istruzione scolastica, mentre resta precaria la loro situazione dal punto di vista familiare per il persistere della situazione di irregolarità dei genitori.

 

Tab. 15 ‑ Alunni stranieri per ordine di scuola e cittadinanza. Anno scolastico 1999‑2000. Incidenza percentuale degli alunni stranieri sul totale della popolazione scolastica (italiana e straniera)

 

Paese di cittadinanza (a)

% sul totale della popolazione scolastica in Italia

 

Materna

Elementare

Media

Superiore

Totale

Albania

0,29

0,38

0,27

0,09

0,26

Marocco

0,36

0,33

0,31

0,07

0,25

ex Jugoslavia

0,17

0,30

0,21

0,05

0,19

Cina

0,06

0,13

0,18

0,03

0,10

Romania

0,04

0,08

0,06

0,02

0,05

 

 

 

 

 

 

Perù

0,03

0,05

0,06

0,04

0,05

Filippine

0,07

0,05

0,04

0,01

0,04

Tunisia

0,08

0,04

0,02

0,01

0,03

India

0,05

0,04

0,03

0,01

0,03

Egitto

0,05

0,04

0,02

0,01

0,03

 

 

 

 

 

 

Polonia

0,02

0,03

0,03

0,02

0,03

Ghana

0,05

0,04

0,02

0,00

0,02

Brasile

0,02

0,03

0,03

0,01

0,02

Ecuador

0,02

0,03

0,03

0,01

0,02

Russia

0,01

0,02

0,02

0,01

0,02

 

 

 

 

 

 

Altro

0,38

0,42

0,36

0,19

0,34

Totale

1,69

2,03

1,68

0,58

1,47

 

Nota: (a) Sono riportate le prime 15 collettività straniere ordinate in modo decrescente in base alla numerosità degli alunni iscritti nell'anno scolastico 1999‑2000

Fonte: nostra elaborazione su dati dei Ministero della Pubblica Istruzione [2000].

 

Tab. 16 ‑ Anche in un paese di recente immigrazione come il nostro, l'inserimento nel mondo del lavoro risulta essere un aspetto fondamentale dell'integrazione. Purtroppo le numerose rilevazioni disponibili non consentono di determinare con un buon grado di attendibilità la dimensione della forza lavoro straniera distinta quantomeno nella componente occupata (alle dipendenze e in modo autonomo) e in quella in cerca di lavoro. Ciò dipende dal carattere amministrativo di alcune rilevazioni e dalla contenuta numerosità degli stranieri rilevati in alcune specifiche indagini campionari come quella sulle forze di lavoro. (17) Per tutte queste ragioni e per l'ampia analisi che all'occupazione viene dedicata nell'apposito capitolo, in questa sede ci si limita a pochissime osservazioni.

Le informazioni per nazionalità qui riportate sono ricavabili dalle notizie raccolte per gli stranieri con permesso di soggiorno. La valenza di questi dati è puramente indicativa e di larga massima. Emergono comunque elementi di un certo interesse. E' possibile infatti individuare tra le collettività dei Pfpm:

- quelle più inserite nel mondo del lavoro (filippina, ex iugoslava e cinese);

- quelle che hanno una più elevata partecipazione al lavoro anche tra la componente femminile (filippina e peruviana);

‑ quelle a più ampia vocazione imprenditoriale o di lavoro autonomo (cinese, senegalese, egiziana e marocchina);

‑ quelle che presentando una maggior quota di iscritti al collocamento, dimostra­no avere maggiori problemi nella ricerca di un impiego (algerina, nigeriana, senegalese e marocchina).

 

Tab. 16 ‑ Stranieri con permesso per motivi di lavoro per le principali collettività. Italia, 1‑1‑1999. Valori assoluti e percentuali

 

Paesi di cittadinanza (a)

Permessi di soggiorno per motivi di lavoro

% permessi per motivi lavoro

% iscr. colloc.

% lav. auton.

 

M

F

Totale

M

F

Totale

(b)

(c)

Marocco

85.608

10.248

95.856

91,1

29,8

74,7

26,8

11,0

Ex Jugoslavia

41.861

15.438

57.299

82,6

49,2

69,8

8,6

6,5

Albania

47.085

7.737

54.822

84,2

24,4

62,6

13,0

4,1

Filippine

16.507

32.911

49.418

84,9

83,0

83,7

3,9

0,9

Tunisia

29.289

2.263

31.552

90,6

25,6

76,7

25,4

3,4

Senegal

28.882

662

29.544

98,6

31,3

94,0

30,0

14,5

Cina

18.033

10.666

28.699

81,2

56,1

69,6

6,9

32,1

Sri Lanka

13.666

6.177

19.843

87,5

52,5

72,5

10,4

1,7

Romania

11.845

7.342

19.187

78,8

39,1

56,8

12,4

6,6

Perù

5.562

12.688

18.250

74,9

78,3

77,2

9,6

5,2

Egitto

17.471

546

18.017

92,5

11,1

75,7

10,7

12,0

Germania

6.937

6.584

13.521

49,8

 

40,0

5,7

17,1

Ghana

9.094

3.591

12.685

94,3

64,0

83,2

12,5

1,9

Polonia

4.397

7.691

12.088

61,3

47,8

52,0

18,1

4,4

Regno Unito

6.244

5.751

11.995

61,7

43,4

51,3

5,8

13,7

Francia

6.061

5.579

11.640

61,9

37,3

47,0

6,8

12,6

India

10.126

892

11.018

77,6

10,0

50,1

10,6

3,3

Nigeria

5.100

5.189

10.289

87,2

72,5

79,1

30,7

10,3

Algeria

9.182

393

9.575

93,7

32,5

87,0

42,0

6,7

Pakistan

8.734

84

8.818

93,1

5,9

81,6

19,6

6,3

Totale

451.666

208.964

660.630

77,5

41,1

60,6

15,4

9,3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note:

(a) Sono riportate le prime 20 collettività straniere ordinate in modo decrescente in base alla numerosità dei permessi per motivi di lavoro validi all'inizio dei 1999.

(b) Percentuale permessi per iscrizione al collocamento sul totale dei permessi per motivi di lavoro.

(c) Percentuale permessi per lavoro autonomo sul totale dei permessi per lavoro autonomo e per lavoro subordinato.

 

Fonte: nostra elaborazione su dati del Ministero dell'Interno rivisti dall'Istat [2000c].

 

D ‑ Vita nella società

 

D. a ‑ Di alcuni problemi di costruzione degli indicatori

L'inserimento lavorativo, come è stato ricordato in precedenza, rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente ad assicurare l'integrazione degli immigrati nella società italiana. La vita nella società costituisce la quarta dimensione individuata nella quale rivestono un ruolo particolarmente importante i dati relativi all'insediamento abitativo.

Preliminarmente, occorre valutare la concentrazione residenziale degli immigrati nelle nostre città. Anche quest'indice però può avere un'interpretazione ambivalente: da una parte, se rilevata durante il primo periodo di arrivo in Italia può essere considerata un segno positivo in quanto il nuovo arrivato viene sostenuto da una rete comunitaria preesistente che costituisce, quindi, una risorsa; se registrata invece in relazione ad una comunità stabilmente e lungamente insediata può essere il segno di segregazione territoriale. D'altra parte, però, non sempre la concentrazione dipende dalla segregazione. Questa può infatti trovare origine dalle dinamiche del mercato immobiliare: ciò significa che gli immigrati potrebbero insediarsi semplicemente dove il mercato delle abitazioni si rende loro accessibile. In quest'ultimo caso la sistemazione abitativa è condizionata dalla disponibilità economica e quindi possono non essere gli italiani a segregare ma è anche il successo lavorativo di una collettività che determina le sue possibilità di accesso ad abitazioni migliori. Altro discorso è invece se la concentrazione è dovuta, di fatto, ad una sorta di offerta ad hoc per gli immigrati, sia in ordine ai quartieri che per le caratteristiche degli alloggi.

Se quest'ultima situazione verrebbe effettivamente a configurare una segregazione a danno degli immigrati, è anche vero che, a volte, sono proprio questi ultimi a volersi «autosegregare», cercando cioè di ricreare la comunità all'interno di un paese straniero e proponendo, quindi, un modello di semplice coesistenza con le altre collettività.

Nell'ambito dell'alloggio, sembra inoltre di particolare importanza lo studio dei due opposti poli di uno stesso continuum che parte dalla percentuale di immigrati proprietari di abitazioni ed arriva alla percentuale di quelli senza fissa dimora (esclusione abitativa). E' da tenere presente che la precarietà abitativa impedisce quasi sempre il ricongiungimento familiare, fattore importante di integrazione [Natale e Strozza 1997].

Legato al problema delle condizioni abitative è la misura dell'affollamento. La presenza di più di due stranieri per vano può essere considerato, al pari di quanto assunto per gli italiani, una misura di sovraffollamento e quindi di difficili condizioni di alloggio.

Un'ulteriore area di interesse nell'ambito della vita nella società è dettata dai consumi. La struttura di questi fornisce indicazioni sulle attitudini degli immigrati rispetto a spese che non siano quelle strutturalmente necessarie. In quest'ottica, indicatori potrebbero essere tanto l'equipaggiamento in elettrodomestici di cui si dotano gli immigrati, quanto le spese che si collocano fuori dall'area domestica quali, ad esempio, quelle per l'acquisto e il mantenimento di un'autovettura.

Indubbiamente rilevante per la realizzazione di percorsi di integrazione e di un positivo inserimento sociale degli immigrati è la loro possibilità di tutelare la propria salute e di ridurre al minimo incidenza e prevalenza di morbosità, condizione tra l'altro indispensabile per esercitare le proprie potenzialità lavorative, oltreché formative e relazionali. Ciò richiama alle generali condizioni di vita proprie degli immigrati (lavoro, casa, alimentazione, clima, comportamenti a rischio, ecc.) e alle opportunità di assistenza offerte dal servizio sanitario pubblico (notevolmente ampliate dalle disposizioni sanitarie contenute nel testo unico sulla immigrazione).

Al riguardo un primo indicatore è fornito dalla percentuale annua di stranieri maggiorenni iscritti al Servizio sanitario nazionale (Ssn) sul totale degli aventi diritto ed obbligo. (18) Il monitoraggio temporale della quota di iscritti fornisce quindi una informazione preziosa anche per valutare lo stato complessivo dell'integrazione sociale. Una seconda classe di indicatori fa riferimento ai ricoveri ospedalieri (da distinguere rispetto ai singoli individui ricoverati, per via della possibilità di ricoveri ripetuti) effettuati ogni anno su soggetti stranieri. Questi dati possono essere largamente disaggregati, consentendo una comparazione rispetto alla domanda assistenziale della popolazione italiana e dunque una valutazione rispetto alla maggiore o minore esposizione a rischi per la salute. Una terza possibile classe di indicatori fa riferimento al nuovo «Certificato di assistenza al parto» e alle notizie in esso contenute.

Oltre alla morbosità aspetto ulteriore da considerare è quello riguardante la mortalità in generale e quella infantile in particolare. Al riguardo va notato però che il numero esiguo dei decessi dovuto all'ammontare contenuto di esposti (immigrati in totale o nati stranieri) e alla favorevole struttura per età (la popolazione straniera è a tuttora molto giovane) rendono attualmente molto difficoltoso costruire dei tassi di mortalità distintamente per nazionalità.

Un ulteriore elemento del contesto della vita sociale degli extracomunitari rileva la loro devianza. Questo, se ricondotto ai comportamenti criminali, può risultare interessante vista l'equazione che a volte viene fatta tra immigrati e delinquenza. Inoltre, come ricordano vari autori [Baldacci e Natale 1995; Barbagli 1998] molte sono le teorie che ipotizzano uno stretto legame inverso tra integrazione socioeconomica e devianza: secondo tali ipotesi, maggiore è l'inserimento degli immigrati a livello sociale ed economico, minore è la loro propensione a comportamenti devianti. Naturalmente la costruzione di tassi di denuncia, incarcerazione e di condanna risulta problematica poiché una parte consistente degli stranieri interessati da comportamenti devianti è in condizione di irregolarità ed è quindi difficile tenerne conto nel denominatore dei rapporti. Inoltre, l'eventuale più frequente adozione di misure cautelari nei confronti degli immigrati potrebbe dipendere dalle loro instabili condizioni di vita (ad esempio, anche in caso di reati minori per gli stranieri senza fissa dimora scatta automaticamente l'arresto cautelare). Infine, va tenuto presente che, così come i comportamenti devianti dei nuovi venuti costituiscono un elemento che lede la sicurezza della società nel suo complesso, le azioni criminali nei confronti degli stranieri rappresentano un chiaro elemento che mette a repentaglio le condizioni di vita delle collettività immigrate.

 

D.b ‑ Misure e indicatori disponibili

Tab. 17 ‑ La disponibilità di alloggi per gli immigrati assume sempre maggior significato visti i contorni di stabilità che va acquisendo l'immigrazione in Italia: tale caratterizzazione è chiaramente dimostrata dall'aumento del numero dei ricongiungimenti familiari, dei matrimoni e delle nascite da genitori stranieri. Malgrado l'importanza della informazione sul tipo di sistemazione abitati e sulle condizioni di alloggio, non esistono, al pari di quanto riscontrato per la conoscenza della lingua italiana, rilevazioni complete e periodiche ma solo indagini ad hoc concernenti specifiche collettività immigrate e particolari ambiti territoriali. I risultati di una delle ultime indagini sono riportati nella tabella seguente.

Naturalmente, cambiano i livelli sopportabili di disagio in base alla situazione familiare. Se avere un riparo purché sia è una condizione sopportabile per il singolo, la stessa può diventare uno stato insostenibile per un'intera famiglia ed anche per un single con il protrarsi del soggiorno nel paese di accoglimento.

I dati riportati mostrano situazioni abitative anche notevolmente differenti tra collettività e per una stessa collettività in aree differenti di insediamento. In particolare, va notato come i marocchini vivano situazioni diverse da regione a regione: mentre in Veneto più bassa è l'esclusione abitativa e migliori sono le condizioni di alloggio (più contenuto è il valore dell'indice medio di affollamento), in Campania la situazione appare abbastanza critica con circa il 30% di immigrati che vivono in sistemazioni di fortuna e in media due dimoranti per vano tra quelli che hanno una condizione abitativa meno precaria.

 

Tab. 17 ‑ Condizione abitativa degli stranieri intervistati in un'indagine del 1998 in alcune aree dell'Italia. Valori percentuali ed indice di affollamento

 

Paese di cittadinanza

Num. casi

% per condizione abitativa (a)

Indice affoll. (b)

 

 

Casa priv. in famigl.

Casa priv. in coabit.

Luogo di lavoro

Strutt. accoglienza

Sistem. fortuita

Tot.

Casa privata

Casa priv. in coabit.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Albania

279

56,3

21,9

5,7

5,0

11,1

100,0

1,47

1,51

ex‑Jugoslavia

261

59,4

19,5

7,7

1,9

11,5

100,0

1,24

1,30

Polonia

409

35,7

30,1

26,7

1,5

6,1

100,0

1,50

1,71

Romania

201

24,4

46,3

4,5

7,5

17,4

100,0

1,95

2,08

Marocco

757

41,2

30,8

3,2

5,5

19,3

100,0

1,53

1,69

di cui:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

‑ Veneto

319

52,0

24,5

3,4

8,5

11,6

100,0

1,24

1,10

‑ Roma

184

47,3

29,9

3,3

2,7

16,8

100,0

1,67

1,97

‑ Campania

255

23,1

39,2

3,1

3,9

30,6

100,0

1,84

1,99

 

Note:

(a) Le modalità considerate sono state ottenute per aggregazione di tipologie abitative più analitiche. Casa privata in famiglia comprende casa di proprietà e casa in affitto da solo o con parenti; casa privata in coabitazione comprende casa in affitto con altri immigrati o con italiani (escluso parenti) e ospite da amici e conoscenti; struttura di accoglienza comprende anche in albergo a pagamento da enti pubblici.

(b) Numero medio di persone per vano.

 

Fonte: Indagine su «Lavoro, reddito e rimesse di alcune collettività straniere in Italia», Dipartimento Scienze Demografiche [Natale e Strozza 2000].

 

Tab. 18 ‑ I dati del Ministero della Sanità mostrano come quasi un quarto dei ricoveri degli stranieri provenienti dai Pfpm sono relativi a marocchini e albanesi. Il numero è rilevante (circa 45.000 su 189.000) e certamente ci si gioverebbe di dati più analitici riguardo alla patologia e alla distribuzione territoriale di tali ricoveri. Se i dati della tab. 18 potessero essere interpretati come tassi di incidenza di malattia, va notato come le comunità più «sane» ‑ o che comunque fanno meno ricorso alle strutture sanitarie italiane ‑ sono quelle delle Filippine e della Cina, con un tasso di 8,5 ‑ 9,8 ricoveri per ogni 100 stranieri; le comunità meno «sane» ‑ o che comunque fanno più ricorso alle strutture sanitarie italiane ‑ sono quelle del Brasile e della Nigeria, con un tasso di 23,1 ‑ 22,7. Sono quindi molto forti le differenze nell'utilizzo delle strutture sanitarie ed è certo questo un aspetto da approfondire.

 

Tab. 18 ‑ Prime 15 collettività straniere originarie dai Pfpm per numero di ricoveri. Italia, 1998. Valori assoluti, percentuali e stime dei tassi per 100 stranieri

 

Paese di provenienza

Ricoveri

Ricoveri per 100 stranieri

 

v.a.

%

 

 

 

 

 

Marocco

25.565

13,5

16,9

Albania

19.516

10,3

15,4

Jugoslavia

13.990

7,4

15.4

Romania

8.839

4,7

15,4

Tunisia

8.625

4,6

18,3

 

 

 

 

Egitto

6.129

3,2

20,7

Polonia

5.955

3,1

19.9

Cina

5.948

3,1

9,8

Nigeria

5.587

3,0

22,7

Perù

5.228

2,8

20,0

 

 

 

 

Filippine

5.212

2,8

8,5

Senegal

4.852

2,6

11,5

Brasile

4.280

2,3

23,1

Ghana

4.135

2,2

19,2

Sri Lanka

3.407

1,8

11,6

 

 

 

 

Altro

62.121

32,8

17,2

Totale

189.389

100,0

16,1

 

Nota:

(a) Sono stati esclusi i cittadini stranieri provenienti dall'Europa occidentale, dal Nord‑America, dall'Oceania e dal Giappone.

 

Fonte: dati del Ministero della Sanità, Ufficio di Statistica, 2000

 

Le donne nate all'estero che hanno effettuato in Italia una interruzione volontarie di gravidanza (IVG) sono passate da 4.510 del 1980 a 20.480 del 1998; (19) la loro proporzione sul totale delle donne che ha effettuato IVG è cresciuta da poco più del 2 al 15%. Dal 1995 sono disponibili anche i dati sulle IVG per cittadinanza: limitando l'attenzione alle donne straniere residenti si ottiene per il 1998 un tasso di abortività per 1000 donne residenti pari a 32,5, più di tre volte superiore a quello delle italiane. Ma è fra le giovani che si riscontrano le differenze più forti: fra le ragazze di 18‑24 anni il tasso di abortività per 1000 è pari a 11,5 per le italiane e a 55,0 per le straniere. Tassi così differenziati rivelano in maniera evidente la necessità di politiche di supporto e informazione verso le donne straniere, in particolare le giovanissime [Boccuzzo e Buratta 2001].

Tab. 19 ‑ Dai dati sui denunciati e sugli entrati in carcere (dallo stato di libertà) nel biennio 1998‑99 si evince chiaramente come la criminalità straniera sia ascrivibile prevalentemente ad alcune specifiche nazionalità. Per l'esattezza le prime sei collettività ordinate in base al numero di incarcerati nel biennio assorbono circa i tre quarti delle procedure giudiziarie attivate. Si tratta delle collettività maggiormente presenti sul territorio alle quali si aggrega quella algerina.

La costruzione dei tassi di denuncia e di arresto è assai problematica e statisticamente poco affidabile; pertanto è difficile valutare la propensione a delinquere delle diverse collettività. Comunque, una indicazione grezza e di prima approssimazione può essere ricavata dal confronto della struttura per nazionalità del totale della presenza straniera con quella delle denunce o degli arresti di stranieri.

I dati sulle presenze negli istituti di previdenza e pena mostrano come la popolazione carceraria sia costituita per oltre un quarto da cittadini stranieri: tale quota è di certo molto alta, ma va considerato, fra l'altro, che la mancanza di una fissa dimora impedisce a molti stranieri di poter usufruire della libertà vigilata e prolunga il loro periodo di detenzione.

Resta comunque il fatto che tra i detenuti stranieri è altissima la quota di quelli provenienti dall'Africa mediterranea. Non solo infatti, la comunità marocchina è al primo posto per presenza nelle carceri ma, sommando i tre paesi del Maghreb (che compaiono nella tab. 19), si trova che costituiscono quasi la metà (il 47%) della popolazione carceraria straniera. In effetti, proprio per i maghrebini si osservano rapporti tra quota di presenti nelle carceri e quota di presenti sul territorio particolarmente elevati (indicati nella tab. 19 con due o tre asterischi), valori che vengono raggiunti anche dai cileni e dai colombiani, la cui consistenza numerica è però molto ridotta.

 

4. Alcuni indicatori per aree territoriali

Nei primi tre paragrafi si è compiuto un lungo percorso nel tentativo di dare indicazioni quantitative sulla integrazione degli immigrati e sui loro rapporti con la popolazione italiana. In questo paragrafo, invece, ci si propone di dare un'immagine di sintesi della immigrazione dal punto di vista dell'area di insediamento, il che significa mettere in evidenza ammontare e struttura della popolazione straniera in ambito territoriale: questo contribuisce a mettere in evidenza la domanda di beni e servizi da parte degli stranieri e l'ambiente umano con il quale la popolazione italiana si trova a convivere.

L'analisi è condotta a livello di ripartizione, perché si è cercato di trovare una dimensione territoriale che desse una qualche garanzia di robustezza riguardo alle statistiche adoperate. Naturalmente, questo costituisce il limite dell'analisi stessa perché gli indicatori utilizzati, riguardando il complesso degli stranieri, sono la media ponderata di valori diversi per collettività, in alcuni casi anche notevolmente diversi.

Ci si limita di seguito a qualche breve osservazione.

 

Tab. 19 ‑ Numero medio annuo di denunciati e di arrestati nel periodo 1998‑99 e di detenuti al 31/12/ 1999. Italia, valori assoluti e percentuali

 

Paese di cittadinanza (a)

Stima stranieri al 1999 (b)

Numero medio annuo 1998‑99

Detenuti al 31.12.1999

 

 

 

Denunciati

Arrestati

 

 

Valori assoluti

Marocco

150.766

17.315

6.195

3.095

ex Jugoslavia

90.921

11.531

4.126

1.231

Albania

127.049

14.748

2.822

2.104

Tunisia

47.070

5.024

2.691

2.146

Romania

57.233

7.836

2.574

529

Algeria

15.969

4.088

2.477

1.179

Senegal

42.246

3.207

541

174

Nigeria

24.649

3.860

453

362

Perù

26.057

958

381

95

Polonia

29.872

984

369

113

Colombia

8.817

461

363

489

Cile

3.201

351

314

123

Francia

24.762

671

226

104

Egitto

29.647

1.078

218

152

Cina

60.358

2.371

204

124

Altro

660.436

16.709

3.503

2.030

Totale

1.399.053

91.189

27.453

14.050

 

Valori percentuali (c)

Marocco

10,8

19,0

22,6

22,0**

ex Jugoslavia

6,5

12,6

15,0

8,8

Albania

9,1

16,2

10,3

15,0*

Tunisia

3,4

5,5

9,8

15,3***

Romania

4,1

8,6

9,4

3,8

Algeria

1,1

4,5

9,0

8,4***

Senegal

3,0

3,5

2,0

1,2

Nigeria

1,8

4,2

1,7

2,6

Perù

1,9

1,1

1,4

0,7

Polonia

2,1

Li

1,3

0,8

Colombia

0,6

0,5

1,3

3,5***

Cile

0,2

0,4

1,1

0,9***

Francia

1,8

0,7

0,8

0,7

Egitto

2,1

1,2

0,8

1,1

Cina

4,3

2,6

0,7

0,9

Altro

47,2

18,3

12,8

14,4

Totale

100,0

100,0

100,0

100,0

 

Note: (a) Sono riportate le prime 15 collettività straniere ordinate in modo decrescente in base alla numerosità media annua degli arresti del 1998‑99. (b) Agli stranieri con permesso di soggiorno all'I‑1­1999 sono state aggiunte le prenotazioni per la sanatoria dei 1998 tratte dalla Caritas di Roma [19991. (e) Accanto ai valori percentuali dell'ultima colonna vengono riportati uno, due o tre asterischi a seconda che il rapporto tra la quota di stranieri detenuti e la quota di stranieri presenti in Italia (regolari o in attesa di regolarizzazione) risulti rispettivamente compreso tra 1,50 e 1,99, tra 2,00 e 2,99, oppure uguale o maggio­re di 3,00.

Fonte: nostra elaborazione su dati dei ministero dell'Interno e del ministero di Grazia e Giustizia.

 

- esistono non piccole differenze nella dimensione relativa e nella struttura della popolazione straniera insediata nelle varie ripartizioni. Ad esempio, gli stranieri costruiscono il 3% della popolazione complessiva nell'Italia centrale e solo lo 0,8% nelle due ripartizioni meridionali; la percentuale di donne è massima (50%) nell'Italia centrale e minima nell'Italia del nord est (43,5%); la proporzione maggiore di anziani si trova nel centro (7,2%, per effetto della forte popolazione proveniente dai paesi sviluppati che abita a Roma, soprattutto per motivi diplomatici e religiosi), mentre quella minore si trova nelle isole (2,4%);

- per quanto riguarda l'Italia del nord est, mette conto di essere sottolineato che ha la più bassa quota di richieste di regolarizzazioni e la più bassa proporzione di persone soggiornanti da più di dieci anni: tutto questo potrebbe significare un'immigrazione più giovane ma, nello stesso tempo, più «stabile» come si può evincere anche dall'elevata percentuale di coniugati, dalla più elevata proporzione di minorenni, dal più elevato tasso di natalità, dal più elevato tasso di naturalizzazione;

- all'opposto è il caso dell'Italia del sud che sembra essere caratterizzata da una più alta quota di immigrazione irregolare, come potrebbe lasciar intendere il più forte tasso di richieste di regolarizzazione e la bassissima quota di popolazione straniera regolare sul totale della popolazione. Nella stessa direzione può essere letto il più basso tasso di natalità e un bassissimo tasso di naturalizzazione; pochissimi sono i minorenni. Per qualche aspetto, nella valutazione delle caratteristiche della popolazione straniera di questa circoscrizione forte peso hanno quelle del tutto peculiari della popolazione statunitense, legata prevalentemente alla presenza sul territorio di basi militari;

‑ dal punto di vista della domanda sanitaria, va notato che il Mezzogiorno presenta la minore frequenza di ricoveri non solo in termini assoluti ma anche in termini relativi; ma al contrario, insieme con il Nord, ha una alta frequenza relativa di ricoveri di stranieri non residenti (il che potrebbe essere considerato un indizio di una maggiore presenza di immigrati irregolari). Maggiore è il carico che grava sulle strutture dell'Italia settentrionale e ancora più elevato, in termini relativo, è il carico sulle strutture dell'Italia centrale;

- di grande interesse risultano i dati sui flussi migratori interni della popolazione straniera residente. Nord ovest e Nord est, insieme, hanno nel 1998 un saldo migratorio interno positivo di poco meno di 10.000 stranieri, il centro ha un saldo migratorio più o meno nullo, mentre le due ripartizioni meridionali hanno un

saldo negativo pari a 4.400 stranieri. (20) Non meno significativi sono i saldi migratori per ogni 1.000 stranieri residenti: +13,4 per il Nord ovest; +24,1 per il Nord est; ‑1,5 per il Centro; ‑22,3 per il Sud; ‑28,0 per le Isole;

- anche se i dati presentano incongruenze, è netta e certa l'indicazione che da essi si ricava, trattandosi di stranieri iscritti all'anagrafe e quindi regolari e relativamente stabili, e cioè che vi è un forte flusso migratorio Sud‑Nord, frutto delle forti differenze nelle situazioni economiche e nelle opportunità di lavoro;

- straordinariamente ridotto è il numero di stranieri cancellati dalle anagrafi delle due ripartizioni meridionali (al contrario di quanto accade ad esempio nella ripartizione del nord ovest) verso l'estero, il che potrebbe stare a significare un buon numero di mancate cancellazioni e di una ridotta sorveglianza delle anagrafi; ne è precisa testimonianza il fatto che la popolazione straniera iscritta in anagrafe nelle isole è del 13% superiore al totale della popolazione cui è stato concesso un permesso di soggiorno.

Certamente un'analisi così strutturata avrebbe valenza politica assai maggiore se potesse essere condotta a livello provinciale e a livello di grande comune. Aiuterebbe infatti a evidenziare elementi positivi o eventualmente negativi del rapporto fra popolazione immigrata e popolazione autoctona e potrebbe quindi dare più precise indicazioni di policy agli operatori locali, che sono quelli più direttamente coinvolti nella gestione corrente del fenomeno migratorio.

 

5. In prospettiva

Al termine di questo primo esame delle possibilità di predisposizione di un sistema di indicatori che consenta di monitorare le caratteristiche e le condizioni di inserimento nella società italiana delle collettività immigrate, sembra opportuno svolgere alcune considerazioni miranti a favorire il perseguimento dell'obiettivo prefissato.

Allo stato attuale, la difficoltà di pervenire ad un adeguato insieme di indicatori di integrazione è dovuta alla mancanza di alcune informazioni essenziali, come quelle sui consumi, o alla loro disponibilità solo in alcune occasioni, come nel caso delle notizie sul titolo di studio conseguito e sulla sistemazione abitativa, rilevate al censimento demografico. Inoltre, alcune informazioni pur disponibili risultano inattendibili poiché registrate da fonti di tipo amministrativo che riescono a cogliere solo parzialmente il fenomeno. E' questo il caso, ad esempio, delle rimesse che l'Ufficio italiano cambi registra solo per la parte che passa attraverso il sistema bancario, quota che varia da una collettività all'altra anche in base alla diffusione della rete bancaria nel paese di origine e alla presenza nel paese di accoglimento di filiali di una banca nazionale. Per l'acquisizione di queste ed altre informazioni è auspicabile la realizzazione di un'indagine campionaria periodica sulla popolazione straniera e su quella di origine straniera che consenta di raccogliere notizie anche di tipo qualitativo sulle principali collettività immigrate.

Per altri aspetti come quelli sulla scolarità e la riuscita scolastica, la formazione professionale, l'inserimento e la mobilità lavorativa è auspicabile che i dati raccolti dagli enti preposti alle diverse rilevazioni vengano valorizzati attraverso la revisione delle procedure adottate, delle variabili considerate e/o delle informazioni diffuse. Considerando gli aspetti della salute, il monitoraggio di alcuni indicatori (in particolare per bambini, giovani donne e lavoratori), ricavabili da informazioni di tipo ospedaliero ed extra ospedaliero, si configura quale preziosa opportunità di verifica del livello di benessere degli stranieri.

 

Tab. 20 ‑ Misure ed indicatori sugli stranieri con permesso di soggiorno o iscritti nelle anagrafi comunali prevalentemente al 1998. Valori assoluti (in migliaia), percentuali e tassi per 1000 stranieri

 

Misure e indicatori

Italia

Ripartizioni territoriali

 

 

Nord‑ Ovest

Nord‑Est

Centro

Sud

Isole

Dati che si riferiscono ai permessi di soggiorno

 

 

 

 

 

 

‑ Stranieri con perm. di sogg. all'1‑1‑1999 (in migliaia)

1.091

339

247

334

114

57

‑ Incidenza % stranieri sulla popolazione residente

1,9

2,2

2,3

3,0

0,8

0,8

‑ Numero istanze di regolarizzazione nel 1998 (in migliaia)

243

80

36

77

36

13

‑ Istanze regolarizzazione nel 1998 per 100 perm. di sogg.

22,3

23,6

14,7

23,1

31,9

22,2

‑ % stranieri presenti da almeno 10 anni

22,4

21,7

18,3

26,2

21,2

23,9

‑ % donne straniere

46,6

45,5

43,5 

50,0

47,5

44,4

‑ Età media (tra 18 e 64 anni compiuti)

35,0

34,7

34,2

35,7

35,1

35,3

‑ Stranieri 40‑60 anni per 100 stranieri 20‑40 anni

35,4

32,8

31,7

39,7

38,1

38,9

‑ % stranieri di 65 anni e più

5,5

5,6

4,0

7,5

3,8

2,5

‑ % stranieri coniugati

50,4

52,3

54,9

42,5

54,7

58,0

‑ % permessi per motivi di famiglia

24,9

25,3

27,4

19,3

32,6

28,9

‑ % permessi per motivi di lavoro

60,6

64,5

62,2

56,7

56,3

61,1

‑ Rimesse annue medie pro capite 1997‑98 (.000 £ correnti)

648

437

443

1.008

612

704

‑ % matrimoni misti tra i maschi stranieri nel 1994‑95

66,6

75,2

52,9

58,7

84,5

80,1

‑ % matrimoni misti tra le femmine straniere nel 1994‑95

82,1

86,7

74,8

80,1

90,6

85,8

‑ Tasso nuzialità mista maschi stranieri (per 1000 perm.)

8,5

9,3

7,4

6,2

14,8

10,3

‑ Tasso di nuzialità mista donne straniere (per 1000 perm.)

22,4

24,9

27,0

17,8

24,6

18,9

‑ Ricoveri ospedalieri, 1998, tot. stranieri (in migliaia) (a)

202

112

69

21

 

 

‑ % ricoveri stranieri non resid. sul totale ricoveri stranieri

26,5

30,0

19,4

30,9

 

 

‑ Ricoveri totale stranieri per 100 ricoveri in totale

1,7

1,9

3,0

0,5

 

 

Dati che si riferiscono agli stranieri iscritti alle anagrafi

 

 

 

 

 

 

Ammontare iscritti in anagrafe all'1‑1‑1999 (in migliaia)

1.116

366

237

329

111

73

Iscritti in anagrafe per 100 stranieri con perm. sogg. (b)

88,8 

92,7

81,3

86,5

87,8

112,9

- % minori di 18 anni

16,7 

17,9

19,5

14,8

13,5

15,6

- % iscritti nei comuni capoluogo

48,2

48,8

37,4

61,0

31,7

48,5

Ammontare nascite nel 1998 (in migliaia)

16,9

6,6

4,3

4,0

1,2

0,8

Ammontare morti nel 1998 (in migliaia)

1,8

0,6

0,5

0,4

0,2

0,1

Saldo naturale nel 1998 (in migliaia)

15,1

6,0

3,9

3,6

1,1

0,7

Saldo migratorio interno nel 1998 (in migliaia) (c)

5,1 

4,6

5,3

‑ 0,4

‑ 2,4

‑ 2,0

Saldo migratorio con l'estero nel 1998 (in migliaia)

124,2

46,6

26,8

33,4

12,7

4,7

Acquisizioni cittadinanza italiana nel 1998 (in migliaia)

10,8

3,7

2,9

2,8

0,9

0,5

Saldo totale nel 1998 (d)

124,7

49,8

30,9

32,1

9,9

2,0

- Tasso di natalità 1998 (nati per 1000 residenti)

16,0

19,2

19,7

12,7

11,5

10,6

- Tasso di mortalità 1988 (decessi per 1000 residenti)

1,7

1,8

2,1

1,4

1,6

1,2

- Tasso di incremento naturale 1998

14,4  

17,4

17,6

11,4

10,0

9,4

- Saldo migratorio interno per 1000 stranieri residenti

4,8

13,4 

24,1

‑1,5

‑22,3

‑28,0

- Saldo migratorio con l'estero per 1000 stranieri residenti

117,8

136,5

121,3

106,7

119,8

64,6

- Tasso di naturalizzazione 1998 (per 1000 residenti)

10,9

11,8

14,0

9,3

9,1

6,6

- Tasso di incremento totale 1998 (per 1000 residenti) (d)

118,3

145,8

139,7

102,5

93,3

27,9

 

Note:

(a) Sono considerati soltanto i ricoveri per malattie acute.

(b) Sono considerati solo gli stranieri maggiorenni sia tra gli iscritti in anagrafe sia tra i titolari di permesso di soggiorno.

(c) Il saldo migratorio per l'interno a livello nazionale è diverso da zero a causa di sfasamenti temporali negli atti amministrativi

o di rettifiche conseguenti a verifiche post‑censuarie o ad accertamenti [Istat 2000c].

(d) Sono considerate anche le «altre iscrizioni», le «cancellazioni per irreperibilità» e le «altre cancellazioni».

Fonte: nostra elaborazione su dati dei Ministero dell'Interno, delle Anagrafi comunali e dello stato civile [Istat 1998; 1999; 2000a; 2000c], del Ministero della Sanità e dell'Ufficio italiano cambi.

 

Accanto ai problemi connessi alla indisponibilità e all'inadeguatezza di alcune informazioni va considerato quello relativo alla difficoltà di pervenire ad indicatori coerenti quando il numeratore e il denominatore del rapporto si riferiscono a collettivi differenti. Tale problematica risulta particolarmente rilevante nella costruzione dei rapporti di derivazione (tassi di fecondità, criminalità, ecc.), in cui gli eventi a numeratore si riferiscono in genere non solo alla popolazione straniera legale ma anche a quella illegale che non è ovviamente rilevata dalle fonti ufficiali e quindi risulta difficile stimare un denominatore coerente con il numeratore. La possibilità di distinguere gli eventi a numeratore in base alla popolazione di riferimento (stranieri residenti, legali o irregolari) potrebbe consentire di superare questo tipo di difficoltà.

Problemi non meno importanti sono emersi nella fase di comparazione dei valori degli indicatori relativi alle differenti collettività immigrate. Non è detto che valori simili indichino un uguale percorso e soprattutto uno stesso stadio di inserimento poiché le situazioni osservate vanno, in alcuni casi, relativizzate al contesto di origine e ai differenti modelli migratori. Il riferimento prevalente alla popolazione straniera legale potrebbe far emergere situazioni che potrebbero essere completamente stravolte se fosse possibile inserire nell'analisi anche la componente illegale.

Inoltre, l'adozione di un approccio di analisi trasversale consente molto meno di quello longitudinale (che segue nel tempo le varie coorti di immigrati) di cogliere compiutamente e correttamente il processo di inserimento.

Pur dovendo tenere conto di tutte queste difficoltà, sembra possibile pervenire in futuro alla predisposizione di un sistema di indicatori per collettività immigrata e area di insediamento (ripartizioni territoriali) aggiornabile di anno in anno.

 

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Zincone, G. (a cura di)

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Note:

 

1) Infine, il tentativo di ordinare e successivamente confrontare realtà cosi complesse risulta essere tanto più interessante se si considera il passaggio dell'intera materia immigrazione dal Terzo pilastro dell'Unione europea (pilastro intergovernativo) al Primo (pilastro comunitario) attraverso la stesura del nuovo titolo Vi dei Trattato istitutivo della Comunità europea intitolato «Visti, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone».

 

2) La rilevabilità della popolazione di origine straniera si presenta  complessa sia per motivi tecnici, sia

per motivi politici. Andrebbe infatti chiesto ad ogni persona la cittadinanza che aveva nel paese di origine

o, per i minori nati nel paese di destinazione, la cittadinanza dei genitori. Sotto il profilo politico diventa

però sempre più difficile porre questo tipo di domande che i cittadini rifiutano sottolineando l'«invasione

statistica» e il pericolo di schedatura; d'altra parte queste ultime preoccupazioni, pure in qualche misura

condivisibili, sono in contraddizione con il desiderio/esigenza di ogni minoranza di vedere riconosciute le proprie specificità.

 

3) Va tenuto presente che anche agli stranieri illegali vanno garantiti alcuni diritti fondamentali tra quelli inclusi nella carta dei diritti dell'uomo. Esiste inoltre tutta un'area «grigia» costituita da quegli stranieri che sperimentano, in alcuni casi più volte, transizioni dallo stato di regolarità a quello di

 

4) Viene quindi di seguito adottato un approccio macro basato su dati aggregati. Ciò permette di individuare la situazione media di ciascuna collettività immigrata come risultante di percorsi individuali ( livello micro ) più o meno diversi e/o distanti tra loro.

 

5) Per un'analisi puntuale sarebbe quindi necessario conoscere lo stato civile e l'esistenza di figli a carico al momento dell'arrivo in Italia per poi monitorare la stessa coorte lungo tutto il periodo di osservazione.

 

6) Non avrebbe senso, infatti, parlare della sola natalità della popolazione immigrata in Italia in assenza di un'equilibrata distribuzione tra i sessi, anche a livello territoriale. La distribuzione per sesso è infatti una variabile fondamentale non solo a livello nazionale ma anche e soprattutto a livello locale: poco importa, ai fini dell'instaurazione di un sistema di relazioni se esiste un equilibrio a livello generale se poi questo si traduce, a livello di singole unità territoriali, in una concentrazione di un sesso in un'area geografica e dell'altro in un'altra.

 

7) Anche se tale informazione va assunta con una certa cautela poiché il dato diffuso presenta alcuni problemi di non poco conto. Infatti, gli stessi minori potrebbero essere indicati anche in più di un permesso (ad esempio, nel caso di coppie immigrate con figli minorenni) e, in alcuni casi, potrebbe essere permesso (ad esempio, nel caso di coppie immigrate con figli minorenni) e, in alcuni casi, potrebbe essere segnalata la presenza di minori anche quando questi sono rimasti in patria o si trovano in un altro paese. Inoltre. non è possibile determinare il numero di figli minorenni al seguito poiché l'informazione disponibile riguarda soltanto la presenza o meno di minori senza l'indicazione del numero.

 

8) A partire dal 1997, il nuovo sistema di rilevazione delle nascite prevede la registrazione anagrafica della cittadinanza dei genitori.

 

9) Non è, forse, nemmeno il caso di notare che si tratta di una schematizzazione e che, come tale, non sempre coglie tutti i casi possibili. Così, ad esempio, per molte nigeriane che sono arrivate in Italia attraverso canali illegali di immigrazione l'elevato ammontare di rimesse, lungi dall'essere un segnale di integrazione, serve ad estinguere il debito contratto in patria con le organizzazioni che ne gestiscono la tratta.

 

10) Inoltre, le associazioni di immigrati possono divenire il tramite per la manifestazione di bisogni specifici delle collettività straniere.

 

11) Ancora più interessante ai fini del presente studio risulterebbe il dato relativo alla volontà di ricorrere all'istituto della naturalizzazione e, quindi, alle richieste inoltrate in questo senso: tuttavia si tratta di una statistica difficilmente recuperabile pur se estremamente utile. Questa infatti verrebbe a sintetizzare sia la volontà degli immigrati di raggiungere un'importante tappa del processo di integrazione sia le difficoltà (normative e monetarie) poste dalla nostra legislazione al riconoscimento dell'avvenuto processo di integrazione.

 

12) Almeno in parte questo risultato è dovuto anche alla vicinanza geografica tra l'Italia e il paese di origine degli immigrati intervistati. Inoltre, va tenuto presente che le informazioni statistiche utilizzate si differenziano da quelle ufficiali sia per il tipo di rilevazione (indagine campionaria a risposta diretta) sia per l'universo di riferimento (stranieri regolari e irregolari).

 

13) Per un'analitica trattazione della procedura di calcolo si rinvia a Bertani, Gualtieri e Strozza [1997].

 

14) Nel caso degli Svizzeri, che sono gli stranieri che fanno registrare il numero più elevato di naturalizzazioni, potrebbe trattarsi, almeno in parte, di persone di origine italiana.

 

15) Il condizionale è d'obbligo visto che non sempre all'inserimento lavorativo ne corrisponde uno a livello sociale e, in particolare, abitativo.

 

16) Anche questo indicatore va però letto tenendo conto delle incertezze cui può dare luogo. Innanzi tutto gli immigrati potrebbero essere esposti al rischio disoccupazione qualora presentassero quelle stesse caratteristiche che analogamente presentate da cittadini italiani, incontrerebbero scarsità di domanda di lavoro. In questo caso, la ragione del non trovare lavoro andrebbe attribuita alla segmentazione dei mercato del lavoro italiano non alla nazionalità del lavoratore.

 

17) Per considerazioni più analitiche si rinvia ad alcuni articoli specifici [Frey e Tagliaferri 1996; Strozza e Conti 1999].

 

18) Le disposizioni sanitarie contenute nel Testo Unico ‑ D.Lgs. 286/98 (che ha recepito la Legge 40/98) prevedono infatti (art. 34, comma 1) che tutti i soggetti in possesso della gran parte delle tipologie dei permessi di soggiorno di validità superiore ai 6 mesi, ed i loro familiari a carico regolarmente soggiornanti, ricevano una copertura sanitaria pubblica alla pari dei cittadini italiani.

 

19) E' da tener presente però che di 20.480 donne nate all'estero, 6.572 sono di cittadinanza italiana.

 

20) A livello nazionale il saldo migratorio interno è diverso da zero a causa di sfasamenti temporali negli atti amministrativi o di rettifiche conseguenti a verifiche post‑censuarie o ad accertamenti [Istat 2000c].