marocchini che sognano l'Europa
Il miraggio di Schengen
Più di 100.000 persone, per lo più
marocchini, cercano ogni anno di attraversare clandestinamente lo stretto
di Gibiliterra per entrare in Europa, nuova terra promessa. Per migliaia
di loro questo sogno termina tragicamente. Ma il dramma degli annegati dello
stretto non sembra dissuadere uomini e donne sempre più giovani dal
tentare a loro volta l'avventura. Né sembra smuovere dalle loro posizioni
inflessibili i governi europei, che mirano a trasformare l'area di Schengen
in uno spazio blindato, in cui i candidati all'immigrazione vengono definiti
«clandestini» ancor prima di sbarcare sulle nostre coste. Non
per altro il prossimo vertice del Consiglio europeo, previsto per il 21
e il 22 giugno a Siviglia, si è dato come priorità la definizione
di una politica comune in materia di immigrazione, ossia un ulteriore irrigidimento
delle già rigide norme che regolano l'accesso dei cittadini extracomunitari
nello spazio Schengen e la concessione dell'asilo politico. Tutte misure
che non faranno altro che incrementare il tragico bilancio di morti alle
frontiere dell'Europa.
di Pierre Vermeren*
Partire, emigrare, è il tema di uno
dei più grandi successi della musica leggera maghrebina degli anni
'90, Ia raiah uin mussafer, (tu, viaggiatore, dove sei andato?). Questo
inno agli esiliati ricorda la grande speranza di un esilio in Europa o in
Canada. La creazione dello spazio di Schengen nel 1990 ha comportato la
drastica riduzione dei visti e ha suscitato un sentimento di isolamento
tra i giovani maghrebini difficile da immaginare nell'opulenta e libera
Europa.
Da ciò l'esplosione dell'emigrazione clandestina, in particolare
in Spagna, attraverso lo stretto di Gibilterra.
La traversata dello stretto è un'avventura ad alto rischio. È
fatta mediante barche da pesca o pateras, spesso dotate di un motore a 40-60
cavalli. Le partenze avvengono lungo tutta la costa settentrionale del Marocco,
fino a Kenitra, alle porte della capitale. La stretta sorveglianza dello
stretto obbliga gli scafisti a veri e propri esercizi temerari. Così,
i 12 km che nel punto più vicino separano la Spagna dal Marocco possono
trasformarsi in una traversata di diverse centinaia di chilometri, spesso
non prive di rischi. A maggior ragione quando la meta sono le isole Canarie:
alla fine di aprile di quest'anno un naufragio al largo di Agadir è
costato la vita ad almeno sette marocchini.
Le polizie marocchina e spagnola hanno ormai la triste abitudine di raccogliere
i cadaveri che il mare restituisce, corpi gettati in acqua da scafisti impauriti
dall'avvicinarsi delle motovedette o restituiti dal naufragio delle pateras.
Le autorità spagnole nel 2000 hanno ripescato 72 cadaveri, mentre
271 morti sono stati denunciati dai sopravvissuti. La stampa marocchina
parla spesso di questi drammi lungo le coste settentrionali. Il 26 settembre
1998 uno naufragio ha provocato la morte di 38 persone nello stretto. Secondo
l'Associazione degli amici e delle famiglie delle vittime dell'immigrazione
clandestina (Afvic) tra il 1997 e il 15 novembre 2001 sono stati recuperati
3.286 cadaveri sulla sponda dello stretto. Se si accetta il rapporto di
un corpo ritrovato ogni tre persone scomparse, si arriva alla cifra di oltre
10.000 emigranti morti in cinque anni nello stretto.
A ciò bisogna aggiungere la situazione molto tesa attorno nelle due
enclave spagnole di Ceuta e Melilla, sulla costa nord. Accessibili su presentazione
di una semplice carta d'identità agli abitanti del nord del Marocco,
questi territori sono al centro di un consistente contrabbando. A Ceuta,
si registrano 25.000 passaggi quotidiani di contrabbandieri. Ceuta cerca
di difendersi erigendo intorno al suo territorio una recinzione elettrificata.
Ma i due presìdi sono sottoposti a un'intensa pressione migratoria,
soprattutto minorile. Diverse migliaia di bambini sono respinti ogni anno.
Il 9 maggio scorso, il ministro degli interni spagnolo Mariano Rajoy ha
dichiarato: «Le autorità marocchine non manifestano alcuna
preoccupazione per le condizioni dei minori» (1).
Per le autorità marocchine gli emigranti provengono da tutto il continente
africano (e anche dal Medioriente e dall'Asia). Ma la polizia spagnola afferma
che l'80% è originario del Marocco. Tuttavia gli emigranti africani
sono diventati una figura caratteristica del paesaggio locale (a Tangeri
e a Rabat), nonostante le condizioni di vita drammatiche.
Arrivano dall'Algeria attraverso il Sahara e sono presi in consegna da trasportatori
che li accompagnano a Tetouan o a Nador. Qui sono ospitati in attesa della
traversata. Può accadere che siano ricacciati in Algeria senza processo
né ricorso, e per di più in gruppo, in violazione di tutti
i trattati internazionali. Di recente un campo di emigranti, in territorio
algerino, è stato svuotato dei suoi 10.000 «abitanti»
e alcune migliaia di loro sono stati provvisoriamente trasferiti a Ceuta
e Melilla.
I potenziali emigranti marocchini dispongono di un'ampia serie di mezzi.
Per i bambini delle famiglie più agiate il mezzo più sicuro
per circolare liberamente rimane l'iscrizione a una scuola straniera.
Per gli studenti della scuola pubblica le cose sono più complesse.
Nel 2001, 14.000 studenti diplomati marocchini (cioè uno su quattro)
avevano fatto richiesta presso l'ambasciata francese a Rabat per continuare
i propri studi in Francia. Le richieste per la Spagna e il Canada sono altrettanto
numerose. A volte gli studenti laureati sono molto ricercati. Così,
tutti gli informatici laureati nel 2001 presso la scuola di ingegneria di
Mohammedia (la più prestigiosa del Marocco) sono stati assunti all'estero.
Quanto alle potenziali classi dirigenti, si constata da qualche tempo un
esilio dei trentenni laureati (medici, ingegneri e così via), che
vendono i loro beni e lasciano il paese. Il Canada e la Francia sono i paesi
privilegiati.
Per tutti gli altri le cose sono meno semplici e più care. La prima
soluzione è ottenere un visto valido per i paesi Schengen e ignorarne
il termine di validità. Così, molti sportivi marocchini approfittano
di una tournée all'estero per scomparire. Questo inverno la federazione
francese di rugby è rimasta vittima di uno di questi espedienti,
concedendo diverse decine di visti a un falso club marocchino. Ma non è
facile disporre di un documento del genere. Mentre per 5-6.000 euro è
possibile, secondo l'Afvic, comprare documenti falsi.
Un altro mezzo per espatriare è l'aereo. Oltre che dalle ragazze
che vanno a servizio nel Golfo persico, il sistema del viaggio aereo con
scalo è molto utilizzato anche per entrare in Europa. Si tratta di
prendere un volo per l'Australia o per la Cina, via Parigi o Roma, e riuscire
a uscire dall'aeroporto attraverso qualche complice debitamente retribuito.
L'operazione costa 7.000 euro, ma è la più sicura. Anche la
via terrestre è molto utilizzata. Centomila camion attraversano ogni
anno lo stretto in direzione sud-nord, offrendo numerose opportunità.
Nella zona industriale di Rabat ragazzi muniti di una piccola riserva di
cibo cercano ogni settimana di imbarcarsi a bordo di camion di prodotti
tessili. Altre possibilità sono rappresentate dai pullman con la
complicità di autisti (5.000 euro), dal passaggio del canale di Sicilia
via Tunisi (3.000 euro) oppure dal passaggio attraverso la Turchia e la
Grecia (140 marocchini partiti da El Jedida hanno provato questa strada
nell'agosto 2001).
Esistono poi soluzioni individuali (matrimonio, ricongiungimento familiare,
contratto di lavoro in Italia e così via). Tuttavia, la maggior parte
dei clandestini utilizza le pateras. Gli emigranti provengono soprattutto
da tre grandi regioni in crisi del Marocco, le zone di Nador-Oujda nel Rif,
di Casablanca-Beni Mellal e di Casablanca-Marrakesh.
In queste regioni rurali gli emigranti, secondo le affermazioni degli stessi
sopravvissuti, spesso non hanno mai visto il mare e non hanno alcuna idea
dei rischi che corrono.
I candidati alla migrazione sono reclutati da agenti locali, nelle regioni
più sperdute del Marocco. Il sistema è perfettamente organizzato.
L'emigrante è affidato a un trasportatore locale (che va in camion
fino alla costa). Arrivato qui, un agente ospita i candidati fino a quando
il mare è calmo. Infine il marinaio (che spesso è un intermediario
e non è proprietario della barca) si fa pagare 200-300 euro a persona.
Dopo aver dato da 1000 a 1.300 euro alle bande mafiose che organizzano la
traversata, gli harragas (letteralmente coloro che bruciano il proprio passato)
raggiungono di notte la loro imbarcazione. Il traffico frutta a queste mafie
più di cento milioni di euro all'anno, una cifra relativamente ridotta
rispetto al traffico di cannabis (2).
L'ossessione migratoria L'ospitalità è poi garantita in Spagna,
nella regione di Tarifa o nelle isole Canarie. Ciò dimostra che questo
commercio è gestito da una mafia internazionale ben organizzata.
Secondo alcune testimonianze, sarebbero dei marocchini all'estero a dirigere
questo traffico insieme a spagnoli. Ma la sua portata presuppone complicità
su entrambe le coste. Del resto, dopo l'11 settembre nessuna barca ha attraversato
lo stretto per diverse settimane. Ed è difficile da immaginare che
gli emigranti abbiano rimandato di propria iniziativa la partenza a causa
degli attentati di New York...
L'Afvic studia le cause dell'emigrazione clandestina, ma cerca anche di
lottare contro questa piaga e si costituisce parte civile contro i trafficanti.
Accompagna la sua azione con tavole rotonde e gode del sostegno attivo del
Consiglio d'Europa. Nel 2001 l'Associazione ha promosso una grande inchiesta
presso 600 ragazzi marocchini sotto i 30 anni per analizzare le motivazioni
degli emigranti e l'origine del loro progetto migratorio. Sono stati studiati
sei gruppi, ognuno di cento membri (studenti di scuola elementare, media,
liceo, università, ragazzi disoccupati e occupati). Attraverso questa
ricerca si è potuto constatare che il progetto migratorio si forma
fin dall'infanzia e diventa un'ossessione con il passaggio all'età
adulta.
Se l'85% dei bambini della scuola elementare pensa che la propria situazione
sia buona, questa percentuale si riduce al 6% tra i ragazzi senza un reddito
stabile (rispetto al 21% dei liceali e al 25% degli universitari). Il 71%
dei ragazzi senza un reddito fisso pensa che la propria vita sia mediocre
e solo l'8% pensa che le proprie condizioni di vita potranno migliorare
(mentre sono l'87% nelle scuole elementari).
In totale il 33% di questi ragazzi pensa che la propria situazione migliorerà,
mentre il 31% è convinto che sarà impossibile (e il 36% è
incerto). Il diffondersi di queste incertezze con il passare degli anni
spiega la portata del desiderio migratorio. Il 100% delle persone intervistate
dice di voler visitare l'Europa e pensa che qui la propria vita sarebbe
migliore. L'82% dei liceali intervistato dice di voler andare in Europa,
mentre la percentuale sale al 94% per i ragazzi senza un reddito fisso (rispetto
a solo il 19% dei ragazzi occupati).
Tra di loro il 62% si dice pronto a correre il rischio di partire senza
visto come emigrante clandestino.
Nel 2001, 44.841 emigranti in situazione irregolare sono stati rimpatriati
o espulsi dalla Spagna verso il loro paese di origine (soprattutto marocchini,
colombiani, ed ecuadoregni); altri 22.984 sono stati arrestati senza documenti,
tra cui 21.706 marocchini. Infine 12.976 stranieri, per lo più marocchini,
(rispetto ai 6.579 del 2002) sono stati espulsi mediante procedura giudiziaria,
in applicazione della nuova legge sull'immigrazione adottata il 23 dicembre
1999. La Spagna, ex paese di emigrazione, che ancora negli anni '80 aveva
pochi immigrati, nel 2001 ospitava ufficialmente 1.243.919 stranieri, il
46% dei quali extracomunitari.
Il problema migratorio ha ormai assunto un'importanza fondamentale per la
Spagna. Non per altro l'ex ambasciatore spagnolo in Marocco, Jorge Dezcallar,
è diventato il responsabile del Cni, i servizi segreti spagnoli.
È evidente che la quasi rottura delle relazioni spagnolo-marocchine,
dopo il richiamo dell'ambasciatore marocchino a Madrid nell'ottobre 2001,
è legata all'immigrazione e al traffico di cannabis.
Secondo il Consiglio d'Europa fra il 3 marzo e il 31 luglio 2000, in occasione
della recente sanatoria, sono state presentate dagli immigrati clandestini
in Spagna 246.000 domande di regolarizzazione.
Anche se il 90% delle domande presentate a Ceuta e Melilla viene respinta
(rispetto a una media del 50%), i marocchini rappresentano comunque la più
numerosa comunità straniera in Spagna. Le autorità marocchine
criticano questa situazione, dato che esiste una mancanza settoriale di
manodopera (127.000 posti non occupati nel 2001). Il governo spagnolo privilegia
soprattutto la presenza di lavoratori dell'America latina e della Polonia,
in particolare per i lavori agricoli in Andalusia.
Ma il divario di crescita, di ricchezza e di sviluppo demografico tra i
due lati del Mediterraneo è tale che la pressione non accenna a diminuire.
Alla ricca Costa del Sol si contrappone la disperazione del Rif, come dimostra
lo stato di abbandono della regione di Kettama dedita alla monocoltura della
marijuana. Nel 2000 sono scoppiati i disordini di El Ejido, piccola città
andalusa dove si è verificata una vera e propria caccia ai «moros».
Quando hanno assistito in televisione a queste scene di violenza e hanno
visto gli operai agricoli intervistati, molti marocchini si sono resi conto
della presenza di questi compatrioti d'oltremare. Nelle settimane successive
le code davanti al consolato spagnolo di Rabat si sono allungate a dismisura.
L'Unione europea aiuta finanziariamente la Spagna per affrontare questo
afflusso e per proteggere le frontiere di Schengen. Quando fermano dei clandestini,
le autorità spagnole le riconsegnano al Marocco, dal quale esigono
in cambio 300 euro a persona. Questa situazione irrita il Marocco, che proclama
la sua buona volontà e la sua disponibilità a cooperare e
deplora l'assenza di aiuto europeo.
Dopo tre anni di siccità (1998-2001) l'economia marocchina attraversa
un periodo molto difficile: quasi il 20% della popolazione vive sotto la
soglia della povertà (meno di un dollaro al giorno). Secondo le statistiche
spagnole, il 70% dei clandestini fermati sono disoccupati.
Ma tra questi vi sono anche persone laureate (come avvocati, medici) che,
dopo aver provato a emigrare utilizzando tutte le procedure legali, si affidano
alla traversata clandestina.
Un sopravvissuto della traversata dichiarava nel 2001 al settimanale marocchino
Demain: «Lo stretto è la nostra ultima speranza. È l'ultima
frontiera tra l'inferno e un mondo che riteniamo migliore. Chi tenta di
superare questo limite sa che cosa lo attende. È un gioco. Un gioco
tra la vita e la morte». E uno degli intervistati dall'Afvic aggiunge:
«Ho cercato di attraversare lo stretto con le pateras tre volte, ma
una volta sono stato arrestato e le altre due volte ho fatto naufragio e
sono morte sei persone, ma proverò ancora. Se morirò, sarò
un martire economico! Faccio tutto questo per la mia famiglia».
Di fronte a questa disperazione l'emigrazione clandestina rappresenta sicuramente
una valvola di sfogo per il Marocco. L'esilio è un modo per rinunciare
a lottare sul posto. Libera posti nel circuito economico (nel 2001 si è
assistito a una riduzione della cifra ufficiale di disoccupati) e suscita
speranze in chi rimane. Ma al di là di questi aspetti economici,
la questione dell'emigrazione clandestina si ricollega alla crisi del nazionalismo,
cioè al fallimento del progetto nazionale che gli stati del Maghreb
hanno creato con la loro indipendenza.
Si tratta di una crisi morale ancor prima che politica.
Fino agli anni '80 la popolazione del Maghreb viveva in relativa autarchia.
La popolazione rurale, fuori dal tempo, rimaneva al riparo dai contatti
con il mondo. La radio e la televisione nazionale mantenevano un carattere
patriottico lontano dal modello consumistico europeo.
Al di fuori delle élite e degli emigrati, i viaggi erano pochi e
i contatti con gli stranieri volutamente limitati. Il re Hassan II cercò,
dopo un tentativo di apertura al turismo negli anni '70, di limitare il
numero di turisti a un milione di europei all'anno.
L'irruzione delle antenne paraboliche in Maghreb alla fine degli anni '80
ha rappresentato un radicale elemento di cambiamento nella rappresentazione
del mondo da parte dei marocchini. Mentre i tunisini cominciavano a imparare
l'italiano grazie alla Radiotelevisione italiana (Rai) e gli algerini seguivano
i telegiornali francesi, i marocchini cominciavano gradualmente ad aprirsi
al mondo esterno. L'Occidente confezionato dalla televisione diventa facilmente
visibile. Il grande successo delle parabole in Algeria e soprattutto in
Marocco negli anni '90 dà la misura del cambiamento.
Alla fine del decennio arrivano gli abbonamenti ai programmi europei via
satellite, riversando sulla popolazione un fiume di immagini, soprattutto
di carattere pornografico. Le reti specializzate non si fanno pregare e
bombardano di pubblicità il pubblico di lingua araba. La forte pressione
sociale che si esercita sui ragazzi marocchini e la quasi impossibilità
per la maggior parte di loro di sposarsi prima di 30-35 anni (per motivi
economici) rendono questo desiderio molto forte.
Le reti nazionali trasmettono inoltre success-stories di emigrati protagonisti
di una sorprendente ascesa sociale (Jamel Debbouz, un imprenditore dei Paesi
Bassi, la cantante Nadia Farès o atleti come Zinedine Zidane). Con
il ritorno annuale degli emigrati nel paese (un milione e mezzo di persone
nell'estate 2001) dotati di numerosi bene di consumo, in particolare fiammanti
automobili inaccessibili, si capisce perché l'Europa sembra un Eldorado
di cui bisogna forzare la porta.
In un certo senso il Maghreb rappresenta il Messico dell'Unione europea.
Nel 2001 questo paese dell'America centrale contava cento milioni di abitanti,
ma altri 35 milioni risiedevano negli Stati uniti (tra cui una decina di
milioni di clandestini, che aumentano al ritmo di un milione all'anno).
Attualmente il Maghreb conta 70 milioni di abitanti ed è probabile
che 10-15 milioni di maghrebini vivono in Europa. In Marocco su 30 milioni
di abitanti vi sarebbero tra i 5 e i 7 milioni di residenti all'estero (da
100 a 200.000 nuove partenze all'anno). Inoltre è difficile immaginare
la fine di questo movimento di esilio, se non attraverso una lotta radicale
a questa nuova forma di tratta.
«La lotta contro l'immigrazione clandestina non deve essere fatta
alle frontiere, ma nei luoghi e nella mentalità degli emigranti clandestini;
deve essere fatta nel quadro di una cooperazione Nord-Sud basata su un dialogo
equilibrato e non basarsi su un monologo del Nord.
Ci vuole una politica e non una polizia d'immigrazione. Il Sud non deve
essere costretto a chiedere l'elemosina», dice Khalil Jemmah, il presidente
dell'Afvic.
note:
* Giornalista, autore di Ecole, élite et pouvoir. Maroc-Tunisie,
XXe siècle, Alizés, Rabat, 2002 e di Le Maroc en transition,
La Découverte, Parigi, 2002.
(1) Citato da Demain Magazine,
n. 63, 11 maggio 2002.
(2) Si legga Le Maroc en transition,
La Découverte, Parigi, 2002.
(Traduzione di A. D. R.) |