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da "
La Repubblica"
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30 gennaio 2001 Il tifo che non vuole i neri Il presidente del Verona, Pastorello: "Non posso comprare Mboma, allo stadio non lo vogliono" di GIANNI MURA AVERONA possono anche decidere di non pagare il canone per colpa di Santoro, ma sembrano abbonati volenti o nolenti a un posto in prima fila, quando si discute di razzismo. Il presidente del Verona, Pastorello, rischia di finire becco e bastonato, come si dice dalle sue parti (è vicentino). Ha detto cose che possono sorprendere solo chi non sia mai stato in uno stadio di calcio, cioè che a Verona c'è anche un tifo razzista. Lo spunto gli è venuto da una domanda sull'eventuale arrivo del camerunense Mboma. Adesso, dal sindaco Michela Sironi al ministro Melandri, tutti tirano in ballo lui, che è il dito che mostra la piaga e i conti col tifo razzista li fa non solo sul piano etico, ma su quello più prosaico dei quattrini. Ogni partita al Bentegodi gli costa 20, 30, 40, 100 milioni di multa per cori razzisti. E lui ogni domenica si deve scusare coi calciatori offesi (l'ultimo è stato Thuram, che Pastorello stesso aveva ingaggiato quando lavorava al Parma). E poi paga. Il suo braccio destro è Gigi Agnolin, l'ex arbitro, che il razzismo lo vede come il fumo negli occhi e di contatti coi tifosi difficili ha una certa pratica. SEGUE A PAGINA 63 A Verona il problema non è il Verona, ma una parte del suo tifo. Suo e basta, perché nello stesso stadio gioca il Chievo, primo in B, che ha avuto e ha giocatori di colore (Conteh, Eriberto) e nessuno dei veronesi che va a vedere il Chievo lancia ululati ai neri. E nemmeno quelli che vanno a vedere il basket. Sono precisazioni minime e doverose. Dall’11 febbraio, quando entreranno in vigore le nuove norme, il campo del Verona può essere squalificato, in caso di recidiva. Non è l’unico. C’è una brutta compagnia. I primi buuu a Verona li ho sentiti nel campionato ‘83/84, per Cerezo. Come mai, che precedenti ci sono? Alla mia domanda un collega veronese rispose: «Gnente, xe un po’ moreto». C’erano allora meno calciatori stranieri, quindi meno occasioni di fare i razzisti. Oggi tutte le squadre di A (tranne Atalanta, Lazio e Verona) schierano giocatori di colore, e allora è il momento di chiarire alcune cose. Se a Verona fatti vicini e lontani, di cronaca anche nera, indicano che la cultura del neonazismo ha messo radici, questo non basta a stabilire che Verona è una città razzista. Tanto per dire, veronese è Damiano Tommasi, il calciatore che più di tutti da calciatore (sul campo, intendo, non solo fuori) si batte contro il razzismo. E in città e in provincia operano moltissime, serie associazioni di volontariato. Ma nel calcio Verona è stata all’avanguardia anche in quella che i verbali della federcalcio definivano discriminazione territoriale: l’odio Verona — Napoli è nato allo stadio. E allo stadio, regolarmente, i razzisti di Verona non perdono un colpo. Potrebbe arrivare Ferrier, giocatore di colore? Quei buontemponi impiccano un fantoccio, un simil — Ferrier a una balaustra del Bentegodi. A Udine, doveva arrivare l’israeliano Rosenthal, anni fa. Juden raus, scrissero sui muri della sede, in via Cotonificio. E Rosenthal arrivò, il tempo di una visita medica che per quieto vivere lo definì inidoneo al calcio (infatti la settima seguente lo ingaggiò il Liverpool). Vogliamo ricordare cosa successe alla Lazio quando fu preso Winter, nero e per giunta di nome Aaron? Primo e ultimo nero nella storia della Lazio, si sa che gli Irriducibili non gradirebbero. E a Trigoria, dopo che la Roma fu eliminato dall’Atalanta, lo scorso autunno, con chi se la presero i tifosi? Assuncao e Cafu, guarda caso. Macchine sfasciate, insulti razzisti. E domenica scorsa un italiano di pelle un po’ più scura, Liverani del Perugia, non ha denunciato l’atteggiamento di una minoranza di tifosi razzisti, a Reggio Calabria? Quindi: Verona non è la capitale dell’Alabama, le minoranze sono minoranze e i razzisti sono razzisti. Cori e striscioni schifosi li ho sentiti a Torino, a Genova, a Milano, a Napoli, a Roma, a Firenze. Perfino nella tranquilla oasi di Parma Thuram è intervenuto, responsabilmente, contro i suoi tifosi, che da perfetti idioti facevano buu ai neri con altre maglie. Chi giudicasse l’Italia dai suoi stadi la valuterebbe un paese razzista, punto e basta. Invece la realtà ha più facce, come del resto a Verona. Se i razzisti sono una minoranza e la maggioranza la pensa diversamente, si faccia sentire e copra i cori vergognosi. L’applausometro sui buuu non sarà certo il metodo migliore per superare gli esami da paese civile, ma l’immagine di una città passa anche per gli stadi, esattamente come i messaggi che le famose minoranze razziste spediscono a iosa, sicure di non pagare dazio in una zona franca. Chi tace, acconsente. Non avendo taciuto, Pastorello non acconsente, ma il problema non può risolverlo lui. Lo stadio si può chiudere, si può giocare a porte chiuse, benissimo. E poi? Il razzismo della domenica è solo un ramo del razzismo che cresce in un terreno adatto. E’ l’albero che bisogna buttar giù. Dulcis in fundo, per lettori distratti e politici in altro indaffarati: la legge contro violenza e razzismo negli stadi, che porta il nome di Veltroni, Flick e Napolitano, è ferma dal ‘98 alla Camera. |