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LE MONDE diplomatique - Marzo 2000

CRISI SOCIALE, BLOCCHI POLITICI E XENOFOBIA

Le estreme destre d'Europa, populiste e "rispettabili"

L'evoluzione delle vicende austriache (leggere a pagina 3) lo conferma: l'estrema destra non è mai sparita dal paesaggio europeo. Mentre alcuni movimenti esclusi dal sistema elettorale, come in Scandinavia o in Gran Bretagna, hanno fatto ricorso al terrorismo, gli altri prosperano sull'evanescenza del divario destra/sinistra, che priva di senso la rappresentanza politica. Il problema allora non è tanto il presunto riaffiorare del "fascismo" quanto l'anestetizzazione di una democrazia attuata attraverso il consenso politico-economico.

di Jean-Yves Camus*

La scissione del Fronte Nazionale francese e il tracollo delle estreme destre alle elezioni europee del 13 giugno 1999 avevano dato l'impressione che il loro declino fosse ormai iniziato. Ma da allora, diversi risultati elettorali hanno contraddetto questa previsione. Il 3 ottobre 1999 il Partito liberale dell'Austria (Freiheitliche Partei àsterreichs FpÜ) di JÜrg Haider è diventato il secondo partito austriaco, con il 26,9%; il 24 ottobre in Svizzera, l'Unione democratica del centro, partito agrario conservatore diretto da Christoph Blocher, ha ottenuto il 22,5% dei voti, affermandosi così come primo partito del paese, a parità con i socialisti (1); e mentre la Deutsche Volksunion (Dvu) entrava nei parlamenti di vari Lènder della Germania Est, in Norvegia, alle elezioni comunali del 14 settembre 1999, si è confermata la lenta avanzata del Partito del progresso (13,4%, con un aumento dell'1,4%). Nell'Europa occidentale, i persistenti successi elettorali dei partiti xenofobi sono legati al progredire di una concezione ultraliberista dell'economia e della società, caratterizzata tra l'altro dalla netta volontà delle élites politiche ed economiche di considerare superato il quadro degli stati-nazione. L'estrema destra europea ha acquisito così una base sociale, e si esprime oramai più attraverso le urne che con un attivismo violento. Quest'ultimo fenomeno rimane invece preoccupante nei paesi in cui le formazioni estremiste non trovano sbocchi elettorali, a causa di un sistema elettorale che penalizza i partiti "anti-sistema", come in Gran Bretagna (il micidiale maggioritario uninominale a un solo turno) oppure, come in Svezia, a causa della fortissima pressione sociale, tendente a emarginare le idee non consensuali. Inoltre, qui come altrove il frazionamento organizzativo e l'assenza di dirigenti carismatici possono impedire al movimento di catalizzarsi. Così, a fianco dei partiti legali o anche al loro interno (non è rara la doppia appartenenza dei militanti) si manifestano da alcuni anni gruppuscoli violenti, di ideologia apertamente neonazista e razzista. Secondo l'analisi dei politologi Jeffrey Kaplan e Leonard Weinberg (2), queste formazioni hanno imitato, sia nelle idee che nei metodi d'organizzazione e d'azione, alcuni gruppi terroristici americani (The Order, Aryan Nations); e come ha dimostrato la campagna d'attentati in Svezia hanno acquisito una certa capacità di attuare azioni di considerevole rilievo. Questi pericolosi movimenti compresi anche quelli degli skinheads non hanno tuttavia innescato dinamiche politiche o sociali, se si eccettuano i gruppi giovanili dei Lènder della Germania orientale. Nei paesi in cui si esprimono, questi gruppi violenti si riferiscono esplicitamente all'ideologia del nazionalsocialismo o dei vari fascismi, e utilizzano i loro simboli, sfidando spesso i divieti. Ma questa famiglia dell'estrema destra è oramai minoritaria, mentre i successi maggiori vanno ai partiti populisti e xenofobi. Nella maggior parte delle democrazie occidentali quest'estrema destra elettoralmente rappresentativa, che tra il 1945 e gli anni 80 era confinata all'Italia e alle dittature dell'Europa meridionale, si afferma sul terreno di una crescente povertà di massa, in una società che evolve verso il "multi- culturalismo". L'immigrazione è caratterizzata in effetti da ondate di naturalizzazioni e di sanatorie, accompagnate, in numerosi paesi, dalla concessione della cittadinanza e dei diritti politici, oltre che da una politica di riconoscimento giuridico dei diritti delle lingue e culture minoritarie. Il centro di gravità della nebulosa estremista, che negli anni 60 e 70 si collocava nei paesi in via di industrializzazione, si è spostato oggi verso il centro e il nord dell'Europa. Parallelamente, al Movimento sociale italiano (Msi), partito-faro dell'estrema destra di allora, si è sostituito negli anni 80 e 90 il Fronte nazionale francese (Fn), che ha ispirato in altri paesi numerose formazioni, con esiti variabili, quanto meno nell'Europa occidentale: successi reali ma effimeri (l'Fn belga di Daniel Ferret), non trascurabili ma insufficienti a eleggere rappresentanti (la Sverigedemokraterna, Svezia), oppure nella maggioranza dei casi del tutto marginali (Democracia nacional in Spagna, Fronte nazionale in Italia). Dopo la scissione e il calo elettorale, il partito di Jean Marie Le Pen non è più un modello incontestato. Elettori venuti da sinistra Oggi però una terza ondata, più consistente, si incarna nei "populismi alpini" (Haider e Blocher, la Lega Nord di Umberto Bossi e quella dei ticinesi) e in quelli scandinavi (il Partito del progresso norvegese di Carl Hagen e il Partito del popolo danese di Pia Kjaersgaard) (3). Questi partiti non hanno alcun collegamento con il fascismo e il nazismo (ad eccezione di quello di JÜrg Haider); postulano uno stato ridotto ai minimi termini; sono xenofobi, ma nei loro discorsi ufficiali respingono il razzismo gerarchizzante e l'antisemitismo; rifiutano di cooperare con formazioni che giudicano estremiste, quali l'Fn o il Vlaams Blok, ma accettano l'idea di governare in coalizione con la destra. Poiché questi partiti non corrispondono al fascismo tradizionale, i fattori di tipo "essenzialista" (mancata denazificazione in Austria, xenofobia di antica data in Svizzera) non bastano a spiegare il loro successo; e non spiegano neppure i buoni risultati ottenuti da formazioni di tipo "misto" (tra recupero del voto di protesta e filiazione di estrema destra) quali l'Fn francese o il Vlaams Blok (4). Quest'ultimo, ad esempio, è stato spesso descritto come erede della frangia filo-nazista del movimento fiammingo d'anteguerra. Ma il politologo Marc Swyngedouw ha dimostrato che solo il 4-5% degli elettori "blokkers" adducono come motivazione della loro scelta la difesa del nazionalismo fiammingo, mentre tra chi ha dato il suo voto alla Volksunie questa percentuale raggiunge il 17%. Anche qui, come nell'Fn, si nota quindi una distinzione fondamentale tra un inquadramento ancora segnato, nella sua traiettoria come nelle convinzioni dei suoi militanti, dall'estrema destra tradizionale, e un elettorato che ne è del tutto distaccato, e proviene anzi in parte dalla sinistra. Nelle Fiandre, il 21% dei giovani elettori che nel 1991 avevano votato socialista sono passati in seguito al Blok; e alle legislative del 1999, l'FpÜ austriaco ha sottratto al partito socialdemocratico (SpÜ) circa 213.000 voti. In Danimarca, il 10% di coloro che nel 1998 avevano votato per la Dansk Folkeparti (partito del popolo danese) provenivano dai ranghi socialdemocratici. A ciò si aggiunge il fatto che spesso i dirigenti di queste formazioni non hanno affatto un passato estremista: Mogens Camre, dirigente della Dansk Folkeparti, era un deputato socialdemocratico; neppure Thomas Prinzhorn, astro nascente dell'FpÜ, ha un passato ultrà, ma è stato come del resto Blocher dirigente aziendale. La differenza è notevole rispetto al Movimento nazionale repubblicano (Mnr) di Bruno Mégret, e spiega in parte l'insuccesso del suo tentativo di acquistare consensi tra gli elettori della destra classica: non soltanto la scissione dall'Fn non ha dato luogo a svolte ideologiche di sorta, ma l'Mnr, che pure si presentava come partito rinnovatore, dissociato dagli eccessi lepenisti, è di fatto guidato da elementi impregnati di un'ideologia nazionalista rivoluzionaria (il movimento "Terre et Peuple" di Pierre Vial) o delle tesi identitarie della "nuova destra" degli anni 70. Si contrappongono dunque due concezioni della lotta politica: da un lato la testimonianza storica, generalmente a partire da posizioni controrivoluzionarie o nostalgiche, o da forme di integralismo religioso; dall'altro l'accettazione di una modernizzazione programmatica e organizzativa per la conquista del potere. E i partiti che non si sono aggiornati finiscono per emarginarsi e trasformarsi in gruppuscoli: L'Msi-Fiamma tricolore italiano, che aggrega i refrattari all'aggiornamento imposto da Gianfranco Fini nel 1995, non supera oggi l'1,6% dei voti. Le formazioni che non hanno altro programma al di fuori della difesa e celebrazione dei regimi autoritari (Spagna, Portogallo; Grecia) sono praticamente scomparse (5). I "populismi" xenofobi (6) hanno sfondato soprattutto tra le categorie di popolazione più minacciate nel loro status sociale e occupazionale. A questo riguardo, la situazione francese, con l'Fn che alle legislative del 1997 ha raggiunto anche il 30% in talune circoscrizioni, non rappresenta un'eccezione. E' una tendenza ben percepibile anche tra i giovani (il 33% sotto i 35 anni in Francia, il 35% sotto i 30 in Austria). Questa situazione può essere spiegata attraverso la cosiddetta teoria degli "interessi economici minacciati" o degli "interessi simbolici": le fasce di popolazione a rischio a causa della crisi percepiscono la manodopera estera come concorrente, e tendono a votare per le formazioni xenofobe che promettono di assicurare loro in esclusiva il beneficio del diritto al lavoro e altri diritti fondamentali. Sono infatti gli operai o impiegati meno qualificati a costituire il grosso dell'elettorato del Vlaams Blok; e nel 1999, il 48% degli operai austriaci ha scelto l'FpÜ, divenuto ormai di gran lunga il primo partito rappresentativo dei "colletti blu". Quanto ai Republikaner tedeschi, il politologo Patrick Moreau sottolinea "la correlazione della scelta estremista con un basso livello di organizzazione sindacale, l'esperienza della disoccupazione, l'appartenenza a una famiglia numerosa e la dipendenza dall'aiuto sociale", valutando al 17% la base operaia del partito alle elezioni regionali del 1996. Al contrario, in Danimarca e in Norvegia, dove l'estrema destra ottiene rispettivamente il 9,8 e il 15,3%, non è stata individuata nessuna correlazione tra la disoccupazione e il voto per questi partiti. Eppure, il loro elettorato è costituito, oltre che da imprenditori e lavoratori autonomi, anche da una proporzione crescente di operai: in questi due paesi, i rispettivi Partiti del progresso sono anche i primi partiti operai e hanno sorpassato i socialdemocratici. Una delle possibili spiegazioni è che nei paesi in cui lo stato sociale ha fatto grandi passi avanti non solo grazie ai socialdemocratici, ma anche sotto governi "borghesi", la fedeltà della classe operaia nei confronti della sinistra tende ad erodersi, lasciando prevalere la componente autoritaria di una frazione della cultura operaia, che non trova altra incarnazione al di fuori della nuova destra. Esiste quindi un paradosso da spiegare: un elettorato essenzialmente popolare vota per formazioni appartenenti all'estrema destra "post-industriale", accomunate dal fatto di incorporare nei loro programmi, in proporzioni variabili, il fattore "nazionale", accanto ad elementi neoliberisti o anche libertari. Ad esempio, il programma economico dell'FpÜ raccomanda una completa "deregulation economica, che garantisca la competitività e la prosperità dell'economia austriaca e la creazione di posti di lavoro". Quello dell'Udc condanna "il ricorso abusivo alle prestazioni sociali", e chiede "orari di lavoro e sistemi salariali flessibili", nonché "la soppressione di talune prestazioni dello stato", il tutto ovviamente accompagnato da un "sistema fiscale vantaggioso per tutte le imprese". Anche i partiti scandinavi hanno avuto origine dalla protesta contro il fisco e dalla volontà di limitare le prerogative dello stato sociale: una tematica che si ritrova nell'ala liberale minoritaria del Vlaams Blok, diretta dalla deputata Alexandra Colen. La Lega Nord, dal canto suo, costituisce un fenomeno più complesso, che può essere interpretato come la risposta delle classi medie emergenti e dei piccoli imprenditori dell'Italia settentrionale a una situazione nella quale la modernizzazione del capitalismo locale, caratterizzata dall'esplosione della micro- impresa, non è stata accompagnata da un adeguamento altrettanto rapido del quadro istituzionale e politico. E' in questo contesto approfittando anche dello spazio liberato a destra dalla disgregazione della Democrazia cristiana - che la Lega ha potuto emergere, con la sua duplice xenofobia verso gli stranieri e gli italiani del sud la sua protesta fiscale e una rivendicazione indipendentista basata su un'identità e una storia mitizzate (la Padania e il "popolo padano" non sono mai esistiti). Il politologo Herbert Kitschelt (7) spiega l'adesione delle fasce popolari al neoliberismo con la globalizzazione dell'economia, che ostacola le politiche di attenuazione delle disuguaglianze attraverso l'intervento dello stato. Di conseguenza, la fascia più modesta dell'elettorato è indotta a credere che la giustizia sociale si possa raggiungere riducendo lo stato ai minimi termini e lasciando agire il libero gioco del mercato (che secondo i populisti e gli ultraliberisti favorirebbe l'ascesa sociale liberando le energie creative e l'iniziativa individuale). Quest'analisi può anche spiegare in parte la componente xenofoba del voto populista. In effetti, chi si sente minacciato dalla concorrenza degli stranieri sul mercato del lavoro accetta il programma liberale dei partiti populisti soltanto nella misura in cui vi si postula l'esclusione degli immigrati dai benefici delle prestazioni sociali, e persino dai posti di lavoro. In termini di analisi costi/benefici, l'ultraliberismo appare allora sopportabile, se temperato dalla preferenza nazionale. In Francia tuttavia, a partire dalla "svolta sociale" dell'autunno 1995, il Fronte nazionale, assai più degli altri partiti estremisti, ha in parte voltato le spalle al suo passato liberismo, che convive oramai con una certa difesa del servizio pubblico e delle conquiste sociali, purché riservate ai francesi. In questo stesso discorso, l'accoppiata politici-funzionari viene regolarmente associata alla corruzione e allo sperpero. La si assume a simbolo del fallimento delle funzioni di mantenimento dell'ordine dello stato e difatti la domanda di ordine e sicurezza è onnipresente nonché della soffocante pressione fiscale, imputata al peso crescente degli "improduttivi", in contrapposizione con i creatori di ricchezza (piccoli imprenditori, liberi professionisti, artigiani, agricoltori e persino operai). Benché non si possa individuare una correlazione sistematica tra la percentuale degli stranieri e il voto estremista, la protesta contro l'immigrazione figura incontestabilmente tra le sue principali motivazioni. L'inchiesta Eurobarometro del 1997 ha dimostrato che gli elettori dell'Fn, del Vlaams Blok e dei Republikaner si schierano in favore di una discriminazione anti-immigrati, e rifiutano qualsiasi forma di "multiculturalismo". Tutti questi partiti sono caratterizzati da un razzismo di tipo gerarchizzante, nella cui ottica il meticciato appare come un vero incubo. Tra gli aderenti ad altri movimenti, tra cui le varie forme del populismo scandinavo, l'Alliance nationale, la Lega e il FpÜ, l'insistenza sul razzismo è minore, e l'opposizione all'immigrazione viene giustificata con le differenze culturali, come dimostra chiaramente il programma di Haider: "La coscienza che si possiede delle qualità specifiche del proprio popolo è inseparabile dalla volontà di rispettare ciò che è specifico degli altri popoli": la stessa formulazione è ripresa, in buona misura, dall'etno-differenzialismo della nuova destra. Altro segno della correlazione tra globalizzazione ultraliberista e avanzata degli estremismi: secondo la stessa inchiesta, l'87,5% dei sostenitori dei Republikaner, il 68,4% di quelli dell'Fn e il 45% degli elettori dell'FpÜ danno dell'Europa un giudizio negativo. Ma tra l'elettorato del Vlaams Blok questa proporzione scende al 40,8% (poco più del 38,9% riscontrato presso i socialisti). Il motivo va ricercato senza dubbio nella popolarità dell'idea di un'Europa delle etnie in seno al movimento fiammingo, che la considera come principale mezzo di rottura dello stato-nazione, al quale sono invece legati i populisti tedeschi, austriaci e francesi. La dimensione anti-europea è percepibile anche in Scandinavia (il Partito norvegese del progresso ha fatto campagna contro l'adesione all'Ue) e in Svizzera. Le estreme destre professano di fatto una sorta di "liberalismo autarchico" senza il libero scambio: un liberalismo che dovrebbe fermarsi ai confini nazionali, e si tradurrebbe nello smantellamento dello stato e delle conquiste sociali. Sono in atto però alcune evoluzioni: ad esempio, l'Fn francese ha condotto una campagna come del resto varie altre formazioni omologhe contro l'Organizzazione mondiale del commercio (Omc). Dal canto suo, il partito di Blocher non mette in discussione quest'organizzazione. Quanto a Haider, ha appoggiato l'adesione dell'Austria alla Nato. Infine, come non sottolineare il ruolo determinante dell'assenza di una vera contrapposizione politica nell'avanzata delle destre in Europa? In Scandinavia, in Svizzera (come in Austria e in Belgio fino alle elezioni del 1999), la vita politica si riassume in due formule: quella della coalizione permanente (SpÜ- àvp, socialdemocratici/conservatori, la "formula magica" svizzera che garantisce una stabile ripartizione dei seggi tra i grandi partiti al Consiglio nazionale), o quella di una regolare alternanza tra una socialdemocrazia e una destra liberale, i cui programmi non presentano praticamente più alcuna differenza, se non sul piano delle rispettive ricette per la regolazione o l'ulteriore liberalizzazione del mercato. Il clientelismo dei grandi partiti e la loro compenetrazione con l'apparato dello stato impediscono qualsiasi riforma di fondo delle strutture istituzionali, cristallizzando il sistema di rappresentanza. E la conseguente insofferenza per il ceto politico appare come una delle determinanti essenziali del voto in favore dell'Fn francese, del Vlaams Blok, dell'FpÜ e della Lega mentre l'elettorato di Alleanza nazionale si distingue per la sua accettazione del gioco democratico e delle élites alle quali si è integrata. Unici esempi contrastanti: l'insuccesso della Nationalbewegong del Lussemburgo e dei Centrumdemokraten in Olanda, due paesi nei quali tuttavia il consenso è altissimo. Al di là della loro innegabile dimensione autoritaria e xenofoba, le destre radicali hanno incontestabilmente tratto un grande vantaggio dall'evanescenza del divario destra/sinistra e dal larghissimo consenso intorno all'associazione tra socialdemocrazia e "nuovo centro". Se queste destre incarnano oggi la principale forza di dissenso, all'interno di contesti sociali in cui il dibattito delle idee si riduce alla discussione sui metodi per gestire il modello liberista, la sinistra innanzitutto deve interrogarsi sulle proprie carenze e rinunce, e la destra conservatrice sul suo accecamento e la sua codardia. E' difficile prevedere come si comporterebbero questi partiti, una volta al potere. L'esempio italiano fa pensare a una certa "plasticità" dei movimenti estremisti, confermata anche dall'opportunismo dei loro dirigenti come dimostra l'esempio Haider. Una volta abbandonata la funzione di tribuni, essi potrebbero inserirsi tra i mutevoli quadri della democrazia liberista. Per il momento, bisognerà in ogni caso mettere in conto il fatto che queste formazioni esercitano una pressione autoritaria sui pubblici poteri e reintroducono nel discorso politico valori estranei alla democrazia, minacciando così di avallare una certa violenza xenofoba. note: * Politologo, autore de Les Extrémismes en Europe, rapporto annuale del Centro europeo di ricerca e d'azione sul razzismo e l'antisemitismo (Cera), Editions de l'Aube, 1999, e Front National: eine Gefahr ffr die franzÜsische Demokratie?, Bouvier Verlag, Bonn, 1998.

(1) Leggere Peter Niggli, "Il balzo in avanti della nuova destra in Svizzera", Le Monde diplomatique/il manifesto, dicembre 1999.

(2) Jeffrey Kaplan, Leonard Weinberg, Fade to black: the emergence of an Euro-american radical right, Rutgers University Press, Piscataway (New Jersey) 1998.

(3) Sul neo-nazismo svedese, leggere Démokratins fÜrgÜrare (opera collettiva), Statens Offentliga Utredningar, Stoccolma, 1999; sulla nuova destra danese, leggere Johannes Andersen et al. , Valelgere med omtanke. En analyse af folketingsvalget 1998, Forlaget Systime, Arhus, 1999.

(4) Leggere Serge Govaert, "L'esterma destra alla conquista di Bruxelles". Le Monde diplomatique/il manifesto, gennaio 1998.

(5) I cinque partiti falangisti o radicali che hanno partecipato alle europee del giugno 1999 hanno riportato 61.522 voti; in Portogallo, il partito neo-salazarista Aliança Nacional non si è presentato; in Grecia, due formazioni antisemite, Proti Grammi e Enosis Kentroon, hanno ottenuto insieme l'1,57% (101.044 voti).

(6) Sull'uso ideologico di questo termine, leggere Serge Halimi, "Il populismo, un nemico ritrovato", Le Monde diplomatique/il manifesto, aprile 1996.

(7) Herbert Kitschelt, The Radical Right in Western Europe, University of Michigan Press, 1995. (Traduzione di P.M.)