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Da Diario
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da mercoledì 12 a
martedì 18 aprile 2000
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Diario del Razzismo Crescente Mettendo i fatti in fila Gli immigrati si appellano a Ciampi di Massimo Ghirelli Come si pronuncia Lynch in bergamasco? Meno male che sono giunte le elezioni: ancora qualche settimana e saremmo arrivati ai linciaggi stile Klu Klux Klan. Oggetto dell’impressionante campagna di demonizzazione, gli immigrati extracomunitari, colpiti da inaudite forme di repressione e usati senza scrupoli (a destra e a sinistra) come arma elettorale. La metafora bellica non è esagerata. Le cronache degli ultimi mesi, infatti, sembrano un vero bollettino di guerra: in ordine sparso, cento rifugiati kosovari sgomberati da una chiesa a Siena, dove facevano lo sciopero della fame per ottenere il permesso di soggiorno; cinquanta immigrati sfrattati a Milano da un centro di accoglienza destinato a diventare lo spogliatoio di un parco acquatico; un egiziano privo delle gambe espulso dal Paese dopo aver scontato due anni di carcere a Parma; trentadue profughi della guerra di Bosnia (fra i quali donne, anziani e minori) prelevati nottetempo da un campo di sosta alla periferia di Roma e deportati in pigiama a Vlasenica, dove vengono picchiati dai serbi e costretti a fuggire sulle montagne; un ragazzo slavo di 17 anni ucciso durante un inseguimento di polizia a Matera; due giovani albanesi nascosti in un campo di carciofi colpiti a fucilate da una pattuglia di paracadutisti vicino al porto di Brindisi; due immigrati polacchi morti nell’incendio di un vagone fermo nella stazione di Napoli; una famiglia macedone di cinque persone, tra i quali due bambini e una donna incinta (tutti riconosciuti come rifugiati politici), arsi vivi nel rogo di un ex cotonificio a Legnano; un ingegnere rumeno messo a fuoco dal suo datore di lavoro, un piccolo imprenditore edile di Gallarate. Non bastando le cronache, giornali e televisione gareggiano nella poco nobile competizione a chi la spara più grossa, a chi gonfia con più sfacciataggine le notizie, a chi manipola più scopertamente le informazioni e perfino i dati statistici. Nello stesso giorno in cui i profughi macedoni morivano nell’incendio di Legnano, il secondo quotidiano nazionale pubblicava un’inchiesta sui matrimoni misti tra italiani e stranieri. L’articolo, terzo di un’allarmistica serie sulla «questione Islam» che aveva già visto un’intera pagina dedicata alle tre mogli di un allegro immigrato poligamo, era intitolato senza enfasi Bimbi in ostaggio della religione e illustrato da un riquadro dal quale il lettore veniva a sapere che le unioni miste in Italia sarebbero nientemeno che 280 mila l’anno, che avrebbero prodotto negli ultimi dieci anni oltre 2 milioni e mezzo di coppie miste, in un Paese che conta in tutto, come citato nello stesso riquadro, circa un milione e mezzo di stranieri! Le cifre reali parlano di circa 11 mila matrimoni l’anno, per un totale complessivo di non più di 160 mila coppie miste: e tra queste, non più del 7 per cento riguardano persone di fede musulmana. CONFUSIONI. Il più importante quotidiano di Torino, per non essere da meno, confondeva pochi giorni dopo immigrati regolari e non, regalandoci sotto il solito titolo a sette colonne oltre 800 mila «irregolari» in sole quattro regioni: mentre in tutta Italia – secondo l’Istat, il ministero degli Interni e l’annuale dossier statistico della Caritas – se ne calcolano poco più di 250 mila. Al balletto delle cifre non può che corrispondere un fuoco di fila di sondaggi, che naturalmente sottolineano l’«allarme sociale» (smentito peraltro da istituti di ricerca non sospetti di simpatie extracomunitarie come la Fondazione Agnelli); e annoverano con quotidiana insistenza, tra le «nuove paure» degli italiani, la minaccia per la loro sicurezza costituita dalla presenza degli immigrati e dalla crescente criminalità: un binomio ormai inscindibile, tanto da costituire, secondo un noto personaggio politico padano, un «assioma sociologico». È stata proprio la strumentalizzazione politica a fini elettorali l’elemento catalizzatore di questo clima così pesante. Cadono in questo contesto le grottesche diatribe all’interno stesso del governo, tra i diversi sottosegretari coinvolti, su una circolare riguardante le espulsioni e i centri di detenzione temporanea; e soprattutto la nuova proposta di legge presentata congiuntamente da Lega Nord e Forza Italia. Un disegno normativo che prevede al primo punto l’abrogazione della legge Turco-Napolitano (senza immaginare alcuna misura alternativa in tema di sanità, alloggio, studio, integrazione sociale o culturale); l’inasprimento delle pene per chi favorisce l’immigrazione clandestina; l’applicazione del codice penale militare agli scafisti; la detassazione degli aiuti umanitari e la creazione di frontiere esterne per filtrare gli immigrati – che prima dell’ingresso in Italia dovrebbero iscriversi nei consolati e farsi dare il codice fiscale. Una proposta che, da una parte, risultando per molti aspetti fuori dalla nostra Costituzione e da ogni regola internazionale, riporterebbe il Paese indietro di dieci anni, a prima ancora della legge Martelli; e dall’altra, esprime tanta ingenuità e improntitudine da rivelare immediatamente tutto il suo carattere elettoralistico. Sul versante opposto, brilla purtroppo anche il comportamento reticente e insicuro del centrosinistra, e in particolare del partito di maggioranza relativa: più preoccupato, appunto, delle possibili ripercussioni elettorali (nella convinzione che il tema immigrazione non porti consensi), che di difendere una politica e una legge unanimemente riconosciuta come una delle migliori europee in materia. Ma la becera aggressività di certa classe politica è frutto o causa del clima che abbiamo descritto? L’impressione è che si tratti del classico circolo vizioso: capita infatti che l’interlocutore politico – generalmente poco competente e pochissimo interessato al fenomeno – si occupi del problema solo perché sollecitato dall’allarmismo e dal sensazionalismo dei media, che gli riportano a modo loro il «sentimento» dell’opinione pubblica. Il suo intervento, molto spesso estemporaneo, è quindi volto soprattutto a rispondere tatticamente a queste sollecitazioni: reagendo alla supposta emergenza con interventi che sembrino risolutori, quindi decisionisti, poco articolati, sostanzialmente repressivi. L’approvazione di norme o decreti d’urgenza, ricalcate sull’allarmismo, finisce per confermare l’insofferenza o il disagio del pubblico, che vede giustificate le sue peggiori reazioni: così si chiude il cerchio, con la stampa e la televisione che si affannano a «riflettere» le paure della gente. In questo teatro dell’assurdo – che per molti di loro è un vero e proprio dramma – all’oggetto dello scandalo, gli immigrati, non sono destinati altri ruoli che quello del nemico o della vittima. Sconfortate, le Comunità straniere e le loro associazioni – abbandonate a se stesse da un decennio di disinteresse istituzionale e di mancanza di qualsiasi sostegno economico, politico o culturale – vivono uno dei momenti più duri della loro non facile permanenza nel nostro Paese. Sentono non soltanto di non avere alcuna voce in capitolo, non potendo, nemmeno dopo dieci o vent’anni di soggiorno e di lavoro regolare, accedere ai diritti civili, e partecipare, per esempio, alle elezioni amministrative; ma proprio di non avere voce, né canali per esprimerla, spazi per esporre il loro punto di vista, tribune per difendere la loro immagine denigrata, interlocutori capaci di ascoltarli, di farsi quanto meno interpreti del loro disagio e della loro profonda delusione. CARO PRESIDENTE, INTERVENGA LEI. Per questo, in molti – tra i quali rappresentanti delle Comunità nigerianea, capoverdiana, eritrea, guineana, senegale e della stessa Federazione delle Comunità straniere – hanno scritto una lettera aperta al presidente della Repubblica, che in diverse occasioni, anche di recente, era sembrato sensibile alle loro condizioni e consapevole dell’importanza del loro contributo alla nostra economia e alla nostra crescita culturale. La Costituzione, hanno scritto nell’appello che sarà consegnato a Ciampi alla vigilia di queste elezioni regionali, dovrebbe essere uguale per tutti, e difendere in particolare i più deboli, senza distinzione di pelle, di religione, di provenienza. Noi siamo consapevoli dei nostri doveri, in quanto ospiti del vostro Paese. Lei, Presidente, è istituzionalmente il garante della Costituzione: ci aiuti a trovare spazio per i nostri diritti.
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