il manifesto - 24 Aprile 2005
Se la Lega offende l'Islam di Van Gogh
Il caso Storia di «Submission», il corto del regista olandese, assassinato perché propagandava una cattiva immagine dei musulmani e «santificato» dalla destra
ANTONELLO CATACCHIO
La premessa risale al 2 novembre scorso, quando il cineasta Theo Van Gogh è stato ucciso nella sua città, Amsterdam, da un cittadino marocchino che aveva ritenuto offensivo per la sua religione il cortometraggio Submission, realizzato dal regista in collaborazione con la deputata olandese di origine somala Ayaan Hirsi Ali. Giustamente l'episodio fece scalpore, irrompendo sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Una storia d'altri tempi, di oscurantismo, integralismo, fondamentalismo che si conclude in tragedia. Ma cosa racconta questo filmato di meno di dodici minuti (tra l'altro visibile a tutti in rete, con sottotitoli olandesi e parlato in inglese). Una storia di ordinaria violenza. Una giovane musulmana e credente, col volto coperto da un velo che lascia liberi solo gli occhi si rivolge a Dio, Allah, raccontando la sua vicenda. Sempre chiusa in casa, violentata da uno zio, ma invitata a tacere per non disonorare il fratello di papà, data in sposa a sedici anni a un uomo che non ama, cui è sottomessa per legge e tradizione, poi l'incontro con un uomo bellissimo al suq e dopo qualche incontro casuale, l'amore. Anzi, l'adulterio. Scoperta e condannata a 100 frustate. Nel corso del racconto l'immagine cambia. Lo scenario è sempre arabeggiante e ricercato, il corpo della donna viene mostrato nudo, di schiena, dove si leggono versetti del corano, o seminudo davanti per fare intravedere i segni della punizione. E lei si chiede perché Allah misericordioso permetta tutto questo. Nulla di clamoroso per un laico. I frequentatori di festival e del cinema hanno visto denunce molto più raccapriccianti, dure e indigeribili. Qui però c'è la volontà di provocare, miscelando preghiera e denuncia. Comprensibile che un musulmano praticante si senta in qualche modo offeso. Comprensibile che non lo voglia vedere. Comprensibile che lo critichi, anche aspramente. Ma che si voglia impedire agli altri di vedere il filmato è odiosa censura. Che poi si arrivi a minacciare quanti sono coinvolti nella produzione è aberrante. Che qualcuno si sia sentito autorizzato a uccidere Van Gogh in nome di dio è criminale.

Da qualche giorno però il film di Van Gogh è tornato a far parlare di sé. Ha cominciato il Corriere della sera denunciando la mancata proiezione del film al festival di Rotterdam in gennaio e la rinuncia di quello di Locarno che si terrà in agosto. Entrambi i festival sono noti per essere liberi e coraggiosi (Locarno poi già lo scorso anno aveva presentato un lavoro di Van Gogh sull'Europa, tra l'indifferenza generale) e infatti la spiegazione è venuta dal produttore che ha dichiarato come fosse sua la scelta di non dare il film ai festival per timore di ritorsioni nei confronti dei realizzatori. A questo punto, curiosamente, sono spuntati degli inediti padrini della libertà nella persona di diversi rappresentanti della Lega che sono partiti come dei crociati per diffondere il film. In realtà a loro non importa un accidente della libertà d'espressione, ma non gli pareva vero di avere un'occasione propizia per cavalcare un messaggio denigratorio nei confronti dell'Islam in generale. Giusto per poter affermare che quei selvaggi non meritano di sedersi alla nostra tavola. Ultima iniziativa in ordine di tempo ieri a Treviso, dove il film è stato presentato nella sede della Lega con dibattito a seguire. Ma non si tratta di libertà d'espressione, anzi, si vuole invece chiudere la bocca ai musulmani.

Un teatrino pretestuoso che ha preso un film modesto ma provocatorio per strumentalizzarlo. Ben altre sono le battaglie per la libertà d'espressione. Libertà che comprende tutto, anche la possibilità di dire duramente quel che si pensa di Islam e dei musulmani, come di cattolicesimo e religione cristiana e quant'altro.