da Il Corriere della Sera di domenica, 23 marzo, 2003

Viki, l' importanza di sentirsi italiano
Le «favole vere» in un Paese che cambia
Anticipiamo la prefazione di Gian Antonio Stella al libro di Fabrizio Gatti, «Viki che voleva andare a scuola», edito da Fabbri.

Chiamatelo Marco e palpiteranno tutti i cuori d' Italia. Dategli lo stesso nome del ragazzino genovese del racconto «Dagli Appennini alle Ande» del Cuore di Edmondo De Amicis e vedrete la gente sospirare intenerita con i lucciconi agli occhi. Come sospirò intenerita per Remigio, il notissimo Remi di Senza Famiglia che nel romanzo di Hector Malot girava col suo padrone chiamato Vitali e la scimmietta Belcore, tre cani e l' organetto. O per Carminello Ada, il bambino di cinque anni appeso al soffitto dal musicante che lo aveva comprato per cento lire e ammazzato a cinghiate perché non raccoglieva abbastanza soldi. O per Carluccio e Stefanella, i fratellini protagonisti del popolare feuilleton ottocentesco La tratta dei fanciulli di Giuseppe Guerzoni. Un nome italiano: basterebbe un nome italiano a Viki, il bambino intorno al quale ruota il romanzo di Fabrizio Gatti, per farne un piccolo eroe in grado di toccare il cuore di tutte le mamme del nostro Paese delle mamme. Quel Paese che si commuove per ogni storia tragica, triste melodrammatica o telepiagnona che coinvolga uno dei suoi figlioletti e spesso non vede i figlioletti degli «altri». Un Paese che trova in qualche modo normale che una legge ostacoli il più possibile il desiderio di chi è immigrato in Italia di farsi raggiungere dalla moglie e dai figli. Che sbuffa infastidito davanti agli appelli all' accoglienza del Papa o dei preti di frontiera. Che schiamazza per le strade contro gli «immigrati prolifici come conigli». Che plaude all' iniziativa di certi comuni che premiano le nascite di «trentini d.o.c.» o chiudono le scuole materne agli stranieri. Che protesta contro l' inserimento nelle graduatorie per le case popolari di quelle famiglie di extracomunitari che hanno tutte le carte in regola e sono particolarmente numerose. Che si lagna perché «i foresti non sanno usare il rubinetto» e «non hanno alcuna idea di cosa sia l' igiene». Un Paese che ha dimenticato tutto. Che si rifiuta di ricordare che anche noi italiani siamo stati clandestini e siamo emigrati illegalmente almeno in quattro milioni, attraversando i passi alpini o salendo sulle «carrette del mare» che oggi vomitano sulle nostre coste indiani e maghrebini. Che anche noi siamo stati sottoposti ad angherie razziste come le infami campagne dello svizzero James Schwarzenbach, il quale delle mogli e dei vecchi genitori e dei bambini dei nostri emigrati scriveva: «Sono braccia morte, che pesano sulle nostre spalle». Che anche noi eravamo accusati di essere troppo prolifici, un' accusa del resto non campata in aria se è vero che Benito Mussolini, come scrive Edoardo Pittalis nel suo libro Dalle Tre Venezie al Nordest, arrivò a salutare una parata di «93 madri con complessivi 1310 figli, una media di 14 a testa». Che anche noi ci ammassavamo in luride stamberghe al punto che a Little Italy, a New York, c' era un condominio dove in 132 stanze vivevano 1324 italiani. Che anche noi un tempo eravamo così miserabili che non davamo alcuna importanza all' igiene, tanto che ai nostri di passaggio a Basilea, in Svizzera, era vietato l' accesso alle sale d' aspetto di terza classe perché «troppo sporchi». Ecco perché è importante questo libro. Perché Fabrizio Gatti, attraverso la storia di Viki, un bambino albanese che parte da un villaggio cattolico nel nord del suo Paese per raggiungere clandestinamente, con la mamma Mara e la sorellina Brunilda, il papà, emigrato in Lombardia, racconta la storia di milioni di persone. Cingalesi e tedeschi, marocchini e italiani, irlandesi e cinesi, polacchi e egiziani, ghanesi e spagnoli: tutti diversi gli uni dagli altri per colore della pelle, religione, cultura, cucina, tradizioni. Tutti partiti in momenti diversi o secoli diversi seguendo diversi percorsi. Eppure tutti uniti dallo stesso destino. Segnati dagli stessi incubi. Insultati con gli stessi stereotipi. Accompagnati dagli stessi pregiudizi. Affascinati dagli stessi sogni. E' la storia, sempre diversa eppure sempre uguale, di un viaggio tremendo, di un incontro traumatico e di un inserimento difficile. Ecco gli scafisti che badano solo ai soldi e se ne fregano delle vite umane come se ne fregavano i passeurs che portavano i nostri emigrati clandestini a morire precipitando dal Passo del Diavolo dietro Ventimiglia. Ecco i poliziotti che fregano i soldi a ogni poveretto che non può dimostrare di averli guadagnati onestamente. Ecco lo sfruttamento dei lavoratori in nero che gli stessi padroni trovano più conveniente non regolarizzare. Ecco le baracche di legno e lamiera alla periferia di Milano, così spaventosamente identiche a quelle che venivano occupate dai veneti o dai calabresi alla periferia di Ginevra o a Lanklaar, in Belgio, dove i nostri si insediarono in ciò che restava di un ex lager nazista. E' durissima, la vita di Viki e Brunilda fra il fango, i topi e la paura. Eppure anche da questa storia, nata dalla ricostruzione di una vicenda assolutamente vera, esce con forza un messaggio niente affatto pessimista. E non solo perché qua e là spuntano figure di italiani ricchi di generosità come lo furono verso di noi migliaia e migliaia di americani e australiani e argentini e francesi. Ma soprattutto perché il piccolo Viki, laggiù in fondo al suo percorso di sofferenza e di angosce, ha ben chiaro il punto di arrivo: andare a scuola. Crescere. Imparare. Diventare un buon cittadino del Paese di cui nonostante tutto è innamorato. Un Paese che un giorno, lui lo sa, riuscirà ad accettarlo. E a farlo sentire finalmente a casa sua. Come i nostri vecchi, dopo viaggi interminabili attraverso le montagne e i mari e le ostilità, riuscirono infine a sentire che il Canada o il Brasile o l' Inghilterra erano via via diventati un po' loro. Il libro di Fabrizio Gatti, «Viki che voleva andare a scuola» (ed. Fabbri, pp.261, euro 9,50) sarà in libreria da mercoledì 26 L' EVENTO Dal 2 al 5 aprile Bologna capitale dell' infanzia Il libro di Fabrizio Gatti, «Viki che voleva andare a scuola», sarà presentato, venerdì 4 aprile (ore 11), alla Fiera del libro per ragazzi di Bologna. Parteciperanno all' incontro, oltre all' autore, Arturo Ghinelli, Gian Antonio Stella e Paola Motta La Fiera di Bologna, il più importante appuntamento mondiale dedicato ai ragazzi, si terrà dal 2 al 5 aprile. Sono previsti circa mille e 300 espositori provenienti da oltre 50 Paesi