il manifesto - 07 Ottobre 2003
DA NORDEST
Xenofobi nell'anima
GIANFRANCO BETTIN
«Solo affrontando la realtà un paese responsabile costruisce il suo futuro»: così Renzo Guolo conclude il suo nuovo libro, Xenofobi e xenofili. Gli italiani e l'Islam (Editori Laterza,p. 170, E. 14,00). Docente di Sociologia e Sociologia della religione all'Università di Trieste, studioso dei fondamentalismi contemporanei Renzo Guolo vive e ha un osservatorio privilegiato su questi fenomeni proprio nel nevralgico Nordest. L'intero volume, pur spaziando nel rapporto tra Islam e Italia e Occidente, è ricco di motivi che trovano origine nella macroregione italiana dove spesso l'intolleranza diventa ordinario orrore. Come nel caso dell'esternazione del sindaco di Vittorio Veneto, il leghista Giancarlo Scottà, il quale alla richiesta di ospitare un centro di raccolta per immigrati risponde tranquillamente, riferisce Guolo, di non comprendere l'accanimento contro la sua città, a suo avviso considerata come «una pattumiera», dal momento che, oltre a un inceneritore e delle cave, deve ospitare anche «insediamenti musulmani».

Detta proprio così: cave, inceneritori, musulmani. Del resto non siamo lontani dai territori di Gentilini e dalle scorribande di Borghezio, giustamente identificato da Guolo come «il principale personaggio di raccordo tra militanti di estrema destra e leghisti», raccordo che in certe zone del Nordest soprattutto sta favorendo un inquietante intreccio tra neonazismo (miti e simbologia ariani-hitleriani), neofascismo (italianità di stampo neomussoliniano) e leghismo-venetismo-padanismo (miti celtici, localismo da piccola patria) il tutto in salsa xenofoba. Con ingredienti cangianti: dapprima «slavi« e albanesi, poi «marocchini», quindi musulmani e adesso i cinesi (non solo i cinesi in Italia, ma la Cina in quanto tale, a causa della concorrenza sul mercato globale: come argomentava qualcuno l'altra sera a «l'Infedele» di Lerner, la globalizzazione al blocco economico-sociale che la Lega rappresenta, la globalizzazione va bene solo finchè gli dà libertà di sfruttare e lucrare, quando sono altri a giovarsene allora sono strilli).

Il libro di Guolo è insomma un'utile e intelligente guida alle trasformazioni in corso nella società italiana e nella sua anima più profonda. E' questa infatti che viene scossa nel rapporto con l'Altro, con l'Islam in particolare. Malgrado le invasioni, le migrazioni che l'hanno segnata, in ogni senso, l'Italia, nota Guolo, «è un paese culturalmente chiuso, fondamentalmente monoculturale» che non ha «imparato a convivere con il riconoscimento delle differenze». Il paese, in profondità, «respirava omogeneità e ignorava la differenza. Il cattolicesimo era l'unico elemento unificante. Visibile persino nel paesaggio, segnato ovunque da chiese, pievi, tabernacoli».

Insomma, «la storia italiana ha fatto sì che, a lungo, l'Altro rimanesse veramente 'altro'». Di fronte all'immigrazione, il paese si è comportato come di fronte a un evento transitorio, di rilievo solo sul mercato del lavoro o sul piano della sicurezza. Una reazione infantile, che eludeva la dimensione culturale (e anche le implicazioni sociali più complesse). Questa è la radice del rapporto particolarmente difficile e, come dire, immaturo che oggi l'Italia intrattiene con l'Islam in particolare e con i migranti in generale. Un «patto» reciproco, come Guolo auspica, sarà possibile solo se questo paese saprà davvero assumersi quella responsabilità finora disattesa come documentatutto questo libro, così come l'esperienza quotidiana.