Storie di ragazze ribelli
Il Festival di cinema iraniano a
Tehran rappresenta un osservatorio speciale puntato su un
paese in rapido cambiamento. Quest'anno, pur se alcuni film
sono stati messi al bando e le registe minacciate di arresto,
l'occhio della cinepresa ha messo a fuoco il mondo femminile
islamico, liberandolo dai cliché e raccontando fatti
eccezionali e quotidiani di protagoniste della scena sociale
DEBORAH YOUNG - TEHRAN
Nel nuovo documentario di Rakshan Bani-Etemad,
Tempi nostri si vede la 25enne Arezoo che prende
coraggio e decide di candidarsi alle elezioni presidenziali.
Fra i 711 candidati dell'anno scorso, il film ci informa che
ben 48 erano donne. Ma la storia di Arezoo è speciale. Ha
divorziato da due mariti tossicodipendenti e ora è lei l'unica
fonte di reddito per la madre anziana cieca e per sua figlia.
Per sbarcare il lunario Arezoo ha due lavori, torna a casa
tardissimo ma sogna di seguire corsi all'università. Il
padrone di casa la sta buttando per strada e nessuno vuole
affittare un appartamento ad una donna sola. Alla fine, viene
anche licenziata perché ha chiesto giorni liberi per cercare
casa. Nonostante tutto, questa donna decide di entrare in
politica per fare la presidente. Bani-Etemad, regista
iraniana di punta, ha altre cose interessanti da dire sul
ruolo delle donne nelle ultimi elezioni. Fa vedere, ad
esempio, come alcune ragazze universitarie (fra cui sua
figlia) siano riuscite ad aprire un ufficio per la campagna
del presidente riformista, Mohammad Khatami. Scendono in
strada per distribuire opuscoli e rifiutano il suggerimento
dei maschi che le invita a coprirsi la testa in maniera più
modesta: "Stiamo votando per la libertà", dicono. Ma sono
costrette ad ammettere che i risultati ottenuti da Khatami dal
1997 ad oggi sono limitati. Il clima che si respira in Iran
di questi tempi non è tra i migliori. Diversi giornali
specializzati in cinema sono stati sospesi a gennaio e un film
controverso come Prigione di donne è stato messo al
bando e la regista è stata minacciata di arresto. Le riforme
promesse da Khatami in questo momento non sono possibili e il
potere dei religiosi - non eletti dal popolo ma sopra tutti
secondo la costituzione - è in aumento. Ma l'opinione
pubblica in Iran è cambiata. E il cinema, in fondo, è l'unico
biglietto di visita credibile rimasto alla Repubblica Islamica
dell'Iran. Tutti i nuovi film iraniani riflettono questa
pericolosa dicotomia tra volontà popolare e diritti reali.
Affrontano temi scottanti come l'oppressione delle donne,
l'aborto, la droga e la miseria. In effetti, oggi in Iran si
gira di tutto. "Non c'è censura sulle sceneggiature quando il
film viene prodotto con soldi privati", ha spiegato il
produttore Ali Reza Shoja-Noori dal set di Respiro
profondo. Questa storia di giovani a Tehran (regia Parviz
Shahbazi) si girerà in 45 giorni, costerà $300.000 e
richiederà il primo permesso ufficiale dal Ministero della
cultura e della Guida islamica solo quando sarà pronto per la
distribuzione. Poi, con il permesso in mano, comincerà la
battaglia per trovare spazio per uscire. In tutto il paese ci
sono solo 250 cinema per una produzione di 60 film all'anno,
più quelli importati dall'estero. Inoltre, le campagne
pubblicitarie che dovrebbero lanciare l'uscita dei film sono
ancora una pratica sconosciuta. In tutta Tehran si vede un
solo manifesto che raffigura una ragazza e una pistola (per
Negin, storia di ragazze gangster). I temi scabrosi,
nella nuova onda cinematografica, infatti non mancano.
Bemani di Dariush Merjui è quasi un film d'orrore in
cui le vite di tre ragazze di provincia vengono distrutte
dalla società ultra-conservatrice. Una viene decapitata dai
suoi zii quando la vedono camminare per strada con un giovane
soldato; un'altra, studentessa di medicina, si dà fuoco quando
suo padre la tira fuori da classe e la rinchiude in cantina
come un animale. La terza, Bemani (il cui nome vuol dire
"restare viva"), tenta il suicidio dopo un matrimonio
d'obbligo con un vecchio orrendo ma non muore. Estremo come
la storia delle due sorelle rinchiuse de La mela di
Samira Makhmalbaf, Bemani non rappresenta certo la
regola nella società iraniana. Più realistico sembra essere
Io, Taraneh, ho 15 anni del regista Rasul Sadr-Ameli.
La piccola Taraneh è orfana di madre e ha il padre in galera.
Dopo la scuola lavora in un negozio di fotografia. Il ragazzo
del negozio accanto le fa la corte, ma lei non lo vuole finché
non le propone di sposarsi. Sua madre, una femminista moderna,
insiste affinché i ragazzi prendano prima una licenza di
matrimonio "temporanea" che permetta loro di uscire insieme in
pubblico, almeno fino al termine degli studi. Ma la seria
Taraneh, scoprendo che lui vuole solo divertirsi, divorzia.
Solo dopo si rende conto di essere incinta. Il film racconta
la sua straziante scelta di avere il bambino contro ogni
parere, di vivere sola e finalmente di andare in tribunale per
ottenere una carta d'identità per quella figlia senza padre.
La sua è una vittoria. Ben altra fine farà invece l'eroe della
Casa costruita sull'acqua di Bahman Farmanara, il
geniale produttore-regista tornato in Iran dagli Usa. Questo
film ambizioso tenta di intrecciare una gamma di problemi
sociali (droga, aborto, prostituzione) alla crisi mistica di
un ginecologo 50enne. Quando il ricco medico, ubriaco e in
compagnia con una call-girl, investe un "angelo" con la
macchina, comincia un viaggio nella Twilight Zone iraniana. O
forse il paese è già una Twilight Zone, anche senza angeli e
con un bambino prodigio che sa a memoria tutto il
Corano. Il film di Farmanara ha vinto il premio per miglior
film iraniano al 20/mo Fajr Film Festival in Tehran (che si è
tenuto dall'1 al 10 febbraio). Come sempre, il festival si è
svolto nei dieci giorni di festeggiamenti per commemorare la
rivoluzione islamica. Solo che quest'anno, proprio pochi
giorni prima, il presidente americano Bush ha classificato
l'Iran fra i tre paesi dell'"asse del male" che nutrono il
terrorismo mondiale. Così è toccato al cinema analizzare i
punti politici dolenti. Nemmeno un instant movie avrebbe
potuto farlo meglio di Bassa Quota, storia
tragicomica sul dirottamento di un aereo da parte di un
poveraccio in cerca di una vita migliore. Ghassem compie il
suo gesto in compagnia del figlio handicappato, della moglie
incinta e una decina di parenti ingannati con la promessa di
un lavoro sul Golfo persico. Tutti secondo lui dovrebbero
aiutarlo a dirottare un piccolo Iran Air fino ad Abu Dhabi ma,
quando la torre rifiuta l'atterraggio, è pronto a scendere in
Israele, dove pensa di restare impunito. Tutto questo con le
Twin Towers che stanno crollando in tv nell'aeroporto. Tra
le cose rilevanti da sottolineare ci è sembrato interessante
che il mercato mondiale - ormai abituato a guadagnare soldi o
almeno premi e prestigio distribuendo film iraniani - non si
sia affatto fermato dopo l'11 settembre. Tutt'altro. C'è più
curiosità che mai sul Medioriente e sulle aree islamiche in
genere, grazie anche alle immagini forti sull'Afghanistan
"propagandate" da un film come Viaggio a Kandahar. La
pellicola di Mohsen Makhmalbaf era uno di 30 titoli nella
sezione che il Fajr festival ha dedicato al suo scomodo
vicino. Tutta la famiglia Makhmalbaf, comprese la figlia
Samira (La mela, Lavagne) e la moglie Marziyeh
Meshkini (Il giorno che sono diventata donna) è
diventata una specie di istituzione facendo capo alla
Makhmalbaf Film House. Non presenti al festival (a differenza
di Kiarostami), hanno messo da parte tutti i loro nuovi
progetti cinematografici per dedicarsi all'Afghan Children
Education Movement, l'organizzazione che hanno fondato l'anno
scorso per premere sul governo iraniano affinché educhi i
500.000 giovani rifugiati che vivono in Iran senza documenti e
costruisca scuole in Afghanistan. La situazione dei rifugiati
è stata anche sottolineata dal dramma personale dell'attore
afghano Jalil Nazari. Era il protagonista nel film
Djomeh, vincitore di un Camera d'Or a Cannes. Dopo aver
accettato l'invito dell'Hamburg Film Festival, Nazari ha
scoperto di non poter più tornare in Iran. Essendo un afghano
senza documenti, è finito in un campo di profughi in Germania
dell'Est. La sua storia è raccontata nel documentario Il
sentiero del cielo di Mahmud Behraznia. Purtroppo, tre
dei film nuovi più importanti non sono mai arrivati al
festival per diversi motivi. Uno di questi è Dieci, il
nuovo lavoro di Kiarostami, ancora in post-produzione. Secondo
il regista, rappresenta una rottura con i suoi film
precedenti. L'ha girato da solo con una piccola camera Dv e
racconta storie di donne islamiche. Lettere nel vento,
altro film non pervenuto, opera prima di Alireza Amini e
secondo le voci candidato a Cannes, parla di giovani soldati
in licenza a Tehran. stato tolto dal festival dalla casa di
produzione Sureh Cinema, recentemente finita sotto una nuova
direzione conservatrice. Neanche l'atteso Prigione di
donne della regista Manijeh Hekmat, era in programma al
festival. Quando i produttori hanno annunciato una proiezione
privata per la stampa straniera, Hekmat è stata minacciata
d'arresto in una telefonata dei servizi segreti. La proiezione
è stata cancellata. Anche senza grandi film, il festival
rimane comunque un punto di incontro importante tra stranieri
e registi iraniani. La giuria internazionale ha scelto
Eloge de l'amour di Jean-Luc Godard come miglior film e
Joint Security Area del sud-coreano Park Chan Wook per
il premio speciale. C'era anche un vincitore Usa, Jack
Nicholson (non presente), miglior attore per The
Pledge. Premi per la carriera sono stati assegnati a
Moritz De Hadeln, ex-direttore di Berlino e odierno consulente
privato di festival, e al direttore della fotografia Dariush
Khondji (Evita, Seven, Alien 3:
Resurrection). stato il primo viaggio in Iran per
Khondji da quando era bambino nel 1958. Molto commosso, ha
promesso di imparare farsi (persiano) per la prossima
visita.
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