16 Marzo 2002
 
 
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Storie di ragazze ribelli
Il Festival di cinema iraniano a Tehran rappresenta un osservatorio speciale puntato su un paese in rapido cambiamento. Quest'anno, pur se alcuni film sono stati messi al bando e le registe minacciate di arresto, l'occhio della cinepresa ha messo a fuoco il mondo femminile islamico, liberandolo dai cliché e raccontando fatti eccezionali e quotidiani di protagoniste della scena sociale DEBORAH YOUNG - TEHRAN

Nel nuovo documentario di Rakshan Bani-Etemad, Tempi nostri si vede la 25enne Arezoo che prende coraggio e decide di candidarsi alle elezioni presidenziali. Fra i 711 candidati dell'anno scorso, il film ci informa che ben 48 erano donne. Ma la storia di Arezoo è speciale. Ha divorziato da due mariti tossicodipendenti e ora è lei l'unica fonte di reddito per la madre anziana cieca e per sua figlia. Per sbarcare il lunario Arezoo ha due lavori, torna a casa tardissimo ma sogna di seguire corsi all'università. Il padrone di casa la sta buttando per strada e nessuno vuole affittare un appartamento ad una donna sola. Alla fine, viene anche licenziata perché ha chiesto giorni liberi per cercare casa. Nonostante tutto, questa donna decide di entrare in politica per fare la presidente.
Bani-Etemad, regista iraniana di punta, ha altre cose interessanti da dire sul ruolo delle donne nelle ultimi elezioni. Fa vedere, ad esempio, come alcune ragazze universitarie (fra cui sua figlia) siano riuscite ad aprire un ufficio per la campagna del presidente riformista, Mohammad Khatami. Scendono in strada per distribuire opuscoli e rifiutano il suggerimento dei maschi che le invita a coprirsi la testa in maniera più modesta: "Stiamo votando per la libertà", dicono. Ma sono costrette ad ammettere che i risultati ottenuti da Khatami dal 1997 ad oggi sono limitati.
Il clima che si respira in Iran di questi tempi non è tra i migliori. Diversi giornali specializzati in cinema sono stati sospesi a gennaio e un film controverso come Prigione di donne è stato messo al bando e la regista è stata minacciata di arresto. Le riforme promesse da Khatami in questo momento non sono possibili e il potere dei religiosi - non eletti dal popolo ma sopra tutti secondo la costituzione - è in aumento.
Ma l'opinione pubblica in Iran è cambiata. E il cinema, in fondo, è l'unico biglietto di visita credibile rimasto alla Repubblica Islamica dell'Iran. Tutti i nuovi film iraniani riflettono questa pericolosa dicotomia tra volontà popolare e diritti reali. Affrontano temi scottanti come l'oppressione delle donne, l'aborto, la droga e la miseria. In effetti, oggi in Iran si gira di tutto. "Non c'è censura sulle sceneggiature quando il film viene prodotto con soldi privati", ha spiegato il produttore Ali Reza Shoja-Noori dal set di Respiro profondo. Questa storia di giovani a Tehran (regia Parviz Shahbazi) si girerà in 45 giorni, costerà $300.000 e richiederà il primo permesso ufficiale dal Ministero della cultura e della Guida islamica solo quando sarà pronto per la distribuzione. Poi, con il permesso in mano, comincerà la battaglia per trovare spazio per uscire. In tutto il paese ci sono solo 250 cinema per una produzione di 60 film all'anno, più quelli importati dall'estero.
Inoltre, le campagne pubblicitarie che dovrebbero lanciare l'uscita dei film sono ancora una pratica sconosciuta. In tutta Tehran si vede un solo manifesto che raffigura una ragazza e una pistola (per Negin, storia di ragazze gangster). I temi scabrosi, nella nuova onda cinematografica, infatti non mancano. Bemani di Dariush Merjui è quasi un film d'orrore in cui le vite di tre ragazze di provincia vengono distrutte dalla società ultra-conservatrice. Una viene decapitata dai suoi zii quando la vedono camminare per strada con un giovane soldato; un'altra, studentessa di medicina, si dà fuoco quando suo padre la tira fuori da classe e la rinchiude in cantina come un animale. La terza, Bemani (il cui nome vuol dire "restare viva"), tenta il suicidio dopo un matrimonio d'obbligo con un vecchio orrendo ma non muore.
Estremo come la storia delle due sorelle rinchiuse de La mela di Samira Makhmalbaf, Bemani non rappresenta certo la regola nella società iraniana. Più realistico sembra essere Io, Taraneh, ho 15 anni del regista Rasul Sadr-Ameli. La piccola Taraneh è orfana di madre e ha il padre in galera. Dopo la scuola lavora in un negozio di fotografia. Il ragazzo del negozio accanto le fa la corte, ma lei non lo vuole finché non le propone di sposarsi. Sua madre, una femminista moderna, insiste affinché i ragazzi prendano prima una licenza di matrimonio "temporanea" che permetta loro di uscire insieme in pubblico, almeno fino al termine degli studi. Ma la seria Taraneh, scoprendo che lui vuole solo divertirsi, divorzia. Solo dopo si rende conto di essere incinta. Il film racconta la sua straziante scelta di avere il bambino contro ogni parere, di vivere sola e finalmente di andare in tribunale per ottenere una carta d'identità per quella figlia senza padre. La sua è una vittoria. Ben altra fine farà invece l'eroe della Casa costruita sull'acqua di Bahman Farmanara, il geniale produttore-regista tornato in Iran dagli Usa. Questo film ambizioso tenta di intrecciare una gamma di problemi sociali (droga, aborto, prostituzione) alla crisi mistica di un ginecologo 50enne. Quando il ricco medico, ubriaco e in compagnia con una call-girl, investe un "angelo" con la macchina, comincia un viaggio nella Twilight Zone iraniana. O forse il paese è già una Twilight Zone, anche senza angeli e con un bambino prodigio che sa a memoria tutto il Corano.
Il film di Farmanara ha vinto il premio per miglior film iraniano al 20/mo Fajr Film Festival in Tehran (che si è tenuto dall'1 al 10 febbraio). Come sempre, il festival si è svolto nei dieci giorni di festeggiamenti per commemorare la rivoluzione islamica. Solo che quest'anno, proprio pochi giorni prima, il presidente americano Bush ha classificato l'Iran fra i tre paesi dell'"asse del male" che nutrono il terrorismo mondiale. Così è toccato al cinema analizzare i punti politici dolenti. Nemmeno un instant movie avrebbe potuto farlo meglio di Bassa Quota, storia tragicomica sul dirottamento di un aereo da parte di un poveraccio in cerca di una vita migliore. Ghassem compie il suo gesto in compagnia del figlio handicappato, della moglie incinta e una decina di parenti ingannati con la promessa di un lavoro sul Golfo persico. Tutti secondo lui dovrebbero aiutarlo a dirottare un piccolo Iran Air fino ad Abu Dhabi ma, quando la torre rifiuta l'atterraggio, è pronto a scendere in Israele, dove pensa di restare impunito. Tutto questo con le Twin Towers che stanno crollando in tv nell'aeroporto.
Tra le cose rilevanti da sottolineare ci è sembrato interessante che il mercato mondiale - ormai abituato a guadagnare soldi o almeno premi e prestigio distribuendo film iraniani - non si sia affatto fermato dopo l'11 settembre. Tutt'altro. C'è più curiosità che mai sul Medioriente e sulle aree islamiche in genere, grazie anche alle immagini forti sull'Afghanistan "propagandate" da un film come Viaggio a Kandahar. La pellicola di Mohsen Makhmalbaf era uno di 30 titoli nella sezione che il Fajr festival ha dedicato al suo scomodo vicino.
Tutta la famiglia Makhmalbaf, comprese la figlia Samira (La mela, Lavagne) e la moglie Marziyeh Meshkini (Il giorno che sono diventata donna) è diventata una specie di istituzione facendo capo alla Makhmalbaf Film House. Non presenti al festival (a differenza di Kiarostami), hanno messo da parte tutti i loro nuovi progetti cinematografici per dedicarsi all'Afghan Children Education Movement, l'organizzazione che hanno fondato l'anno scorso per premere sul governo iraniano affinché educhi i 500.000 giovani rifugiati che vivono in Iran senza documenti e costruisca scuole in Afghanistan. La situazione dei rifugiati è stata anche sottolineata dal dramma personale dell'attore afghano Jalil Nazari. Era il protagonista nel film Djomeh, vincitore di un Camera d'Or a Cannes. Dopo aver accettato l'invito dell'Hamburg Film Festival, Nazari ha scoperto di non poter più tornare in Iran. Essendo un afghano senza documenti, è finito in un campo di profughi in Germania dell'Est. La sua storia è raccontata nel documentario Il sentiero del cielo di Mahmud Behraznia.
Purtroppo, tre dei film nuovi più importanti non sono mai arrivati al festival per diversi motivi. Uno di questi è Dieci, il nuovo lavoro di Kiarostami, ancora in post-produzione. Secondo il regista, rappresenta una rottura con i suoi film precedenti. L'ha girato da solo con una piccola camera Dv e racconta storie di donne islamiche. Lettere nel vento, altro film non pervenuto, opera prima di Alireza Amini e secondo le voci candidato a Cannes, parla di giovani soldati in licenza a Tehran. stato tolto dal festival dalla casa di produzione Sureh Cinema, recentemente finita sotto una nuova direzione conservatrice. Neanche l'atteso Prigione di donne della regista Manijeh Hekmat, era in programma al festival. Quando i produttori hanno annunciato una proiezione privata per la stampa straniera, Hekmat è stata minacciata d'arresto in una telefonata dei servizi segreti. La proiezione è stata cancellata.
Anche senza grandi film, il festival rimane comunque un punto di incontro importante tra stranieri e registi iraniani. La giuria internazionale ha scelto Eloge de l'amour di Jean-Luc Godard come miglior film e Joint Security Area del sud-coreano Park Chan Wook per il premio speciale. C'era anche un vincitore Usa, Jack Nicholson (non presente), miglior attore per The Pledge. Premi per la carriera sono stati assegnati a Moritz De Hadeln, ex-direttore di Berlino e odierno consulente privato di festival, e al direttore della fotografia Dariush Khondji (Evita, Seven, Alien 3: Resurrection). stato il primo viaggio in Iran per Khondji da quando era bambino nel 1958. Molto commosso, ha promesso di imparare farsi (persiano) per la prossima visita.


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