22 Febbraio 2002
 
 
Yarl's Wood, l'incubo degli esiliati
Viaggio nel centro di detenzione per richiedenti asilo di Bedford, Inghilterra, semidistrutto giovedì scorso da un incendio. All'appello mancano ancora venticinque stranieri
ORSOLA CASAGRANDE - BEDFORD

Il treno privato da Londra a Bedford è affollatissimo. Sono i commuters, i pendolari che ogni giorno percorrono la settantina di chilometri tra Bedford e la capitale per recarsi al lavoro. Al rientro pochi hanno voglia di parlare. C'è chi legge l'edizione serale di qualche giornale e chi sonnecchia. C'è un giovane pachistano che invece ha voglia di raccontare. Lui, dice, il permesso di soggiorno permanente finalmente l'ha ottenuto. Anche se ha dovuto aspettare cinque anni prima che l'Home Office, il ministero degli interni, riconoscesse il suo diritto a vivere in Gran Bretagna. Adesso, dice, le cose sono diverse. Questi centri di detenzione dove rinchiudono gli asylum seekers, i richiedenti asilo, sono delle vere e proprie prigioni. Ma per "cittadini di serie B", aggiunge, che possono anche correre il rischio di bruciare vivi, com'è accaduto a Yarl's Wood, la settimana scorsa: "Dicono che ci sono venticinque persone 'disperse' - conclude - dicono che sono quasi certamente evase, ma dopo l'11 settembre, a New York, tutti quelli che risultavano `dispersi' sono stati considerati morti".
Il tempo, chiacchierando, passa veloce. La stazione di Bedford è piccola ma attrezzata. La cittadina è pulita, le case del secolo scorso molto ben tenute, la facciata dipinta di nuovo. Bedford ha un passato di città industriale, soprattutto legato al tessile, ma oggi per lavorare si va a Londra. Ci sono molti stranieri, alcuni ben integrati. Ma ci sono problemi di scontri tra razze. Liti, soprattutto tra gente di colore e kosovari, che sono numerosi e spesso clandestini, come spiega il cameriere del bar della stazione.
Yarl's Wood? Quella è un'altra storia. Qui proprio non lo volevano i cittadini. O almeno la maggioranza degli abitanti che più volte ha protestato contro l'apertura del centro. Che pure è fuori dal centro abitato. Infatti più si esce dalla città, più sembra di essere nella terra desolata cantata dal poeta T.S. Eliot, americano naturalizzato inglese. Una strada asfaltata non molto ampia corre diritta verso Yarl's Wood: da una parte campi, dall'altra quel che rimane di ciò che una volta era un bosco e che oggi è ridotto a fazzoletti di alberi, sempre più piccoli per lasciare spazio al cemento, agli insediamenti. La giornata è piacevole: c'è addirittura un po' di sole, troppo timido però per scaldare un pomeriggio piuttosto rigido e ventoso. La strada si fa sempre più desolata. Improvvisamente, si intuisce che sta per finire, e infatti di fronte c'è un alto e lungo cancello pieno di cartelli che intimano l'alt e ricordano che quella è zona di proprietà del governo. Dietro al cancello sulla sinistra si staglia un edificio di cemento, la parte del centro di detenzione rimasta intoccata dalle fiamme. Sulla destra invece ci sono le rovine dei blocchi letteralmente inghiottiti dall'incendio di giovedì notte. Il vento è molto forte, il freddo tagliente. Sembra di stare sulla brughiera scozzese, più che nella campagna (normalmente) placida inglese. Difficile non pensare al gelo che devono aver provato le centinaia di donne e uomini evacuati dal centro durante l'incendio: indossavano soltanto un pigiama o una tuta. L'attivista del gruppo di solidarietà con gli asylum seekers di Yarl's Wood conferma che "svolgere manifestazioni qui davanti è un incubo". Il freddo è davvero insopportabile, di quello che penetra le ossa e quasi paralizza il corpo.
Un'occhiata al paesaggio, le spalle rivolte al centro, fa intuire che è davvero difficile che venticinque persone siano riuscite a fuggire inosservate (c'erano già decine di poliziotti nella zona quando è scoppiato l'incendio), in quella landa desolata e in quel gelo. E anche se ce l'avessero fatta, dove avrebbero potuto trovare rifugio? Perché le prime case sono a diversi chilometri di distanza e gente che passeggiava o correva per il centro di Bedford in pigiama nelle prime ore del mattino non sarebbe certo passata inosservata. Il timore che qualcuno sia davvero morto in quell'incendio pesa come un macigno. E poi ci sono i ritardi del sopralluogo (macerie troppo calde, strutture pericolanti) e le accuse dei vigili del fuoco che, sostenuti dal sindacato, hanno dichiarato di essere stati ostacolati nelle operazioni di soccorso dalla polizia e dai vigilantes di Group 4 (la compagnia privata che ha in gestione il centro da 100 milioni di sterline, ma che non ha trovato i soldi per installare il sistema automatico antincendio).
Impossibile entrare nel centro: per visitare i detenuti bisogna infatti fare richiesta a Group 4 con 24 ore di anticipo. Una volta ottenuto il permesso si può varcare il cancello e quindi comincia la trafila dei controlli: perquisizioni molto accurate, foto segnaletiche di chi entra, controllo e sequestro di tutti gli oggetti personali: penne e matite proibite, si possono portare dentro solo monete per il telefono. Una volta dentro, ci si può sedere, con la sedia ad angolo retto, di fronte al detenuto: un tavolino in mezzo e normalmente a distanza prestabilita dalle guardie, o meglio dalle loro orecchie.
Dopo l'incendio alcuni asylum seekers sono stati messi in isolamento. Anzi, la formula recita: "rimossi dalla socializzazione", a tutti gli effetti isolati, rinchiusi in celle singole senza la possibilità di vedere nessuno. Alcuni, forse tredici, sono ancora in stato di fermo. Decine sono gli asylum seekers rimossi da Yarl's Wood e trasferiti in altri centri di detenzione. I vigili del fuoco hanno chiesto al governo di liberare tutti i detenuti ancora rinchiusi nel centro: è a rischio la loro incolumità. Finalmente i parlamentari locali hanno aperto bocca. Il deputato laburista ha anche chiesto che venga aperta un'inchiesta pubblica e indipendente su quanto accaduto. Nel frattempo, ha detto, si dovrebbe pensare all'ipotesi di chiusura di Yarl's Wood. Quanto alle responsabilità di Group 4, che in quanto manager del centro avrebbe dovuto provvedere all'installazione del sistema automatico antincendio, il comitato per la difesa degli asylum seekers chiede che il ruolo della compagnia privata venga riconsiderato. Il governo Blair per il momento tace.


PRECEDENTE INIZIO SUCCESSIVO HOME INDICE