21 Ottobre 2001
 
 
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"Senza un filo d'aria"
Parla il marito di Milli, la donna morta durante il terribile viaggio sulla "Ackan 1"
DINO FRISULLO

Tre buone notizie per il regime turco: gli elogi sperticati del portavoce del Dipartimento di stato Usa Phil Reeker all'"alleato numero uno nella lotta al terrorismo", l'annuncio di un incontro euro-turco per spianare la strada alla Turchia nel futuro esercito europeo, la partecipazione dell'Eni alla progettazione della pipeline caucasica Baku-Ceyhan.
Pessime notizie per i kurdi: altri trenta arresti nella sede del partito Hadep di Smirne per sostegno al terrorismo. L'accusa: propaganda della "serhildan", la strategia di resistenza civile del Pkk.
A Smirne s'era imbarcata due settimane fa la giovane Milli Gullu, per sfuggire alla stessa prigione che ora reclude i suoi compagni di partito. Ieri l'autopsia ha confermato la causa della morte: asfissia. Ora suo marito Huseyin Alturk chiede solo che il corpo di Milli riposi a Istanbul, dove vivono i suoi genitori. Provvederanno, pare, la prefettura e la Croce rossa di Crotone, e gli esuli kurdi si preparano a darle l'estremo saluto a Fiumicino.
La voce di Huseyin è ferma mentre dal campo di Sant'Anna a Crotone rivive al telefono l'agonia di sua moglie. Nella stiva della nave negriera "Ackan 1" -in cui sono stati imprigionati per sette giorni 416 migranti viaggiando in condizioni terribili - Huseyin, insieme alla moglie e alle loro bambine di otto e dodici anni, deve aver attraversato tutti gl'inferni del dolore umano.

Ma perché un'intera famiglia mette a rischio la vita per venire in Italia?

Perché senza libertà non c'è vita. Da Sirnak, dove spadroneggiano i Jandarma, per non sparire anch'io in un commissariato ero stato costretto a trasferirmi a Gebze, presso Istanbul. Ma la mia origine kurda mi bollava. Ogni volta che a Gebze c'era un problema la polizia veniva da noi, soprattutto dopo che nel '99 mia moglie Milli fu arrestata durante lo sciopero della fame delle donne dell'Hadep contro il sequestro di Ocalan in Kenya. La torturarono per una settimana nella caserma di Gebze, fino a lasciarla esanime sul nudo cemento di una cella. Nessun medico volle firmare il referto. Da allora la nostra vita fu in inferno. Mia figlia a undici anni dovette lasciare la scuola perché gli insegnanti la schernivano come figlia di terroristi. Quando abbiamo deciso di espatriare, Milli attendeva la sentenza del tribunale speciale per quello sciopero della fame: fino a quindici anni di prigione per sostegno al Pkk.

Come siete partiti?

Dopo aver dato a un mediatore mafioso 4850 dollari, tutto ciò che avevo, ci hanno chiamati. Di notte, stipati in settanta in un autobus da cinquanta posti, abbiamo viaggiato da Istanbul fino a Cesme, il porto di Smirne. Agenti di polizia, in borghese ma con pistole e radiotelefoni, ci aprivano la strada su una macchina civile. A un posto di blocco a Bursa hanno preso dall'autista del bus un pacco di banconote e l'hanno passato ai loro colleghi in divisa. Ci hanno scortati fino all'imbarco su un gommone che dopo quattro ore, forse in prossimità della costa greca, ci ha trasbordati su quella maledetta nave.

Puoi raccontarci del viaggio?

Appena a bordo ci hanno scaraventati nella stiva e hanno sbarrato i portelloni su di noi. Eravamo l'ultimo carico, stipati su uno strato di terriccio e letame insieme a centinaia di uomini, donne e bambini, anche neonati. Erano kurdi irakeni, afghani, pakistani. Nelle diverse lingue parlavano tutti della guerra. C'erano solo tinozze d'acqua fetida e forme di formaggio e pane che nessuno toccava, perché erano ammucchiate accanto alle latrine. Si socializzava il cibo che ciascuno aveva con sé, ma non durò a lungo. Alla fine mangiammo quel pane e bevemmo quell'acqua, e l'ultimo giorno non rimase nulla da mangiare. Stavamo ammucchiati come bestie nel buio, senza un filo d'aria. Dopo due giorni Milli cominciò a vomitare. Il suo corpo si gonfiava, sembrava incinta. Abbiamo chiesto per pietà di aprire, ma si sono limitati a gettarci qualche scatola di antibiotici. E'morta quella notte stessa, e per due giorni abbiamo vegliato il suo cadavere. Alle nostre urla rispondevano le risate dell'equipaggio turco. Molti altri sarebbero morti, se i finanzieri italiani ci avessero liberati solo qualche ora più tardi. E ora siamo qui...


La sua voce si spezza: "Come pensi che affronteranno la nuova vita le nostre bambine?"

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