08 Settembre 2001
 
 
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"La storia infinita della schiavitù"
INTERVISTA A KI-ZERBO "Crimine contro l'umanità"
MARINA FORTI - INVIATA A DURBAN

Joseph Ki-Zerbo, un anziano signore dal portamento regale nel lungo abito bianco ricamato, è il decano degli storici africani. La sua Storia dell'Africa nera (1972, in Italia da Einaudi 1977) ha segnato una svolta nella storiografia del continente africano: una sorta di "riscatto" dell'Africa cancellata o immiserita da secoli di quella rappresentazione coloniale che faceva cominciare la civiltà con l'arrivo degli europei. Nato a Toma nell'Alto Volta (oggi Burkina Faso) da una famiglia di contadini, ha compiuto i suoi primi studi in scuole missionarie e ha dovuto fare vari mestieri prima di poter arrivare a Parigi e seguirvi regolari studi superiori. Dopo il diploma all'Institut d'Etudes Politiques nel 1954, e due anni di post-laurea in storia alla Sorbona, si è dedicato al suo paese, di cui è stato deputato all'Assemblea nazionale. Di recente ha collaborato alla General History of Africa pubblicata dall'Unesco, l'organizzazione Onu per la cultura. Era a Durban nei giorni scorsi per partecipare al seminario promosso appunto dall'Unesco su "La via degli schiavi", la tratta degli schiavi neri dall'Africa alle Americhe: una catastrofe, dice, che ha cambiato la demografia del continente africano e il suo futuro.

Cos'è che rende la tratta degli africani attraverso l'Atlantico un evento così unico nella storia umana?

Vede, la schiavitù è esistita in molte regioni, è stata una fase importante dello sviluppo di quasi tutte le civiltà umane. Ma credo che i popoli neri abbiano subìto un'esperienza della schiavitù unica nel suo genere per la durata, per le dimensioni e per l'orrore. Sono queste le caratteristiche uniche dell'esperienza africana. Per quattro secoli e mezzo, dalla metà del XV alla fine del XIX, sono venuti a cercare schiavi neri in Africa per trasportarli in altri continenti, con una progressione costante negli effettivi fino al 1830. Poi nel 1848 l'abolizionismo ha cominciato a produrre degli effetti - anche se non ha ancora fermato la tratta, anzi si è creata una situazione ancora più terribile perché gli europei venivano a fare guerre con armi ormai più sofisticate, conoscevano meglio i villaggi, era una caccia all'uomo mirata. E poi, le dimensioni: ci sono stime diverse sul numero degli schiavi presi, ma considerate che il Portogallo del sedicesimo secolo aveva appena un milione e mezzo di abitanti. L'Africa nera era un vivaio: i demografi stimano che avesse allora 100 milioni di abitanti. Gli europei conservarono gelosamente le loro tecnologie di navigazione o la polvere da sparo, benché i re africani chiedessero maestri esperti alle loro corti, per istruite tecnici africani. Invece, usarono l'Africa come una riserva di manodopera... Faccio notare che l'Africa e l'Europa allora erano comparabili quanto a organizzazione sociale e politica, e anche economica. Ma le sue forze migliori furono prelevate sistematicamente. Su oltre 4 secoli sono stati presi tra 30 e 100 milioni di abitanti: i più forti, robusti, giovani, l'avvenire dell'Africa. Le incursioni dei negrieri erano come attacchi chirurgici, ben diretti a prelevare gli uomini e donne che gli servivano. Infine, l'orrore: l'essere umano in Africa è stato considerato al pari del bestiame, selvaggi da ridurre a obbedienza e addomesticare. Presi a forza, obbligati a lavorare, sottomessi a un regime peggiore di quello riservato alle bestie. Mai la schiavitù era stata marcata da un tale disprezzo umano. Allo schiavo che non obbediva si poteva tagliare le orecchie, la lingia, le mani. Uomini e donne neri erano chiusi insieme perché producessero figli, come si fa con i cavalli. Inaudito! Non gli era riconosciuta nemmeno la qualità umana: il nero africano era una merce. Pensi che quando si faceva l'inventario dei beni di una proprietà in vendita si elencavano i neri come beni mobili: una casa, tanti carri, tanti negri... Giunsero a creare una moneta as
tratta per stimare gli africani, un'unità di conto chiamata pièce d'Inde. Corrispondeva a un negro perfetto: giovane, in piena forza. C'erano frazioni e multipli: una donna con un bambino facevano una pièce d'Inde, due donne una pièce e mezza. Per tutto questo, non vedo un altro popolo nella storia che abbia sofferto di u traffico del genere così a lungo, e in dimensioni comparabili al popolo nero.

Gli europei inoltre si davano giustificazioni di ordine legale, morale...

Sì, ma il complesso di superiorità è venuto dopo. E' stata la stessa tratta degli schiavi a sviluppare il razzismo. Si metta al posto dei portoghesi, quel milione e mezzo di abitanti -i grandi regni africani dell'epoca erano molto più popolosi di quello di Lisbona. Abbiamo le testimonianze dei viaggiatori arabi, venuti in Africa per primi seguiti poi dagli europei. Descrivevano una demografia abbondante, villaggi molto fitti, il benessere, l'avanzamento delle scienze come la pedagogia: sappiamo ad esempio che nel XIV secolo la città di Timbuctu aveva un tasso di alfabetizzazione più alto che nelle metropoli europee. Era in arabo, ma tutti i figli dei liberi erano scolarizzati. Ibn Battuta, il grande viaggiatore arabo che percorse sia l'Africa che l'Europa e l'oceano Indiano, dice che il Mali all'epoca era governato nella pace e della sicurezza, al contrario dell'Europa nello stesso periodo. L'imperatore del Mali nel quattordicesimo secolo fece il pellegrinaggio alla Mecca portando con sé tonnellate d'oro: tanto che nel mediterraneo il corso dell'oro si abbassò. Il regno del Mali era segnato nelle carte del tempo, disegnate in Europa, perché la sua reputazione era grande. Ibn Battuta scrisse un capitolo su "quel che c'è di buono e di cattivo presso i neri": non approva che le donne vadano a torso nudo, ma riconosce che la giustizia è molto rigorosa... Quando i primi portoghesi arrivarono nel regno del Congo si prostrarono e baciarono la mano del re come avrebbero fatto a Lisbona. No, il complesso di superiorità è cominciato più tardi. Con lo schiavismo si è costruito poco a poco il disprezzo, fino al diciannovesimo secolo quando il razzismo è diventato per così dire 'scientifico': quando si cominciò a dire che la scatola cranica degli africani era più piccola, che non erano capaci di capire certe cose. E' stata costruita un'ideologia che giustificava la pratica della schiavitù.

In questa conferenza si discute di "riparazioni". Si può, e come, riparare a una colpa come la tratta degli schiavi?

Ma è già stato fatto in altri casi, ad esempio i tedeschi l'hanno fatto per gli ebrei. E' un problema di diritto e di etica. Il silenzio sulla tratta degli schiavi è durato secoli. Oggi, dopo che il mondo ha adottato principi generosi e giusti sui diritti umani e dei popoli, non è accettabile che il silenzio continui. Il parlamento francese ha riconosciuto che la schiavitù è un crimine contro l'umanità perché degli esseri umani non sono stati considerati come tali, e che è stata disconosciuta troppo a lungo. Se seguiamo un principio di diritto, quando c'è stato un torto deve seguire una riparazione. Sul principio non dovrebbe esserci discussione. E' sulle modalità che qui discutono. La tratta dei neri ha permesso all'Europa di disporre del lavoro necessario a entrare nella fase dell'industrializzazione. L'Europa ha approfittato e si è sviluppata mentre l'Africa sprofondava. Certo non si ripara alla vita di 50 o cento milioni di persone, al sangue versato, agli orrori, agli schiavi ribelli fatti a opezzi sulle navi negriere per darli in pasto agli altri - ci sono orrori impossibili da riparare. Ma cercare di diminuire gli effetti della tratta dei neri, questo non è chiedere troppo. Una volta riconosciuto un crimine contro l'umanità, bisogna controbilanciare gli effetti del male fatto.

Ma appunto: altri paesi non hanno riconosciuto, come la Francia, che c'è stato un "crimine contro l'umanità".

Sì, ma è un ritardo nelle coscienza morale, etica e giuridica rispetto alle loro stesse leggi. Guardi: qui c'era l'apartheid, ed è durato fin troppo a lungo. Durante la guerra fredda gli americani non volevano riconoscerlo perché credevano che i loro interessi fossero minacciati. Quelli che oggi non riconoscono il torto fatto all'Africa dovrano riconoscerlo prima o poi, perché questa lotta non si fermerà. D'altra parte è una lotta non solo per i neri ma per la dignità umana. Questi paesi ora non vogliono riconoscere ciò che è chiaro come il sole per un calcolo di interesse immediato: temono di dover rinunciare a una parte delle loro ricchezze, quando il 20% dell'umanità ha l'80% delle risorse: non gli basta? Gli stati badano solo all'interesse immediato: io dico che i popoli devono prendere il relais. E' un mostruoso ritardo delle coscienze, e va denunciato.

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