08 Settembre 2001
 
 
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Profughi afgani, l'odissea continua nel Pacifico
Bloccati al largo della Nuova Guinea sino al verdetto della Corte: se l'Australia è colpevole, faranno dietro front
SIMONA MANNA

La Papua Nuova Guinea è una meta apparente. In realtà non è assolutamente detto che i 433 profughi, per la maggior parte afgani, salvati dal naufragio da un cargo norvegese, respinti dall'Australia e ora in viaggio verso la Guinea riescano a sbarcare a Port Moresby, come era stato stabilito. Piuttosto saranno costretti ad aspettare al largo della Nuova Guinea per giorni e giorni, in attesa del verdetto della Corte federale australiana.
Arrivare a Port Moresby significava per i profughi riuscire prima di tutto a scendere a terra, cosa che ormai deve sembrar loro un miraggio. E poi voleva dire partire o per la Nuova Zelanda (le famiglie) o per l'isola Nauru della Micronesia. Entrambe non sono Australia, la vera meta, ma sono almeno un posto dove avere asilo politico. Anche questa speranza però sembra svanire, e il peggio è che probabilmente loro lo ignorano. Non è bastato, quindi, che gli immigrati, ora a bordo della Manoora, la nave militare australiana, trascorressero sino ad oggi 12 giorni in mezzo alle onde (ma saranno due settimane se arrivano lunedì o quasi 20 giorni se ci sarà mare mosso). Ora li si fa stare in attesa in mezzo all'oceano Pacifico sinché la solita diplomazia "ingessata" non si sbloccherà. Inizialmente i giudici della corte avevano dichiarato che entro mercoledì scorso avrebbero emesso una sentenza sulle responsabilità dell'Australia, ma probabilmente la complessità della vicenda e le conseguenze che un verdetto di colpevolezza scatenerebbero, hanno paralizzato tutto. Se l'Australia dovesse essere dichiarata responsabile di omissione di soccorso umanitario nei confronti dei 433 profughi, la sua pena sarà quella di doverli ospitare tutti, dando loro asilo politico.
Intanto gli immigrati, tra cui più di quaranta bambini e due donne incinte, sembrano essere in buone condizioni di salute, anche perché a bordo della Manoora è allestito un ospedale, il primo in cui hanno potuto mettere piede dopo giorni di viaggio.
In un progetto anti-immigrazione ferreo e svincolato dai doveri umanitari internazionali per fortuna sinora ci crede solo l'Australia tanto che anche l'Indonesia, nella quale sperava di trovare un'alleata, le ha sbattuto la porta in faccia. Nei giorni scorsi tre ministri australiani erano a Giakarta con il fermo intento di convincere il governo a costruire un campo di detenzione per clandestini, finanziato dall'Australia, dove questi potessero essere tenuti in attesa di esaminare le domande di asilo. Ma il ministro degli esteri indonesiano Hassan Wirayuda ha respinto la proposta, accettando invece l'idea di costruire sì dei centri, ma di accoglienza.
Ora l'attenzione internazionale è tutta sui profughi. Sulla Manoora c'è una donna incinta di 8 mesi. Chissà se riuscirà a far nascere il suo bambino in terraferma.

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