28 Giugno 2001
 
 
I mille colori della "zona rossa"
Il G8 raccontato dal centro storico genovese, in contatto diretto con il sud del mondo. Pronto a riprendersi la piazza
" E CINZIA GUBBINI - GENOVA

'un casino, un casino...", ripete Modou Djop, senegalese genovese, riferendosi al G8. Versa un caffé aromatizzato nei bicchieri di vetro, ci sediamo sul suo letto ripiegato a divano, parliamo piano. Altri sei senegalesi dormono nelle stanze chiuse, dalle porte spuntano asciugamani colorati. "Ma se fermano le stazioni per cinque giorni, come ci arrivo in spiaggia per vendere?", si preoccupa Modou. A due passi da via Pré, la via del centro storico genovese dove è più densa la presenza di immigrati, c'è la stazione Principe, non troppo lontano c'è quella di Brignole. Significano lavoro, libertà di spostamento, sopravvivenza, ma probabilemnte tra meno di venti giorni le due stazioni saranno blindate, presidiate dalla poliza, come tutto il centro storico. "Farò come gli altri, me ne vado, ma alla manifestazione del 19 ci sarò, quella non me la perdo", dice Modou, e l'amico annuisce. "E' un problema soprattutto per gli immigrati senza permesso di soggiorno, e ce ne sono tanti a Genova. Noi siamo regolari e il pass per i residenti dovrebbero darcelo. Ma comunque non conviene restare qui", spiegano.

Gli immigrati fanno centro

La questione è proprio brutta se si pensa che gli immigrati di Genova la casa se la sono conquistata, storicamente. Da queste parti la battaglia degli stranieri per affermare i diritti di cittadinanza ha radici lontane, e per questo la "marcia dei migranti" del 19 si prospetta come un appuntamento speciale. L'ultimo scossone l'hanno dato proprio i senegalesi, non più di un mese fa. I vigili urbani hanno cercato di sgomberare il palazzo dove abita Modou. La risposta è stata netta: occupazione della strada per quattordici ore, con centinaia di senegalesi, nigeriani, marocchini testardamente seduti sull'asfalto. "Pare che il comune abbia perso 36 milioni" se la ride Hassan N'Diaye, presidente dell'associazione senegalese. Certo il palazzo così duramente difeso fa un po' schifo: i muri sono umidi, l'impianto elettrico è alla frutta, la cucina è arrangiata alla meno peggio. Tutto questo per l'esorbitante cifra di 1.400.000 lire al mese di affitto, che i senegalesi dividono in sette persone riuscendo a sbarcare il lunario abbastanza agevolmente. Ma se dovessero cercare una casa normale, allora no, non ce la farebbero di certo. Funziona così: gli immigrati hanno fatto rivivere il centro storico di Genova abbandonato dagli autoctoni e in cambio se lo gestiscono come possono, rifiutando i diktat del Comune che li vorrebbe sgomberare per provare a convincere i propietari a ristruttare, e per "ripulire" le vie del centro. Il centro di Genova, la zona rossa, è loro, che costituiscono circa un terzo della popolazione rimasta in queste viuzze squarciate dal sole e riparate dal vento e portano avanti la storia genovese, che è fatta di incontri tra popoli e culture. Lo vedi persino dai nomi delle strade: vicolo Casana o piazza Raibetta, che in arabo significano rispettivamente "tesoro" e "dove si vende il grano". Salendo e scendendo, esplorando il centro storico più esteso d'Europa, si incontrano gli africani, i cinesi, i sudamericani, qualche genovese e molti italiani che si chiamano Ciro. Perché dove adesso è approdato il sud del mondo tanto tempo prima è approdato il sud d'Italia. All'inizio di via Pré ti accoglie una scritta: "Forza Napoli". Poco più in là, sotto le impalcature vecchie di anni, il Comune ha fatto affiggere le segnalazioni: "Pericolo di crollo". In italiano, inglese, francese. E arabo.

Global zone

Qui a Genova le macellerie "italiane" si affiancano a quelle musulmane, nel negozio cinese si trovano le collanine africane, la signora nigeriana esce dal portone con la sedia imbottita e apre il telo con la mercanzia da tutto il mondo, i call center espongono i cartelloni con le tariffe più convenienti per chiamare al di là del mare. Tutto questo si ritirerà in buon ordine per una settimana, gli immigrati progettano il trasferimento "almeno" nella zona gialla, ma molti di loro se ne andranno fuori città per evitare i martellanti controlli della polizia, a cui non basterà mostrare il permesso di soggiorno, ma anche il pass. Una vera e propria espropriazione, di ordine simbolico prima ancora che pratico, e che altrettanto simbolicamente sbotterà in faccia agli otto grandi che per una settimana colonizzeranno Genova. Accadrà il 19 luglio, il giorno della manifestazione dei migranti. Da mesi ci lavorano alacremente quelli di Città aperta, l'associazione che da dieci anni raccoglie le voci della contaminazione genovese.

Clandestino tra i clandestini

Nata dopo gli scontri che macchiarono Genova nel luglio del '93, quando nel centro storico per alcuni giorni vennero organizzate vere e proprie "ronde anti-immigrati", Città aperta ha insistito perché le contestazioni contro il G8 si aprissero proprio con la giornata degli immigrati, la cui parola d'ordine sarà: "libertà di circolazione". "A Genova gli immigrati hanno scandito la vita della città, e in alcuni momenti l'hanno determinata - spiega Roberto Demontis, di Città aperta - nel momento in cui Genova sarà sotto gli occhi di tutti, la cosa più naturale è che gli immigrati partecipino. Sono loro i primi protagonisti degli effetti perversi della globalizzazione: libera circolazione delle merci e non delle persone, asse portante dell'economia e contemporaneamente svuotati di ogni diritto". Ad aprire la marcia sarà nientemeno che Manu Chao: a bordo di un furgoncino suonerà la sua chitarra, "clandestino tra i clandestini". E gli immigrati ci stanno. Giriamo per Genova chiedendogli a bruciapelo "E il 19?", proprio mentre loro traslocano lontano dal G8. "Io non ho paura, e ci sarò di certo - risponde sicura Rahma, marocchina fondatrice dell'associazione Al. Nissa, che significa in arabo "Le donne" - la globalizzazione finora è stata uno strumento in mano ai paesi ricchi, i paesi poveri sono esclusi e noi ne siamo testimoni". "Un po' di paura ce l'ho, vorrei che questo G8 non si facesse - dice Hassan N'Diaye - ma visto che vengono in questa città, saremo in tanti. Io vengo dal Senegal, un paese che ha contribuito tantissimo alla storia europea. Eravamo nelle fila dell'esercito francese durante la I e la II guerra mondiale, abbiamo avuto deputati in Francia, grandi intellettuali. Eppure, dopo tutti questi anni, le cose non sono mica cambiate. Questa è la globalizzazione: in Senegal nonostante l'indipendenza siamo indifesi dagli "affondi" economici della Francia, della Germania, degli Stati uniti, per non parlare del Fondo monetario internazionale. Ma nonostante tutto, sappiamo cos'è la democrazia, e il 19 saremo in piazza".
1-continua