I mille colori della "zona
rossa" Il G8 raccontato dal centro storico genovese, in
contatto diretto con il sud del mondo. Pronto a riprendersi la
piazza " E CINZIA GUBBINI - GENOVA
'un casino, un casino...", ripete Modou Djop,
senegalese genovese, riferendosi al G8. Versa un caffé
aromatizzato nei bicchieri di vetro, ci sediamo sul suo letto
ripiegato a divano, parliamo piano. Altri sei senegalesi
dormono nelle stanze chiuse, dalle porte spuntano asciugamani
colorati. "Ma se fermano le stazioni per cinque giorni, come
ci arrivo in spiaggia per vendere?", si preoccupa Modou. A due
passi da via Pré, la via del centro storico genovese dove è
più densa la presenza di immigrati, c'è la stazione Principe,
non troppo lontano c'è quella di Brignole. Significano lavoro,
libertà di spostamento, sopravvivenza, ma probabilemnte tra
meno di venti giorni le due stazioni saranno blindate,
presidiate dalla poliza, come tutto il centro storico. "Farò
come gli altri, me ne vado, ma alla manifestazione del 19 ci
sarò, quella non me la perdo", dice Modou, e l'amico annuisce.
"E' un problema soprattutto per gli immigrati senza permesso
di soggiorno, e ce ne sono tanti a Genova. Noi siamo regolari
e il pass per i residenti dovrebbero darcelo. Ma
comunque non conviene restare qui", spiegano.
Gli immigrati fanno centro
La questione è proprio brutta se si pensa che gli immigrati
di Genova la casa se la sono conquistata, storicamente. Da
queste parti la battaglia degli stranieri per affermare i
diritti di cittadinanza ha radici lontane, e per questo la
"marcia dei migranti" del 19 si prospetta come un appuntamento
speciale. L'ultimo scossone l'hanno dato proprio i senegalesi,
non più di un mese fa. I vigili urbani hanno cercato di
sgomberare il palazzo dove abita Modou. La risposta è stata
netta: occupazione della strada per quattordici ore, con
centinaia di senegalesi, nigeriani, marocchini testardamente
seduti sull'asfalto. "Pare che il comune abbia perso 36
milioni" se la ride Hassan N'Diaye, presidente
dell'associazione senegalese. Certo il palazzo così duramente
difeso fa un po' schifo: i muri sono umidi, l'impianto
elettrico è alla frutta, la cucina è arrangiata alla meno
peggio. Tutto questo per l'esorbitante cifra di 1.400.000 lire
al mese di affitto, che i senegalesi dividono in sette persone
riuscendo a sbarcare il lunario abbastanza agevolmente. Ma se
dovessero cercare una casa normale, allora no, non ce la
farebbero di certo. Funziona così: gli immigrati hanno fatto
rivivere il centro storico di Genova abbandonato dagli
autoctoni e in cambio se lo gestiscono come possono,
rifiutando i diktat del Comune che li vorrebbe sgomberare per
provare a convincere i propietari a ristruttare, e per
"ripulire" le vie del centro. Il centro di Genova, la zona
rossa, è loro, che costituiscono circa un terzo della
popolazione rimasta in queste viuzze squarciate dal sole e
riparate dal vento e portano avanti la storia genovese, che è
fatta di incontri tra popoli e culture. Lo vedi persino dai
nomi delle strade: vicolo Casana o piazza Raibetta, che in
arabo significano rispettivamente "tesoro" e "dove si vende il
grano". Salendo e scendendo, esplorando il centro storico più
esteso d'Europa, si incontrano gli africani, i cinesi, i
sudamericani, qualche genovese e molti italiani che si
chiamano Ciro. Perché dove adesso è approdato il sud del mondo
tanto tempo prima è approdato il sud d'Italia. All'inizio di
via Pré ti accoglie una scritta: "Forza Napoli". Poco più in
là, sotto le impalcature vecchie di anni, il Comune ha fatto
affiggere le segnalazioni: "Pericolo di crollo". In italiano,
inglese, francese. E arabo.
Global zone
Qui a Genova le macellerie "italiane" si affiancano a
quelle musulmane, nel negozio cinese si trovano le collanine
africane, la signora nigeriana esce dal portone con la sedia
imbottita e apre il telo con la mercanzia da tutto il mondo, i
call center espongono i cartelloni con le tariffe più
convenienti per chiamare al di là del mare. Tutto questo si
ritirerà in buon ordine per una settimana, gli immigrati
progettano il trasferimento "almeno" nella zona gialla, ma
molti di loro se ne andranno fuori città per evitare i
martellanti controlli della polizia, a cui non basterà
mostrare il permesso di soggiorno, ma anche il pass.
Una vera e propria espropriazione, di ordine simbolico prima
ancora che pratico, e che altrettanto simbolicamente sbotterà
in faccia agli otto grandi che per una settimana
colonizzeranno Genova. Accadrà il 19 luglio, il giorno della
manifestazione dei migranti. Da mesi ci lavorano alacremente
quelli di Città aperta, l'associazione che da dieci
anni raccoglie le voci della contaminazione genovese.
Clandestino tra i clandestini
Nata dopo gli scontri che macchiarono Genova nel luglio del
'93, quando nel centro storico per alcuni giorni vennero
organizzate vere e proprie "ronde anti-immigrati", Città
aperta ha insistito perché le contestazioni contro il G8
si aprissero proprio con la giornata degli immigrati, la cui
parola d'ordine sarà: "libertà di circolazione". "A Genova gli
immigrati hanno scandito la vita della città, e in alcuni
momenti l'hanno determinata - spiega Roberto Demontis, di
Città aperta - nel momento in cui Genova sarà sotto gli
occhi di tutti, la cosa più naturale è che gli immigrati
partecipino. Sono loro i primi protagonisti degli effetti
perversi della globalizzazione: libera circolazione delle
merci e non delle persone, asse portante dell'economia e
contemporaneamente svuotati di ogni diritto". Ad aprire la
marcia sarà nientemeno che Manu Chao: a bordo di un furgoncino
suonerà la sua chitarra, "clandestino tra i clandestini". E
gli immigrati ci stanno. Giriamo per Genova chiedendogli a
bruciapelo "E il 19?", proprio mentre loro traslocano lontano
dal G8. "Io non ho paura, e ci sarò di certo - risponde sicura
Rahma, marocchina fondatrice dell'associazione Al.
Nissa, che significa in arabo "Le donne" - la
globalizzazione finora è stata uno strumento in mano ai paesi
ricchi, i paesi poveri sono esclusi e noi ne siamo testimoni".
"Un po' di paura ce l'ho, vorrei che questo G8 non si facesse
- dice Hassan N'Diaye - ma visto che vengono in questa città,
saremo in tanti. Io vengo dal Senegal, un paese che ha
contribuito tantissimo alla storia europea. Eravamo nelle fila
dell'esercito francese durante la I e la II guerra mondiale,
abbiamo avuto deputati in Francia, grandi intellettuali.
Eppure, dopo tutti questi anni, le cose non sono mica
cambiate. Questa è la globalizzazione: in Senegal nonostante
l'indipendenza siamo indifesi dagli "affondi" economici della
Francia, della Germania, degli Stati uniti, per non parlare
del Fondo monetario internazionale. Ma nonostante tutto,
sappiamo cos'è la democrazia, e il 19 saremo in
piazza". 1-continua
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