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10 CULTURA
2011.10.13
  • TAGLIO MEDIO di Piero Fossati
    Classi nuove / «NOI DOMANI» DI VINICIO ONGINI, VIAGGIO NELLA SCUOLA DI OGGI (E NELLA SOCIETÀ DEL FUTURO)
    Nel quotidiano confronto tra culture differenti una ricchezza per «autoctoni» e «stranieri»
    Gli insegnanti e i dirigenti mettono in campo le loro abilità senza lasciarsi paralizzare dalle insipienze e dal disinteresse delle politiche scolastiche

     

    Vinicio Ongini è una autorità in materia di scuola (è stato maestro per vent'anni) e di interazioni culturali (lavora attualmente all'Ufficio integrazione stranieri del Ministero dell'Istruzione) - autorità, una volta tanto, competente e intelligente. Scrittore di racconti e di saggi, nel recentissimo Noi domani (Laterza, pp. 170, euro 15, sarà presentato lunedì 17 ottobre a Roma, presso la Libreria Feltrinelli di via Vittorio Emanuele Orlando con la partecipazione di Tullio De Mauro e Mario Casari) Ongini accompagna i lettori in sedici tappe attraverso la scuola italiana, là dove, lontano dalle luci della cronaca e dal mal di pancia dei nostalgici della selezione fin dalla culla, si sta attuando una sorprendente interacculturazione in forme varie e con strumenti diversi come diversi sono i 750 000 alunni con cittadinanza non italiana (l'8 e ½ per cento dell'intera popolazione scolastica) sparsi nelle quasi 58 000 scuole della penisola.
    La presenza di stranieri - rilevante in alcuni casi, modesta o poco avvertita in molti, sconosciuta in moltissimi, artatamente drammatizzata dai media e da schieramenti politici che speculano sulle paure della gente - potrebbe rappresentare un vantaggio per tutti oltrepassando l'ottica dell'integrazione: l'interazione tra culture diverse è un dare e un avere, introduce gli stranieri nell'orizzonte culturale italiano e arricchisce nello stesso tempo quello degli «autoctoni». Così, in una scuola genovese le favole di Fedro, rigorosamente in latino, rappresentano una base linguistica che incontra la soddisfazione di alunni eredi di una multiculturalità da antico impero romano. A Lecce è il Viaggio nella Costituzione, con fumetti e dialoghi tra Moro e Di Vittorio, a far apprezzare il senso di appartenenza. A Brà cucina e tradizioni culinarie creano i Fornelli d'Italia, e se alla «Casa del Sole» di Milano il laboratorio linguistico di italiano fa la parte del leone, a Firenze sono costanti gli scambi di alunni con la Cina e Gloria può descrivere una lezione di matematica e di scienze nella classe di Han a Wenzhou. A Bordolano, provincia di Cremona, il progetto interculturale è «un viaggio dentro i matrimoni dei diversi Paesi con le musiche, i vestiti, i cibi, i filmini fatti in casa, i rituali» di «alunni italiani, indiani, marocchini, albanesi e le loro famiglie». E la numerosa comunità Sikh ne è l'anima.
    I progetti di interscambio culturale coinvolgono istituzioni, iniziative private, volontariato, abitanti dei quartieri: ma tutto ruota attorno alla scuola. Il successo delle iniziative ridimensiona l'idea di una scuola allo sbando: i brillanti risultati scaturiscono dal gusto e dall'impegno delle scelte, dall'intelligenza delle vie individuate, dalla professionalità che non ha bisogno di piangersi addosso o di rifugiarsi nella geremiade del buon tempo antico, quando i Pierini erano così «bravi». Nelle classi di Noi domani ci sono Ahmed, Kevin, Sokol, Adrisa, Xhensilda, Sharon, Joel, Fransua, Diego, Ivan, Sara...
    Alunni al centro, ma dalle pagine di Ongini balzano fuori insegnanti e dirigenti: è il loro entusiasmo a dare il tocco magico alla vita scolastica. E non si sentono «maestrine dalla penna rossa»: sono professionisti che mettono in campo abilità e competenze senza lasciarsi paralizzare dalle inadempienze, dalle insipienze e dal sostanziale disinteresse di una politica scolastica che ha il suo massimo rappresentante in un ministro che non prova vergogna nell'aver seguito vie tortuose per sfuggire all'impegno dello studio. Professionisti che avvertono e denunciano con lucidità l'inettitudine di una società che dalla scuola vorrebbe la palingenesi dei costumi ma che è restia ad aprire il portafoglio. Professionisti che si rimboccano le maniche e riscoprono il piacere intellettuale di svecchiare i sentieri della sperimentazione didattica con intelligente originalità: la curiosità nella ricerca, la laicità con cui guardare alle esperienze «altre», il rispetto per la persona e la comprensione per situazioni diverse, la vertigine di dare veste alla mescolanza di culture sono altrettante prove delle possibilità della nostra scuola. Sono i migliori eredi dei vecchi «maestri» (i Lodi, i Bernardini, i Ciari, i Rodari) e delle pattuglie Mce (Movimento di cooperazione educativa, più volte ricordato nelle pagine di Ongini) che nel plumbeo clima democristiano costruirono la scuola della nuova Italia.
    Sembra cadere a proposito il richiamo al tempo in cui gli insegnanti avevano a che fare con alunni meno impastoiati da genitori ansiosi e iperprotettivi e da una società intrusiva: «I bambini stranieri hanno meno sovrastrutture, sono lasciati essere più bambini, mi risponde una maestra, e un'altra aggiunge: I bambini stranieri sono un po' come quelli di una volta...». Il rapporto con gli altri fa scoprire doti e comportamenti dimenticati. «Ho pensato che la nostra società è messa proprio male se abbiamo bisogno che l'autorità dica a noi 'cittadini bambini', che se fa caldo bisogna bere e stare all'ombra. È tempo di tornare ad essere responsabili e di insegnare ai nostri figli ad essere coraggiosi e indipendenti».
    Il paragone con il passato spinge a qualche cautela: anche allora obiettivi di socializzazione furono raggiunti con risultati soddisfacenti ed è certamente vero che da allora gli scolari vanno alla scuola dell'obbligo con minori ansie relazionali. Ma la storia ha dimostrato che le esperienze gratificanti non sono sufficienti a emancipare dallo svantaggio culturale se non si saldano a un «dopo» capace di accogliere e rafforzare i saperi che hanno iniziato a costruirsi.

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