il manifesto
18 Luglio 2008
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CULTURA & VISIONI

apertura seconda
SAGGI · Una riflessione di Salvatore Bono sul Mediterraneo
Prove di integrazione dentro il mare interno
Giampaolo Calchi Novati

Stando all'uso che ne fa la politica, il Mediterraneo rischia di apparire un tema banale ed è sempre sul punto di ridursi a luogo deputato per gli esercizi della peggiore retorica. A giudicare dalla letteratura che ne tratta a un livello più approfondito di ricerca, invece, il Mediterraneo - oltre a molti campi d'indagine appassionanti - offre spunti vigorosi che una politica meglio orientata e motivata potrebbe trasformare in oro. Se ne è già parlato presentando il volume curato da Franco Cassano e Danilo Zolo ( L'alternativa mediterranea , Feltrinelli) ed è il caso anche di un volume uscito di recente per l'editrice Salerno, Un altro Mediterraneo di Salvatore Bono. Se la ricerca di Cassano e Zolo si muove soprattutto fra diritto e sociologia, il contributo di Bono verte di più sulla storia, e appunto alla storia chiede l'ispirazione di una politica che finalmente metta in pratica - in una parte del mondo che come poche altre è stata caratterizzata oggettivamente da conflitti culturali e religiosi - l'ideale della ricomposizione e riconciliazione definitiva fra Oriente e Occidente. Il Mediterraneo è effettivamente uno spazio di incontro più che di unità. Se mai, la pur dotta argomentazione di Bono, più attento forse alla storia nella sua versione di storiografia o storia delle idee che alla storia come successione di eventi, obiettivi e trasformazioni, dà l'impressione di prestare troppa fiducia al lato giusto della storia sottovalutando le fratture che - cominciando dall'avvento dell'islam su cui insiste l'analisi di Henri Pirenne in un libro ormai classico ( Maometto e Carlo Magno , 1937) e arrivando alla war on terror di oggi - hanno tormentato il mare interno per eccellenza. Il patrimonio di riferimento di Salvatore Bono è l' opera omnia di Fernand Braudel e soprattutto il suo testo più famoso ( Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II , uscito nel 1949). C'è la possibilità così di affiancare ai fattori più propriamente ideali i robusti fattori materiali che rimandano alla produzione e ai commerci. Lo schema è lo stesso che è stato ripreso dal Patto di Barcellona nel 1995, che doveva appunto stabilire un partenariato euro-mediterraneo sfruttando gli scambi di merci, di capitali e di uomini. Alla prova dei fatti però quella politica è fallita. L'interazione non era abbastanza forte o abbastanza equilibrata. La frattura del colonialismo - ma anche quella del nazionalismo che gli ha posto fine, dotato a sua volta di un carattere esclusivista - ha stabilito un rapporto di dominio che si prolunga nella cultura, nella percezione dell'Altro, e che ovviamente perpetua uno squilibrio a cui l'Europa non è pronta a rinunciare. Volutamente o meno, lo stesso progetto di Barcellona soffriva di una venatura paternalistica che sacrificava a una pretesa liberalizzazione gli interessi, almeno in questa fase, dei paesi più deboli. In un contesto pesantemente marcato dalle asimmetrie tipiche del rapporto centro-periferia ci sono le condizioni minime per una cooperazione alla pari? L'approdo della storia comune, per rimanere negli ambiti che sono cari a Bono, è l'integrazione parallela e in qualche misura reciproca in un flusso che si sintetizza nell'accesso alla modernità. Dall'esportazione del capitalismo in poi quella storia ha un segno ben definito. Le colonie dell'antichità, ma anche nella prima metà del XIX secolo, svolgevano una funzione di vicinato e avvicinamento, ma in epoca coloniale sono diventate uno strumento di prelievo e alienazione. La vite, l'olivo e la palma hanno ceduto al primato del petrolio. Con gli stessi risultati? Già nella loro tipologia il turismo e le migrazioni danno il segno della disparità. Il cosmopolitismo si è inaridito ovunque. La convivenza fra le tre grandi religioni monoteistiche basate su testi scritti, penetrate in epoche diverse nel Mediterraneo sempre lungo la direttrice est-ovest, è stata avvelenata non tanto dai principi di fede di ciascuna di esse ma proprio dalla contrapposizione fra le idee di progresso che le varie civiltà hanno promosso. Con l'inconveniente non da poco che l'universo arabo-islamico, se non accetta di adeguarsi all'omologazione della sola modernità «reale», è sospinto verso un'opposizione identitaria che sconfina nell'integralismo. La fuoriuscita dal sottosviluppo è il perno della storia del Mediterraneo. L'industrializzazione e urbanizzazione si sono realizzate con effetti unificanti. Ma per le forze dominanti la globalizzazione non è negoziabile. È precisamente questo il vulnus attorno a cui si è scatenata la guerra nelle due direzioni. D'altra parte, con tutte le sue buone intenzioni, che lo portano anche a non credere nello stereotipo della «culla», Bono non fa che proporre alla fine una cooptazione nella logica liberal-democratica sotto la spinta propulsiva di Bruxelles più che un allargamento in grado di conoscere e riconoscere le esigenze di tutti. Infine, un tema che sta molto a cuore a Bono è il confine esterno del Mediterraneo. La tendenza è alla grande dimensione per stemperare le tensioni e utilizzare tutte le risorse della storia per la sua concezione di «mediterraneità». Con queste premesse riesce difficile capire l'esclusione degli Stati Uniti. L'Atlantico si è infatti ormai insediato nel Mediterraneo con le basi, le flotte e la semi-occupazione Usa di molti territori. Con il risultato, tuttavia, di appannare la specificità che dovrebbe fare del Mediterraneo un polo euro-arabo a sé capace di svincolarsi dall'egemonismo americano.
LIBRI: UN ALTRO MEDITERRANEO. UNA STORIA COMUNE FRA SCONTRI E INTEGRAZIONI DI SALVATORE BONO, SALERNO EDITRICE , PP. 352, EURO 21


 
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