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il manifesto
31 Agosto 2006
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Mezzo secolo dopo, le ferite di Marcinelle
Marina Zenobio
 
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CULTURA pagina 13

taglio basso

Mezzo secolo dopo, le ferite di Marcinelle
Un volume pubblicato dal ministero degli Esteri rievoca la tragedia che costò la vita a 262 minatori e mette in luce nodi ancora irrisolti
Marina Zenobio
È trascorso mezzo secolo dalla tragedia nella miniera di carbone Bois de Cazier, a Marcinelle - da quando più di duecento famiglie piansero padri, fratelli, mariti: 262 minatori morti, 136 italiani ai quali bisognerebbe aggiungere i successivi decessi per silicosi. Anche il ministero degli Esteri ha commemorato quel drammatico evento con la pubblicazione del volume 8 agosto 1956/2006 Marcinelle, cinquant'anni dopo, con immagini e testimonianze di alcuni dei minatori che, all'epoca della tragedia, vivevano in Belgio. Tra questi Silvio Di Luzio, uno degli «eroi sconosciuti», rimasto chiuso per due mesi nella centrale di salvataggio, insieme ad altri diciassette minatori addetti ai soccorsi. Due mesi, il tempo necessario per raggiungere la galleria più profonda, a 1035 metri di profondità, e scoprire che tutti erano morti. Ritroveremo Di Luzio nel 1985 tra i fondatori dell'Associazione ex minatori di Marcinelle nata per ricordare e dare una mano ai pochi sopravvissuti, alle vedove, agli orfani. Anche Adriano Biffi nato a Casalmaggiore nel '27, emigrò in Belgio subito dopo la guerra. E tocca a lui rievocare le urla dei caporali che li aspettavano alla stazione di Charleroi: «Cinque a me! dieci a me! ci smistavano quasi come bestie».
La voce narrante di Giuseppe Chiesa, nato a Vicobellignano nel 1914 e morto per silicosi nell'88, è invece quella della moglie, Amelia Alberti: «Mio marito si salvò perché lavorava al turno di pomeriggio mentre il disastro avvenne di mattina. La nostra casa era costituita da una cucina, una camera da letto e, di sotto, la cantina dove tenevamo il carbone. Il bagno era fuori. Eravamo distanti 2-3 chilometri dalla miniera e Giuseppe andava al lavoro con il tram o con la sua lambretta verde».
Ricordi toccanti, che provocano anche sentimenti di rabbia. Molti di quegli uomini - scrive il viceministro alla Farnesina Franco Danieli - erano reduci di guerra e dai campi di concentramento, avevano già conosciuto sofferenza, sacrifici e lontananza dal paese. Nessuno aveva esperienza in miniera ma né lo Stato né l'impresa se ne preoccuparono; dal 1946 al 1956 oltre seicento minatori italiani persero la vita nelle miniera in Belgio, investire sulla sicurezza era «antieconomico». Come osserva Tiziano Treu, presidente della commissione lavoro al Senato, il ricordo di Marcinelle deve richiamare due grandi questioni sociali tuttora irrisolte: le regole del lavoro e della sicurezza sui posti di lavoro, la funzione dell'Europa per migliorarle.
Nella seconda parte, il libro si trasforma in un racconto fotografico con una struttura narrativa cronologica: accompagnate da alcune riproduzioni di Van Gogh e dai paesaggi minerari del pittore Giuseppe Flangini, rivediamo le immagini dell'arrivo dei primi migranti in Belgio, le baracche dove si sistemavano, il lavoro in miniera, la tragedia. Le foto più recenti, di Marina Cavazza, ritraggono familiari, ancora in vita, delle vittime di Marcinelle. «La storia di una tragedia che è storia contemporanea perché aperta e incompiuta» sottolinea ancora Danieli, «in un'Italia dove, per incidenti sul lavoro muoiono circa 1400 persone ogni anno. E le condizioni sono drammaticamente peggiori in continenti come Africa, Asia e nell'Est europeo, dove si concentra la maggior parte dei 246 milioni di bambine e bambini costretti a lavorare».

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