il manifesto - 17 Ottobre 2003
Genova, città migrante
Dai due lati opposti del nord Italia Genova e Venezia lavorano a garantire il diritto di voto a tutti i residenti, stranieri o no, entro le prossime elezioni amministrative. La modifica del regolamento comunale di Venezia arriverà al voto entro la fine dell'anno. «E' il compimento di un percorso che è partito dai diritti sociali per arrivare a quelli politici», spiega Beppe Caccia. A Genova il merito di aver partorito l'idea, due anni fa dopo la delusine della Turco-Napolitano. La proposta sfruttando il titolo quinto della Costituzione e le leggi sui diritti di cittadinanza dell'Ue
SARA MENAFRA
Alla notizia che Fini era passato dall'altra parte della barricata alcuni di loro si sono lasciati prendere dal panico. Dallo scorso giugno i consiglieri comunali genovesi di An raccolgono firme per ostacolare la proposta di voto agli immigrati attualmente in discussione nella Commissione Statuto del consiglio. Sono rimasti accanto ai loro banchetti per tutta la torrida estate passata, pur di manifestare il loro scontento, e fino alla settimana scorsa stavano ancora organizzando la campagna d'autunno, quando è arrivata la ferale notizia. «Qualcuno ci ha detto esplicitamente che secondo lui Fini poteva andare a quel paese, gli altri sono piuttosto spaesati e ancora adesso non abbiamo capito quale linea hanno intenzione di tenere al momento della discussione in consiglio», racconta Massimiliano Morettini, consigliere comunale e presidente dell'Arci Liguria, che ha presentato il primo documento di indirizzo, votato lo scorso 16 settembre. Anche se la storia ricorderà che il primo comune ad aver dato il voto agli immigrati è stato Delia in provincia di Caltanissetta, dove la giunta ha approvato una bozza all'inizio della settimana, qui a Genova di allargare il diritto di voto a tutti i residenti si discute da almeno due anni. La prima idea l'aveva messa nero su bianco l'associazione Città aperta almeno dieci anni fa «L'avevamo inserita nello statuto dell'associazione - dice Roberto De Montis - ma era una cosa così, molto in generale». Poi Livia Turco promise che nella sua legge sull'immigrazione ci sarebbero state sia la sanatoria che il diritto di voto. La prima proposta non andò in porto, perché il centro sinistra temeva di perdere le elezioni sul tema della sicurezza, e la seconda nemmeno, perché modificare la Costituzione, come adesso farà An, sembrava troppo difficile. E allora, passato anche il g8, i genovesi si sono messi a scartabellare le leggi ad una ad una finché è venuto fuori che il diritto di voto si può dare anche sfruttando semplicemente la riforma del titolo quinto della Costituzione (quello che dà poteri legislativi anche alle amministrazioni locali) e la legge europea che permette a tutti i cittadini comunitari di ottenere il diritto di voto dal giorno stesso in cui cambiano la loro residenza.

L'idea ha convinto anche le associazioni di immigrati, la Cgil e l'Arci, e dalla scorsa estate sono partiti gli incontri con il sindaco Pericu e con il resto della maggioranza. «Ci abbiamo lavorato molto e altrettanto dobbiamo ancora discutere - dice Morettini - anche perché temevamo che una volta approvata la modifica dello statuto, il governo l'avrebbe impugnata. Certo a questo punto diventa tutto più semplice». L'obiettivo è portare al voto tutti i residenti all'ombra della Lanterna per le elezioni del 2007. «Saremo i primi in assoluto a garantire il voto a tutti», dice convinto Marco Roverano, responsabile del centro diritti della Cgil di Genova.

Dall'altra parte del nord Italia lo smentisce Beppe Caccia, assessore all'immigrazione di Venezia. «Da noi si vota nella primavera del 2005, per quella data i diritti elettorali attivi e passivi saranno garantiti a tutti gli immigrati». L'assessore verde spiega che per loro il diritto di voto agli immigrati sarà solo il compimento di un percorso più ampio, che parte dai diritti sociali, come quello alla casa e alla sanità, per arrivare ai riconoscimenti civili e politici. Un'idea ben diversa da quella di Fini perché stabilisce che i diritti non sono vincolati né al lavoro né a nessun altro parametro sociale o economico. Il compito di scrivere il testo che la giunta comunale porterà direttamente in consiglio, probabilmente entro l'anno, spetta proprio a Beppe Caccia: «Abbiamo stabilito che potranno votare solo i residenti da almeno due anni perché questo limite è anche quello contenuto nella Carta europea dei diritti di cittadinanza che abbiamo promosso insieme a Barcellona e Saint Denis nel 1998».

Entrambe le ex repubbliche marinare guardano con orrore alla proposta di Fini, che limita il voto secondo parametri strettissimi. Ma storcono il naso anche all'istituzione di consiglieri comunali aggiunti, votata nei giorni scorsi sia dal comune che dalla provincia di Roma (che però si è impegnata a lavorare anche sul voto amministrativo). Negli anni scorsi i consiglieri aggiunti sono stati eletti a anche nelle province di Modena e Rimini e nei comuni di Ravenna e Terni, mentre a Firenze si voterà il mese prossimo. Gli «aggiuntivi» però hanno poteri limitati e finiscono per non incidere né sui programmi elettorali né sulle decisioni delle amministrazioni. Per commentarla con il genovese De Montis: «Belin, anche Fini osa di più».