il manifesto - 17 Ottobre 2003
Dietro Fini
RICCARDO BARENGHI
Eadesso stiamo tutti lì a ringraziare Gianfranco Fini per il suo coraggio politico, la determinazione, la mossa sorprendente capace di spiazzare la sua stessa maggioranza, portandola sull'orlo di una crisi di governo. E su cosa poi, su un parzialissimo diritto di voto per alcuni immigrati residenti in Italia. Intendiamoci, che la mossa politica del capo di An non fosse rimasta un'enunciazione ma sia diventata una proposta di legge costituzionale, è un fatto importante. Non solo per il merito di questa proposta ma anche perché rompe un tabù che nessuno finora aveva voluto rompere, tantomeno il centrosinistra che oggi segue Fini come i marinai la stella polare. E che questo tabù lo abbia rotto il leader del partito post o para o ex fascista non è solo un paradosso, è un qualcosa che rimette in movimento la geografia politica della cosiddetta seconda repubblica già parecchio movimentata. Non a caso, la destra di governo sta subendo la sua crisi di unità e identità più profonda dal suo avvento al potere due anni e mezzo fa. Non a caso, si parla di grandi manovre, di un Bossi sconfitto che prima o poi sarà costretto a lasciare, di un asse antileghista (ma in realtà antiberlusconiano) tra Alleanza nazionale e i democristiani di Casini e Follini. Si è aperta insomma una nuova strada della vicenda politica italiana che al momento non si sa dove porterà né se verrà percorsa o sbarrata dopodomani,. Ma per ora esiste ed è una novità politica che potrebbe prima o poi rivoluzionare quella invincibile armata che vinse le elezioni del 2001.

Stiamo parlando ovviamente di avversari politici, di gente che governa come sappiamo, dalle leggi ad personam alla progressiva cancellazione dello stato sociale, dai diritti negati alle pensioni tagliate, dall'americanismo senza condizioni alla cultura del Capo (che presto verrà tradotta in legge dello stato). Dunque, vatti a fidare, vai a capire quanto c'è di buona fede e quanto invece di calcolo politico nella mossa di Fini. La lettura dell'articolo unico della legge non conforta, anzi. Quando si dice che potranno votare solo coloro che dimostrano di avere un reddito di sostentamento sembra di leggere un regio decreto dell'ottocento: torniamo alla società divisa per censo; quando si legge che non potrà votare chi è rinviato a giudizio, uno pensa alla Costituzione italiana la quale afferma che un cittadino è innocente fino a condanna definitiva (e ovviamente, fino a condanna definitiva per reati particolarmente gravi non perde il suo diritto di voto), oppure pensa al garantismo tanto sbandierato dalla destra, ai giudici pazzi e/o comunisti, allo stato di polizia, alla libertà e via dicendo. Ma la destra è la destra, e per quanto tenti di cambiare pelle, faccia e anche corpo sociale, la sua anima profonda è sempre viva e riemerge quando meno te lo aspetti.

Tuttavia. Tuttavia la proposta di legge ora c'è ed è molto probabile che nel giro di qualche mese sarà approvata dal parlamento, magari con il concorso dell'Ulivo. Bene, benissimo, anzi malissimo. Bene non solo perché una quota di cittadini stranieri che vivono e lavorano in Italia potrà votare nelle amministrative e anche farsi eleggere, ma soprattutto perché questa legge potrebbe aprire un varco che un governo leggermente più illuminato di questo, se mai dovesse comparire all'orizzonte, dovrebbe percorrere non solo allargando la platea di questi nuovi elettori ma anche concedendogli il voto per le elezioni politiche (oltre ovviamente a cancellare gli obbrobri di cui sopra).

Male, anzi malissimo perché sarà Gianfranco Fini l'uomo politico di questo paese che «passerà alla storia» per aver dato il voto agli immigrati. Mentre il centrosinistra di Prodi, che oggi in Europa chiude le frontiere e ieri in Italia governava il paese lasciando speronare la carretta albanese Kater I Raides (108 morti) e controfirmando quella splendida legge Turco-Napolitano (semplice premessa della Bossi-Fini), o quello di D'Alema che oggi offre i suoi voti a Fini e ieri governava il paese vantandosi di quanti clandestini fossero stati cacciati via, nulla fecero in materia. Anzi fecero, fecero danni. Si potrebbe sapere dai leader dell'Ulivo il motivo per cui non approvarono una legge sul diritto di voto agli immigrati, costringendosi oggi ad applaudire il coraggio di Fini? Non potevano averlo loro questo coraggio? La risposta purtroppo è nota, non avevano coraggio perché avevano paura: dell'impopolarità (la sicurezza dei cittadini, gli immigrati criminali, gli sbarchi da fermare?), di perdere qualche voto, di perdere le elezioni. Le elezioni le hanno perse lo stesso e uno di quelli che li ha sconfitti oggi fa addirittura il loro mestiere. Complimenti a Fini, o all'Ulivo?