il manifesto - 17 Ottobre 2003
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D'Alema sponsor di Fini
ANDREA COLOMBO
Quella di Massimo D'Alema sulla possibilità di accorpare i disegni di legge costituzionale sul voto agli immigrati di Ds e An, dando vita così a una legge «Turco-Fini», non è solo una boutade. Certo, il presidente della Quercia l'ha fatta cadere come una battuta, e figurarsi se proprio lui, politico tra i più navigati, poteva non sapere che l'ipotesi sarebbe stata immediatamente respinta dal partito di Fini. Ma per quanto stemperata dall'ironia e palesemente irrealizzabile, l'avance dell'ex premier diessino basta a designare Gianfranco Fini come il possibile leader di una destra capace di superare la logica del muro contro muro e di dialogare cavallerescamente con i rivali del centrosinistra. Capace quindi di rispondere positivamente agli appelli lanciati a più riprese dal capo dello stato, ma condivisi anche da aree sociali tra le più influenti e da poteri il cui mandato, a differenza di quello del presidente della repubblica, non conosce date di scadenza.

In concreto, con la sua uscita apparentemente estemporanea, Massimo D'Alema ha offerto un robusto sostegno alla candidatura di Fini come futuro leader del centrodestra al posto di Silvio Berlusconi. E non c'è dubbio che l'esito della partita che si è giocata sul voto agli immigrati abbia incoronato il capo di An come primo e principale pretendente al trono del declinante sovrano di Arcore. A differenza di Pierferdinando Casini, principale rivale nella corsa alla successione, non deve scontare un passato democristiano (che per parecchi elettori di destra è oggi meno digeribile di quello missino) e non è ostacolato dal guidare un partito almeno per il momento di limitato consenso elettorale.

Da ieri, anche grazie al pronunciamento di D'Alema, può vantare in compenso le stesse doti sinora appannaggio del presidente della camera: un'immagine risoluta ma anche ragionevole, l'appoggio di potenti settori dell'economia spaventati dall'estremismo del premier e del suo stretto alleato nordico, una crescente credibilità agli occhi delle gerarchie cattoliche, lo sdoganamento, particolarmente prezioso per un uomo politico di origini neofasciste, del presidente delle comunità ebraiche, Amos Luzzatto.

Un simile risultato non era affatto casuale. Sin dalle elezioni amministrative che avevano incrinato per la prima volta l'onnipotenza di Berlusconi la stella polare di Fini è stata accreditarsi come leader di riferimento per quei settori che, dopo aver votato per il cavaliere nel 2001, ne erano stati sempre più delusi. Impossibile interpretare diversamente il pressing di An sulla riforma delle pensioni e sugli stanziamenti per le industrie del sud, i capisaldi della offensiva nazional-alleata negli ultimi mesi.

Per raggiungere questo obiettivo, la legittimazione e il riconoscimento da parte dell'opposizione acquista una valenza determinante. La crisi di consenso e di affidabilità che ha colpito Berlusconi si deve infatti in buona misura proprio alla sua incapacità di intavolare un rapporto con l'opposizione, garantendo così al paese la tranquillità e la mancanza di fibrillazioni continue che lo stesso fronte sociale raccolto sotto le bandiere della destra considera necessarie. Per questo gli applausi che gli hanno tributato ieri i leader diessini sono quanto mai preziosi per Fini.

La vittoria appena ottenuta non significa affatto che la partita nella destra sia già terminata, né che il suo esito sia ormai predeterminato. La mazzata inferta a Berlusconi, oltre e più che a Bossi è stata potente, non però tale da incrinare definitivamente la leadership di Arcore. Ma sul fatto che Fini abbia fatto in un colpo solo parecchi passi avanti nella corsa per la leadership del centrodestra non ci sono dubbi. Senza contare il colpo durissimo che hanno dovuto subire i riottosi colonnelli di An, ridotti d'improvviso al silenzio.

Meno chiaro è invece il vantaggio che la sostituzione comporterebbe per i diessini e per l'opposizione tutta. Sarà davvero utile per le future sorti della sinistra giurare che le leggi sul voto agli immigrati dell'ex Msi e dell'ex Pci sono quasi identiche?