il manifesto - 15 Ottobre 2003
Via libera al testo di An
Il vicepremier illustra la proposta di legge del partito. Il diritto di voto sottoposto a limiti e restrizioni
A.GA.
La proposta di An è nero su bianco. L'ha messa a punto il comitato ristretto del partito, convocato ieri per definire gli ultimi dettagli del testo sul diritto di voto per gli immigrati nelle elezioni amministrative. I punti chiave del progetto li ha illustrati Gianfranco Fini nel salotto televisivo di Bruno Vespa, confermando molti paletti e i distinguo emersi dalle indiscrezioni di questi giorni. «Il voto amministrativo sarà concesso - ha spiegato Fini - agli immigrati, comunitari ed extracomunitari, che hanno un lavoro, un codice fiscale, sono in grado di mantenere una famiglia, non hanno precedenti penali e sono quindi pienamente inseriti». Requisiti fin troppo stringenti, ai quali si aggiunge un'altra clausola vessatoria: «non ci sarà nessun automatismo» per avere il voto, ma si «dovrà fare apposita domanda». A chi e in che tempi, per ora non è dato saperlo. Fini ha illustrato solo le linee guida del progetto, ma del testo, che verrà presentato oggi alla stampa e domani in commissione affari costituzionali, si conoscono ormai anche i dettagli. In pratica, viene esteso agli extra-comunitari l'applicazione del decreto legislativo del 1996 che attribuisce ai cittadini comunitari residenti in Italia la possibilità di votare alle elezioni comunali. Una «concessione» controbilanciata da parecchi limiti. «Occorre dimostrare - ha dichiarato La Russa - di essere inseriti a livello economico e sociale nella comunità locale; solo così l'equiparazione è completa e si può votare». In soldoni, oltre a dover dimostrare un reddito tale da garantire il mantenimento suo e della sua famiglia, e a dover accettare i principi della nostra Costituzione, all'immigrato è richiesta, la residenza in Italia da sei anni e una fedina penale senza reati per i quali scatta l'arresto. Su un punto c'è stato scontro in An. Il decreto legislativo del 1996 implica non solo l'elettorato attivo, ma anche quello passivo, ossia la possibilità di candidarsi ed essere eletti. I maggiorenti del partito chiamati ieri sera a limare il testo (c'erano, tra gli altri, il coordinatore Ignazio La Russa, il vicepremier Fini, i capigruppo di Camera e Senato Anedda e Nania, e il sottosegratario all'Interno Mantovano) non erano affatto d'accordo sull'estensione di tale diritto. Alla fine, è passata la linea «aperturista» di Nania («gli immigrati devono poter votare ed essere votati. Una proposta diversa corre il rischio di essere incostituzionale»). Prima dell'esame ufficiale dei «saggi» di An, il capogruppo alla camera Anedda però dichiarava che la bozza «non contiene alcuna ipotesi di elettorato passivo». Insomma, gli extracomunitari potranno candidarsi alle amministrative, ma, chissà perché, non alla carica di sindaco o di vice-sindaco. Una questione fondamentale quella dell'elettorato passivo, sulla quale il numero due della Lega Roberto Calderoli è tornato con le sue solite provocazioni («A quando un presidente della Repubblica di colore o con il Corano in mano?»), dimenticando che cittadini italiani di pelle nera ed eleggibili a tutti gli effetti già esistono. In commissione affari costituzionali, si preannuncia intanto un esame congiunto dei differenti testi avanzati dai vari gruppi. In attesa del deposito ufficiale di quello di An, Ulivo e Prc hanno intanto chiesto di iniziare l'esame delle proprie proposte di legge in materia di voto agli immigrati. Sarà l'ufficio di presidenza fissato per domani a stabilire il calendario dei lavori. Non sembrano invece destinate ad avere seguito le sollecitazioni dell'Udc alla Commissione Ue perché introduca, con una sua direttiva, «modalità uniformi per l'esercizio del diritto di voto alle elezioni amministrative per i cittadini dei paesi terzi». Ieri la Commissione, pur ribadendo il suo parere favorevole in materia, ha chiarito di «non poter legiferare sul tema» perché priva della competenza giuridica necessaria.