il manifesto - 12 Ottobre 2003
Bossi alla maggioranza: «Quel voto è la fine»
Il leader del Carroccio dice agli alleati che un sì del parlamento al voto per gli immigrati sancirà la crisi. Ma lo dice affidandosi completamente a Berlusconi: «E' lui il leader indiscusso della maggioranza». Ed è un leader che vuole in tutti i modi spegnere la polemica
COSIMO ROSSI
Se in parlamento dovesse passare una legge per il voto agli immigrati, «significherebbe la fine della maggioranza». Parola di Umberto Bossi nel corso della sua attesa visita alla festa della Lega a Azzano Decimo, in provincia di Pordenone. Tuttavia i toni del senatur sono tanto accessi quanto non ultimativi: perché Bossi è da sempre convinto che il destino politico della devolution e della stessa Lega sia custodito nelle mani di Silvio Berlscuoni e pertanto è al premier che si affida quasi ciecamente senza soffiare sul fuoco come sua consuetudine. Per Bossi il voto agli immigrati «non può essere il punto di partenza, ma solo il punto di arrivo di un processo d'integrazione». E a suo avviso le comunità straniere in Italia «non sono ancora ben radicate». Ma non solo. Il voto, sentenza Bossi, «è sacro», è «il patto sottoscritto tra cittadini e stato». E in quanto tale, «solo il popolo può decidere» come estenderlo: «Nessun partito, nessun parlamentare, nessun segretario può decidere una cosa del genere, perché quello è il patto assoluto». Se invece in parlamento maturasse una maggioranza per farlo, Bossi dichiara la fine» della maggioranza. Ma circa gli esiti politici e eventuali elezioni, il senatur fa esercizio di umiltà e di fedeltà al padrone della Casa della libertà: «Solo Berlusconi é in grado di deciderlo, perché è lui il leader indiscusso della coalizione - dice - E' lui che porta i voti, è lui il Carlo Magno della situazione. Lui ha la spada e gli eserciti, gli altri non li hanno. Quindi è lui che porta i voti. Se esci dalla coalizione non li prendi».

E lui, Berlusconi, non sembra del tutto persuaso del voto anticipato che ha minacciato, almeno quanto non lo è delle pressioni di An e Udc che gli chiedono di scaricare il Carroccio. Tant'è che libera le colombe nella casa delle libertà. Trincerato nel silenzio, e forse nell'irritazione nei confronti degli alleati, il premier manda in prima linea i fedelissimi interni a ogni partito della coalizione: dall'Udc Carlo Giovanardi al forzista Francesco Giro al nazional-alleato Maurizio Gasparri; tutti pronti a smorzare la polemica scatenata da Gianfranco Fini. Che del resto pare appagato dal punto di visibilità messo a segno contro i diktat del Carrroccio. Così come il leader per niente ombra dell'Udc, Pierferdinando Casini, che si preme di rilevare come la questione del voto ai cittadini stranieri sia «fisiologica» nel dibattito politico di tutti i paesi europei.

Si spiega con il fatto che proprio l'Europa sarà la ribalta politica della prossima settimana, con il vertice di metà semestre a Bruxelles e con la Conferenza intergovernativa, dove saranno impegnati rispettivamente Berlusconi e Fini: se il primo non vuole altri guai - tantomeno dall'antieuropeismo leghista - il secondo vuole invece massimizzare il profitto della sua stoccata proprio in chiave di legittimazione sulla scena continentale. A partire da questo, la consegna agli indisciplinati del centrodestra è di mantenere aperto il caso senza però innescare una precipitazione da cui non trarrebbe giovamento nessuno.

Anche per questo motivo la cosa che è andata più di traverso ad An e Udc è la minaccia di elezioni anticipate proferita dal Cavaliere nel caso in cui una crisi con la Lega dovesse mutare la composizione della maggioranza. «La maggioranza c'è - dice leader dell'Udc Marco Follini - E' improprio parlare di elezioni. Anche perché chi ne parla non decide. Questo è teatrino». Assicurando di non essere tra «quanti praticano riti di esclusione» a discapito del Carroccio, Follini afferma però che la Casa delle libertà d'ora in poi «non dovrà soggiacere più di tanto alle condizioni politiche e agli stati d'animo di Bossi». Parole giudicate «vergognose» dal leghista Roberto Calderoli: «Follini si erge al di sopra del premier - replica - dice che non spetta a Berlusconi decidere se andare al voto, che è in crisi il patto del 2001. Berlusconi intervenga».

Ma i cavaliere tace. Per tutta la giornata, anzi, lascia lavorare i pompieri. Il forzista Enrico La Loggia, per esempio, propone una soluzione: invece che scannarsi per far votare gli immigrati residenti da otto anni in Italia con una legge costituzionale, si può varare una legge ordinaria che abbassi da dieci a otto gli anni di residenza necessari a ottenere la cittadinanza. «Questione assolutamente prematura», risponde Calderoli a nome della Lega. Ma allo scarto di soli due anni tra la proposta di An e la norma in vigore sulla cittadinanza si attacca anche l'Udc Carlo Giovanardi per affermare l'idea di Fini può ottenere il via libera leghista. Come dice anche il berlusconiano di An Maurizio Gasparri - che si sente nella tenaglia per essere il firmatario della legge Mediaset -: «Sul voto agli immigrati è giusto approfondire la questione, poi ognuno può esprimere le sue opinioni».

Gasparri, del resto, sa di essere una delle concause della fibrillazione interna alla destra. Il voto alla riforma delle comunicazione che porta il suo nome è quello che ha creato la crisi di credibilità di An e Udc. Che adesso cercano di rifarsi una faccia nel duello con il Carroccio, dato che - come dice Bossi - contro Berlusconi non si può andare. Anche se il problema, in prospettiva, è proprio affrettare la successione al Cavaliere.