il manifesto - 10 Ottobre 2003
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Un voto di élite
Vota solo chi ha la carta di soggiorno? Cioè i più ricchi, i più «buoni» e i più pazienti
CINZIA GUBBINI
ROMA
Cosa accadrebbe se, di punto in bianco, in Italia il diritto di voto fosse legato al reddito? Oppure se la possibilità di recarsi o meno alle urne fosse legata a una condanna definitiva perché, magari, si è commesso l'orrendo crimine di rubare in un supermercato? Certamente molti dei lettori del manifesto sceglierebbero la resistenza. Scherzi a parte, è proprio su queste basi che si vorrebbe concedere il diritto di voto amministrativo agli immigrati, argomento tornato in voga in questi giorni dopo la dichiarazione del vicepremier Gianfranco Fini. Secondo le parole di Fini, infatti, il «suo» disegno di legge - se mai vedrà la luce - prevederà l'agognato diritto al voto locale per gli stranieri «che vivono in Italia, lavorano, pagano le tasse e hanno ottenuto una carta di soggoiorno». Ma attenzione: la carta di soggiorno non ha nulla a che fare con il permesso di soggiorno. Introdotta dalla legge Turco-Napolitano nel 1998, la carta ha rappresentato un grande passo avanti della legislazione italiana: si tratta infatti di un permesso di soggiorno a tempo indeterminato, che dà diritti molto simili a quelli dei cittadini italiani, e che viene concessa agli immigrati che vivono regolarmente da cinque anni in Italia (con la Bossi-Fini, da sei anni). Ma non basta questo. Bisogna anche certificare di avere un certo reddito, che aumenta qualora si voglia estendere la carta di soggiorno anche al proprio coniuge o ai propri figli. Bisogna essere in possesso di una casa abbastanza grande. Bisogna essere in possesso di un permesso di soggiorno che preveda un numero illimitato di rinnovi, quindi non valgono quelli per studio, per salute, per giustizia. Bisogna non essere mai stato rinviato a giudizio per i reati previsti dall'articolo 380 e, limitatamente ai delitti non colposi, per l'articolo 381 del codice di procedura penale. Tra cui, appunto, furto, lesioni e così via. «Come è evidente si tratta di criteri che nulla hanno a che fare con quelli che dovrebbero detrminare la concessione del diritto di voto - commenta Massimo Pastore dell'Associazione studi giuridici sull'immigrazione - Tra l'altro già nella legge Turco-Napolitano si prevede la possibilità di concedere il diritto di voto locale a chi detiene la carta di soggiorno. Ma con un significativo lapsus: si fa infatti riferimento al capitolo C della Convenzione di Strasburgo, che riconosce il diritto al voto locale a tutti gli immigrati residenti regolarmente da 5 anni, senza fare distinzioni tra chi ha un certo permesso di soggiorno e chi un altro». Per questo molte bozze in discussione negli enti locali (per esempio Genova) per concedere il diritto di voto amministrativo agli immigrati, considerano soltanto il criterio della residenza.

Come se non bastasse, per ottenere la carta di soggiorno bisogna presentare tantissimi documenti e spesso aspettare parecchi mesi prima di averla in tasca. Per non parlare della furiose battaglie che si sono combattute sulla interpretazione della normativa, tanto che ancora oggi i criteri per assegnarla cambiano da questura a questura. Insomma, tante e tali pastoie per cui, secondo alcune statistiche, solo il 5% degli aventi diritto sarebbe riuscito a ottenerla.