il manifesto - 09 Ottobre 2003
In pubblico il malumore di An
Dalla base in su, tutti a bocca aperta per le parole del leader e il partito si divide
M. BA.
L'apertura di Gianfranco Fini sul voto agli immigrati, decisa a freddo e in perfetta solitudine, ha lasciato a bocca aperta i militanti e la base di An. Se non è una rivolta poco ci manca, almeno a livello umorale. Dal Nord al Mezzogiorno, dalle chat su Internet ai circoli periferici, dai «ragazzi di Salò» ai più giovani, per tutta la giornata nella pancia del partito di via della Scrofa si è scatenato un dibattito come non si vedeva da tempo. Perfino Radio Padania ha concesso i suoi microfoni in esclusiva allo scontento dei militanti della destra. E così c'è chi annuncia on-the-air di aver strappato la tessera e circoli che hanno deciso di sciogliersi, come a Nettuno, vicino Roma. Ma è soprattutto l'An lombarda, in prima linea nel fronte con la Lega, ad avere i nervi scoperti. «Se ne doveva parlare con la base» dice Rita Cosenza, leader di uno dei cinque circoli di An sotto la Madonnina. Anche Romano La Russa, fratello del viceré di An e presidente della federazione milanese, lamenta che «il metodo ci è sembrato sinceramente sbagliato e ha disorientato il partito. Urge un chiarimento».

Se il metodo scelto dal presidente del partito lascia esterrefatti più o meno tutti, sul merito ci si divide tra favorevoli e contrari. Il voto agli immigrati è una posizione di destra? Basta scorrere le e-mail al sito-forum messo in piedi dalla federazione romana per capire che il dado è stato tratto ma i malumori non mancano. E nemmeno gli insulti: «A Fini di destra è rimasta solo la mano» dice Gioia78. «Ci mancava solo che la destra desse il voto agli immigrati» aggiunge una firma `ex-camerata'.

Certo, sulla questione immigrazione le posizioni dei quadri di Alleanza nazionale sono più sfumate. La «destra di governo» è un partito diverso da quello pre-Fiuggi. «Finora ho ricevuto almeno duecento telefonate che chiedevano se per caso Fini si sentiva bene o gli era successo qualcosa», dice il responsabile di Como Vincenzo Sofia, «ma a mente fredda posso dire di essere d'accordo con lui». L'integrazione insomma non è più un tabù, anche se si ammette senza mezzi termini che «questa posizione creerà problemi nella base perché è una politica che non ci appartiene», commenta il dirigente catanese Filippo Barbagallo.

Il disorientamento non riguarda solo la periferia e coinvolge anche i deputati a Montecitorio, del tutto ignari delle scelte del leader. E ai vertici la protesta diventa ampia e trasversale. Basti pensare alla lettera, prima firmata e poi stracciata in pubblico, con cui 60 onorevoli, di tutte le correnti, si sono lamentati dell'apertura del presidente. «Era solo una garbata richiesta di chiarimento» minimizza Alessio Butti, che poi aggiunge: «Che le dichiarazioni di Fini abbiano fatto clamore è un dato oggettivo... La maggioranza dei deputati, senza etichette correntizie, chiedeva di approfondire un argomento spinoso». «Lo faremo a voce», conclude Butti. Ma più di qualcuno, come il senatore Mariano Delogu sostiene Fini e fa l'esempio di Arnold Schwarzenegger, immigrato austriaco da ieri neogovernatore della California. «Perché non dovrebbe succedere anche da noi?» dice Delogu. Anche il capogruppo al senato Domenico Nania si schiera con Fini, parlando di «destra dell'accoglienza». E così fanno anche due della vecchia guardia come Selva e Tremaglia.

Ma la portata del dissenso è testimoniata dalle parole di due colonnelli che da tempo si trovano agli estremi del partito, il ministro Maurizio Gasparri e il presidente del Lazio Francesco Storace. Gasparri, il ministro aennino più vicino a Berlusconi, esterna a chiare lettere: «Tutta An è contraria al voto agli immigrati, anche chi tace e chi dice di essere a favore». Che poi descrive così lo stato dei rapporti nella Cdl: «Io sono pronto a fare cento battaglie contro la Lega - dice Gasparri - ma non su questo, perché non sono d'accordo».

Anche Storace - che ha detto sarcastico di riconoscersi nella copertina del Manifesto di ieri («doveva essere la copertina del Secolo», dice ai giornalisti) - non si nasconde: «Trovo la scelta di Fini estremamente cinica. Non è che se uno lavora e paga le tasse allora può votare. Uno scontrino fiscale non basta per ottenere una scheda elettorale. Altrimenti come la metteremmo con i disoccupati? E poi non è questo il modo migliore per discutere». Storace si smarca dalla discussione interna ma suggerisce una posizione chiara: «Se qualcuno vuole entrare nel Ppe può iscriversi all'Udc...» avvisa il presidente. Parole che però riecheggiano a distanza quelle di Pino Rauti, predecessore di Fini alla testa del Msi oggi presidente dell'ultradestra: «Lavorare in Italia e pagare qualche scontrino non significa certo appartenere alla nostra civiltà».

Come lamenterà in serata il coordinatore di An Ignazio La Russa, «il partito è unito... è la discussione che è stata un po' disordinata».