il manifesto - 20 Luglio 2003
Libertà religiosa a rischio. In Europa
Allarmante rapporto: in molti paesi Osce repressione e intolleranza crescono
Minoranze oppresse In nome della lotta al terrorismo le religioni «non tradizionali» o di minoranza, anche se non violente, sono spesso nel mirino dei governi.

MIMMO DE CILLIS*
Non usare la lotta al terrorismo come pretesto per reprimere le comunità religiose; non legare indebitamente il terrorismo alla religione; non privilegiare le religioni maggioritarie e discriminare i gruppi di culto minori. Con una serie di warning rivolti ai governi, un rapporto dell'International Federation for Human Rights (Ihf), forum di 41 ong, ribadisce il ruolo strategico della religione nella società postmoderna e nota i suoi legami sempre più stretti con la vita sociale, civile e politica dei paesi europei. La religione diventa spesso un'arma da brandire nelle mani dei governi e un fattore decisivo per rastrellare consenso politico. In particolare l'analisi - presentata in occasione della conferenza dei 55 paesi dell'Osce conclusasi a Vienna due giorni fa - si concentra sull'Europa e sull'Asia centrale, dove la repressione è ancora un criterio largamente utilizzato dai governi, specialmente dopo l'11 settembre e specialmente ai danni della religioni «non tradizionali». Tolleranza e libertà religiosa sono a rischio anche dalle nostre parti: il rapporto getta luce sulla difficile situazione delle comunità religiose in Francia, Belgio, Grecia, Bulgaria, Russia, Uzbekistan, Turkmenistan, Georgia, Bielorussia e Armenia.

Secondo il documento, in questi paesi la religione dominante gode di un trattamento privilegiato da parte dello stato rispetto ai culti minoritari. Francia e Belgio, si legge nel rapporto, hanno avviato dalla metà degli anni `90 misure di monitoraggio per controllare le attività di gruppi religiosi considerati come «sette pericolose». Queste politiche, si legge, «hanno come obiettivo gruppi che non sono mai stati coinvolti in attività sovversive o fuorilegge e, di fatto, hanno aumentato pregiudizi e intolleranza contro gruppi religiosi minoritari».

In Grecia, le cose non vanno meglio: pur dopo l'abolizione dell'indicazione della religione professata dal cittadino sulla carta di identità, persone non appartenenti alla religione greco-ortodossa vengono discriminate a scuola o sul posto di lavoro. La Georgia è balzata agli onori della cronaca per il caso del prete ortodosso Basil Mkalavishvili che si è trasformato in «giustiziere», attaccando con violenza persone di altri culti, specialmente predicatori protestanti, e distruggendo luoghi di culto in nome di un purismo religioso che non ammette ecumenismo o dialogo. E, quel che è peggio, la popolazione sembra appoggiarlo, mentre il governo chiude un occhio. Ma in Caucaso altri due casi fanno squillare un campanello d'allarme: l'Armenia, fiera di sovrapporre identità nazionale e appartenenza cristiana, e soprattutto la Cecenia, dove Mosca ha trovato via libera nell'usare il pugno duro con i separatisti facendo leva sullo spettro del terrorismo di matrice islamica. Ma è proprio il circolo vizioso della violenza e della miseria a costituire il brodo di coltura del fondamentalismo religioso. E nella Russia di Putin una legge anti-estremismo del 2002 è formulata in maniera talmente vaga - nota il rapporto - da poter essere utilizzata per reprimere attività religiose del tutto legali per «difesa della sicurezza nazionale».

Non è roseo nemmeno il quadro nelle repubbliche dell'Asia centrale: in Uzbekistan il governo, dopo l'11 settembre, ha cercato di legittimare la sua campagna implacabile contro i musulmani indipendenti come contributo del paese alla guerra contro il terrorismo. Destano preoccupazione anche Turkmenistan e Tagikistan, dove le comunità di fedeli devono registrarsi presso gli uffici governativi prima di poter cominciare attività di culto.

E l'Italia? Nel rapporto non è menzionata, ma pericoli vi sono anche nel bel paese: basta seguire il dibattito attorno al disegno di legge sulla libertà religiosa all'esame del parlamento, basta pensare alla domanda (inevasa) dei gruppi religiosi di essere riconosciuti al pari della chiesa cattolica, avendo magari accesso all'otto per mille o all'insegnamento nelle scuole.

*Lettera 22