il manifesto - 01 Luglio 2003
Nuovo naufragio. E la Libia dice no a Roma
Mentre svaniscono le speranze di trovare ancora vivo qualcuno dei nove migranti vittime domenica vicino alle coste tunisine dell'ennesimo naufragio (35 i superstiti), appare sempre più lontana l'ipotesi berlusconiana di una prossima presenza di militari italiani nei porti e lungo le coste libiche per arginare le partenze di migranti. Ieri il ministro degli esteri libico, Abdel Rahman Shalgam, ha dichiarato che il suo paese è sì disposto a cooperare con l'Italia sull'emigrazione clandestina, «ma non a detrimento della sovranità libica»: e in nessun caso potrebbe accettare operazioni militari italiane sul suo territorio e nelle sue acque. «Questo è fuori discussione» - ha detto Shalgam, citato dall'agenzie egiziana Mena. «Se si chiede a Tripoli di controllare le sue frontiere, gli altri paesi sono chiamati a fare lo stesso, perché la Libia non è responsabile della protezione delle coste degli altri. Il problema dell'immigrazione è internazionale e le coste e le frontiere libiche sono lunghissime». Niente di buon auspicio per l'imminente visita del ministro Pisanu a Tripoli, dove vorrebbe firmare un accordo per il controllo congiunto di porti e frontiere. Anche la questione della revoca dell'embargo europeo sulle armi, che la Libia chiede alla presidenza di turno italiana, sembra in alto mare. Una missione tecnica Ue è tornata ieri da Tripoli e ha riferito a Berlusconi e al ministro degli esteri Frattini sulle richieste libiche.