il manifesto - 28 Giugno 2003
INCHIESTA
E' razzista un giovane su cinque
Lo dice una ricerca promossa dalle comunità ebraiche Il sociologo Campelli: «Fastidio e paura i sentimenti più comuni»
TIZIANA BARRUCCI
«Il fatto che il 18 per cento dei ragazzi intervistati dia un giudizio negativo sul multiculturalismo è sicuramente un dato inquietante, ma non per questo si deve lasciare spazio alle semplificazione». Commenta così l'indagine da lui curata - "razzismo e Italia" - Enzo Campelli, direttore del dipartimento di ricerca sociale e metodologia sociologica dell'Università La Sapienza di Roma. L'inchiesta - promossa e finanziata dall'Unione delle comunità ebraiche con fondi dell'8 per mille e annunciata ieri al Campidoglio alla presenza di Amos Luzzatto (Unione delle comunità) e dell'ambasciatore Mario Scialoja (Lega musulmana in Italia) - è stata realizzata attraverso 2.200 interviste faccia a faccia a giovani tra i 14 e i 18 anni, lavoratori, studenti o drop out, scelti casualmente dagli elenchi anagrafici di 110 comuni italiani. In sostanza la ricerca ha concentrato la sua attenzione sull'atteggiamento giovanile rispetto a tre categorie: immigrati, ebrei e musulmani.

Professor Campelli, quali sono i risultati salienti dell'indagine?

Lavorerò su questi dati ancora un anno, per ora ritengo si possa dire che la questione non riguardi tanto una percezione peggiore di un gruppo piuttosto che un altro: siamo di fronte a una concezione del razzismo complessa, lontana da quella legata al processo biologico, che vedeva l'esistenza di una razza superiore. Tuttavia, si possono sintetizzare due punti allarmanti: da un lato la presa d'atto di una grande diffusione di un sentimento di non accettazione dell'altro. Dall'altro la pervasività e la trasversalità di tale atteggiamento, che riguarda quasi in ugual misura chi si dichiara di destra e di sinistra, o chi è di estrazione bassa e alta. E, addirittura, paradossalmente, si trova tra coloro che si definiscono più religiosi, in maggioranza ovviamente cristiani cattolici. C'è da chiedersi se una certa lettura della religione non sia talmente etnocentrica da spingere a un rifiuto dell'altro o a un'ammissione condizionata.

Cosa significa che il razzismo di oggi è più complesso?

Significa, ad esempio, che ci sono giovani i quali rifiutano la differenza tout court, quelli che la rifiutano con intenzioni buone - perché la ritengono un ostacolo al vivere insieme da pari - e quelli che la considerano un affare privato da non difendere nella sfera pubblica sociale.

Quali aspetti dell'indagine la colpiscono di più?

L'atteggiamento prevalente nei confronti degli immigrati è di fastidio: per il 50,9% sono coloro che "alimentano la prostituzione" e che "rendono meno sicura la vita delle nostre città" per il 47,8%. Senza contare che per il 46,5% "di questo passo saranno più di noi". E' anche interessante come, rispetto ai musulmani, i ragazzi abbiano un sentimento di paura, visto che si sono detti particolarmente allarmati dal fatto che "anche se sono in Italia da molti anni sono fedeli solo al mondo islamico" (64,9%), che "per loro le donne non contano nulla" (66,3%) e che "sostengono il terrorismo internazionale" (52,4%). Il dato che mi spaventa di più è che nei confronti degli ebrei la sindrome predominante sia l'estraneità. Per tanti questi ultimi "devono tornarsene tutti in Israele" (17,5%).

Ci sono differenze di percezioni a seconda che l'intervistato sia una ragazza o un ragazzo?

No. Andiamo verso una ristrutturazione dell'identità di genere. Tale variabile, lo vedo nelle molte ricerche che conduco, tende a opacizzarsi progressivamente. Neppure la questione del velo crea maggiori sensibilità tra le donne, perché il punto fondamentale è che molti ragazzi non hanno nessuna conoscenza delle culture in discussione. Non hanno informazioni, ma ciò non toglie che abbiano un'opinione, a volte anche radicate e radicali.

Quali crede siano le cause di tale propensione al razzismo?

Evidentemente viviamo in un momento di integralismo sviscerato da diverse parti, il fatto che la religiosità non diventi spinta a trovare un dialogo ne è un esempio lampante. Sicuramente gli eventi politici contribuiscono a creare nelle persone la percezione che abbiamo analizzato. Non ho dati scientifici che lo dimostrino, ma probabilmente la presenza in Italia di un governo di destra che opera determinate scelte e concentra l'attenzione su alcuni temi condiziona molto il pensiero dei giovani.

Da sociologo, quali soluzioni vede?

Non criminalizziamo quel 18% di ragazzi che propendono al razzismo, perché così facendo alimenteremmo lo scontro tra buoni e cattivi. Prendiamo atto della realtà complessa in cui viviamo e proviamo a ricostituire una coscienza sociale. Ad esempio, non appoggiamo chi lavora di propaganda, e alimenta odio e antagonismo.