il manifesto - 21 Giugno 2003
In 200 inghiottiti dal mare
Al largo della Tunisia affonda una nave con 250 persone. 41 i superstiti. 12 i corpi ripescati. Il naufragio in acque internazionali, a poche miglia dalle coste italiane
MATTEO BARTOCCI
ROMA
Un'altra tragedia, l'ennesima, ha insanguinato lo stretto braccio di mare tra il Nord Africa e l'Italia. Se il bilancio dei dispersi fosse confermato sarebbe il peggior naufragio avvenuto negli ultimi anni nel canale di Sicilia. Paragonabile a quello, ancora misterioso, avvenuto la notte di Natale del 1996 dopo lo scontro tra il cargo libanese Friendship e la motonave Yohan, quando almeno duecento persone affogarono nelle gelide acque invernali. Poco dopo le 4 di ieri notte, infatti, un'imbarcazione tunisina lancia un disperato Sos da un punto imprecisato in acque internazionali, a circa 20 miglia dalle isole di Kerkennah, 60 miglia a sud est delle coste di Sfax, in pieno golfo di Gabes. Un peschereccio raccoglie il messaggio e avvisa subito la guardia costiera nel porto di Mahdia, cittadina tunisina di fronte a Lampedusa, informando che una nave con circa 250 persone a bordo avrebbe fatto naufragio. Alle prime luci del giorno, quando i soccorritori riescono ad arrivare sul posto, della nave non c'è traccia. Tutto ciò che rimane sono i corpi delle prime 20 vittime, mentre 41 persone, cittadini di vari paesi subsahariani e del Nord Africa, sono state tratte in salvo. Almeno uno di loro sarebbe di nazionalità marocchina. Dai racconti frammentari dei superstiti, ancora traumatizzati e infreddoliti, si capisce subito che il bilancio potrebbe essere gravissimo, i dispersi infatti sarebbero almeno 197, dato confermato dalle autorità tunisine in serata.

La guardia costiera italiana ha ricevuto la segnalazione del naufragio quasi subito, ma data la lontananza delle nostre cose, Lampedusa infatti si trova circa 80 miglia a nord, non sarebbe stato richiesto alcun aiuto all'Italia da parte delle autorità tunisine, come afferma da Roma il comando generale delle Capitanerie di porto italiane.

L'agenzia di stampa ufficiale tunisina, la Tap, afferma che la nave «era partita giovedì da un paese vicino» ed era diretta verso l'Italia, come tante altre in questi giorni. Ancora ignote le cause del naufragio, quel che è certo è che le condizioni del mare nella notte tra giovedì e venerdì non erano perfette, mare forza 4, e non è certo la prima volta che le «carrette del mare» utilizzate per il trasporto dei migranti affondano a causa delle cattive condizioni di manutenzione o del sovraccarico di corpi che sono costrette a trasportare. Le autorità tunisine fanno capire che molto probabilmente la nave sarebbe partita dalla Libia, ipotesi verosimile se si guarda l'ultima posizione conosciuta dell'imbarcazione, a metà strada tra Tunisia e Italia. Né si sa se prevedesse di fare uno «scalo» sulle coste tunisine o se avesse intenzione di dirigersi direttamente verso le nostre coste.

La Tunisia sta diventando da qualche tempo un luogo di stazionamento e smistamento dei migranti che partono verso l'Europa e, sempre secondo la Tap, numerose altre imbarcazioni, più piccole, sarebbero partite dalla Libia nei giorni precedenti, trasportando ognuna tra le 20 e le 30 persone. L'altroieri, in mattinata, la guardia costiera aveva bloccato una nave al largo di Zarzis con 28 persone a bordo. Mentre mercoledì un grosso gommone era stato intercettato al largo dell'isola di Djerba mentre trasportava 24 passeggeri di origine africana.

I migranti partono da tutta l'Africa e arrivano nei punti di raccolta, i centri di smistamento degli scafisti, al confine tra la Tunisia e la Libia. Il prezzo da pagare ai «passeurs» si aggira tra gli ottocento e i mille dollari. Si sta per giorni e settimane fermi ad aspettare, finché non arriva il segnale e ci si imbarca, dimenticando la paura di non saper nuotare e le condizioni disumane della traversata. Quasi tutti sanno quello che li aspetta e i rischi del viaggio. Quasi tutti conoscono qualcuno «dall'altra parte» che ce l'ha fatta e magari lavora in Germania o Francia. Secondo alcune stime nell'ultimo mese avrebbero attraversato il canale di Sicilia almeno 3.000 persone, e sarebbero più di un migliaio gli sbarchi avvenuti nel meridione in pochi giorni. Quella di ieri è la seconda tragedia in meno di una settimana che si consuma al largo delle coste italiane. Nella notte tra domenica e lunedì scorso un'altra nave carica di 70 migranti è affondata 32 miglia a sud ovest da Lampedusa trascinando con sé almeno sette persone. Solo sei i superstiti.

La dimostrazione tragica che il massacro continua e a nulla servono le leggi sempre più restrittive, i campi lager, i rimpatri forzati, per fermare i viaggi disperati di chi è alla ricerca di una vita migliore. Di fronte all'ennesimo disastro, l'opposizione insorge e attacca il governo. «La verità è una sola - commenta la diessina Livia Turco - è saltata tutta la politica di cooperazione costruita negli anni passati per il controllo dell'immigrazione clandestina con i paesi del Maghreb. Tragedie come quella di ieri rivelano le bugie e i veri problemi che ci sono non solo con la Libia, ma anche con la Tunisia, il Marocco, l'Algeria e tutta l'Africa subsahariana». Anche secondo Giannicola Sinisi, responsabile immigrazione della Margherita, «il provincialismo in cui la deriva leghista sta rinchiudendo l'azione italiana sull'immigrazione sta provocando tragedie immani e sta facendo implodere anche quel che resta di questo governo». Giovanni Russo Spena del Prc individua nella «criminogena legge Bossi-Fini» la responsabile di tutte le tragedie. «Siamo di fronte a un fallimento, dice Russo Spena, l'illegalità dell'accesso costringe gli immigrati ad affidarsi ai mercanti di schiavi. Il fenomeno migratorio - conclude - non si può fermare con la forza o leggi autoritarie, ma lo si può solo gestire con una seria politica di accoglienza».