il manifesto - 20 Giugno 2003
Trincerati a Salonicco
Più repressione, meno integrazione. Il Consiglio europeo affronta la questione dei migranti
ANNA MARIA MERLO
INVIATA A SALONICCO
Mai la « fortezza Europa » ha meritato questo nome come ieri, all'apertura del consiglio europeo che chiude il semestre di presidenza greca. Mentre a Salonicco si svolgeva una manifestazione contro il razzismo, il vertice che ha come punto centrale la Costituzione europea, cioè una cosa che interessa da vicino i cittadini, si è chiuso dietro un eccezionale dispiegamento di polizia al fondo di uno dei tre «piedi» della penisola Calcidica, lontano da tutti, mostrando paura verso le reazioni di quegli stessi cittadini a cui la Costituzione si rivolge. I capi di stato e di governo, nel primo incontro in serata, hanno discusso di immigrazione e di asilo politico. La questione, a Salonicco, è di decidere se la politica di asilo e immigrazione deve diventare una gestione comune, oppure se ogni paese continuerà ad andare per la propria strada. Un abbozzo di politica comune di immigrazione era stato lanciato a Tampere (Finlandia) nel `99 e le discusioni erano proseguite a Laeken (Belgio) nel 2001 e a Siviglia l'anno scorso.

Ma, man mano che il tempo passa, tutti i passi avanti verso un'armonizzazione delle politiche di immigrazione portano lo stesso segno: la chiusura e la razionalizzazione, attraverso strumenti tecnici, della paura che provocano nelle società occidentali i popoli che tentano di cercare in Europa (assieme agli Usa la regione più ricca del mondo) la possibilità di vivere meglio che nei paesi d'origine. Così, dell'«equilibrio» tra i tre pilastri che nel recente passato erano stati individuati come le linee direttive della politica europea di immigrazione - una migliore integrazione per l'immigrazione legale, la collaborazione con i paesi d'origine e la fermezza verso i clandestini, solo il terzo punto sembra avere uno sviluppo.

In più, per quanto riguarda la collaborazione con i paesi d'origine, ieri è stato posto l'accento sulle misure (soprattutto finanziarie) da prendere per rimandare in patria gli indesiderabili e sugli aiuti per il reinsediamento nel paese d'origine. Sul tappeto ci sono 250 milioni di euro per questo aspetto del problema, con l'obiettivo di concludere accordi tra l'Unione europea e i paesi di emigrazione. Su questo punto ci sono le riserve della Svezia, che non ritiene opportuno usare dei fondi comunitari per questo scopo.

Soldi anche per la lotta ai «clandestini»: 140 milioni di euro già sono stati stanziati, ma la Commisione rietiene che ce ne vogliano altri 80 per mettere in piedi un sistema «efficace» di controllo, con la raccolta dati, con i visti corredati da impronte biologiche (le legislazioni di vari paesi, Italia e Francia in testa, contemplano ormai le impronte digitali nei visti). Gli 80 milioni supplementari dovrebbero servire per alleviare quello che viene chiamato il «fardello» che pesa sulle spalle dei paesi di confine dell'Unione, come l'Italia, che si lamenta perché deve spendere soldi per reprimere gli sbarchi clandestini.

Invece, al contrario, nulla è stato fatto dopo Siviglia per migliorare l'accoglienza degli immigrati regolari e per favorirne l'integrazione. In un periodo in cui le culture degli immigrati tornano a far paura - basti pensare al dibattito in Francia sul velo islamico a scuola, che potrebbe sfociare in una legge repressiva per le ragazze che il presidente Chirac potrebbe già annunciare nel tradizionale discorso del 14 luglio - non ci sono idee per favorire l'integrazione.

Il diritto d'asilo dovrebbe anch'esso essere armonizzato nell'Unione europea. Negli ultimi anni, di fronte all'aumento esponenziale delle richieste di asilo politico (che molto spesso nascondono una vera domanda di immigrazione economica) i paesi dell'Unione si sono trincerati dietro una altrettanto esponenziale aumento dei rifiuti. L'obiettivo dell'Unione è di trovare, intanto, una definizione comune di «rifugiato»: per alcuni paesi resta indispensabile rispettare in pieno i termini della Convenzione di Ginevra, a cui però secondo altri (tra cui la Commissione) andrebbe aggiunto il diritto di chiedere asilo anche per coloro che sono perseguitati (per ragioni di sesso, opinione, religione ecc.) da entità non statali, come le milizie, il fanatismo religioso ecc.

L'unica buona notizia di ieri sera è che la Gran Bretagna sembra aver rimesso nel cassetto, per ora, la proposta di creare dei «centri di transito» per chi chiede asilo, al di fuori delle frontiere dell'Unione. La Francia è contraria, la Germania ancora di più, perché teme che venga riesumato il ricordo dei campi di concentramento. La Svezia si oppone. Ma la Commissione è possibilista, perché ne dà un'interpretazione particolare: secondo il portavoce di Prodi, questi «centri» dovrebbero situarsi fuori dell'Unione per essere più vicini, per «proteggere» chi richiede asilo «prima che entri nelle mani di organizzazioni criminali» di gestione dell'immigrazione clandestina. Secondo la Commissione, questa idea interesserebbe anche l'Alto commissariato dell'Onu per i rifugiati.

Oggi il Consiglio europeo, dopo la tappa sull'immigrazione e le cene (separate, i capi di stato e di governo da un lato, i ministri degli esteri dall'altro) dedicate alle questioni di politica estera, entrerà nel vivo dei risultati dei lavori della Convenzione. Ma gli strali di Zeus si sono abbattutti sull'organizzazione: una pioggia eccezionale, due elicotteri in panne, ritardi accumulati perché alcuni leader sono stati obbligati a spostarsi in auto. Caos, come ha affermato un diplomatico, è una parola greca.