il manifesto - 20 Giugno 2003
I sopravvissuti di Lampedusa
Un'altra giornata, l'ennesima, di sbarchi e naufragi. Ieri sono stati più di trecento i migranti miracolosamente arrivati sani e salvi, nonostante il mare sia ogni giorno più cattivo. Pescatori e marina militare impegnati nei soccorsi. A terra c'è chi grida, «portateli a casa di Berlusconi». L'isola teme ripercussioni economiche. I turisti si godono il mare. Ma c'è anche chi scatta foto ricordo dei «miracolati»
CINZIA GUBBINI
INVIATA A LAMPEDUSA
Questa volta l'ultimo sbarco a Lampedusa è avvenuto sotto gli occhi di una folla attenta. Turisti, accorsi ancora in costume, intere famiglie con bambini, accalcati per assistere allo sbarco dei «clandestini». Ore 17: le acque del porto di Lampedusa si agitano. Entrano due motovedette della guardia costiera e una della guardia di finanza. Trascinano un peschereccio con a bordo 77 persone. Un vero miracolo, un'operazione difficilissima: il mare ieri era forza cinque quando la guardia costiera accorre per aiutare il peschereccio in difficoltà, a undici miglia dalle coste lampedusane. Un altro salvataggio miracoloso era avvenuto la notte scorsa a settantacinque miglia dalla costa libica. Centoquarantotto persone, tra cui 14 donne e 14 bambini, si trovavano a bordo di un'imbarcazione di legno che stava affondando. La capitaneria di porto ha chiesto l'intervento delle autoriatà libiche, che però sostengono di non aver ricevuto nessuna segnalazione. Alla fine sono stati tratti in salvo dal motopeschereccio mazzarese «Nadir», su indicazione della marina militare che, poi, ha trasportato i migranti fino a Gela. E' stato molto rischioso. Dice Masella, direttore di macchina della guardia costiera di Reggio Calabria, in missione a Lampedusa: 1.200 persone salvate in venti giorni. «Loro, hanno vomitato per tutto il tempo», aggiunge, cioè per cinque ore che ci sono volute per percorrere dieci miglia a trenta nodi, velocità bassa per non far rovesciare la barca.

Dicono di essere palestinesi e iracheni. Sono tutti uomini. Scendono a testa bassa dalla nave, alcuni di loro stanno malissimo. Un ragazzo, avrà vent'anni, non riesce a parlare. E' completamente bagnato, trema, quando cercano di togliergli i vestiti si agita. Il responsabile de «La Misericordia» di Palermo, arrivato sull'isola per l'emergenza: «Ha i soldi nel giubbotto», dice. Allora tolgono al ragazzo solo le due felpe che indossa, gli fanno tenere il giubbetto in mano, lo coprono con una coperta termica e lo portano via. Alcuni di loro raccontano di essere stati in mare per sette giorni, altri invece si rifiutano di parlare. C'è chi ha solo una canottiera e i calzoncini, chi indossa una giacca di velluto, uno ha una maglietta con scritto «Addidas».

«Fatemi un'intervista!», grida l'anziano lampedusano sopra il molo. E' venuto a vedere lo sbarco per dire: «Devono andare a casa di Berlusconi o al Vaticano». Urla, e insiste a non volersene andare. E' un momento di tensione: gli immigrati nel frattempo sbarcano a fatica e si buttano a terra. La gente di Lampedusa, in genere, non si comporta così. Ma certo inizia a serpeggiare l'allarme, soprattutto dopo la storia del finto caso di meningite. Gli albergatori sono allarmati: i turisti chiamano per sapere se è vero che Lampedusa è assediata dagli immigrati, qualcuno disdice la prenotazione. E gli albergatori alzano i prezzi. La leghista Maraventano ha piantato nella piazza del paese la bandiera provincia autonoma di Bergamo, di cui secondo lei dovrebbe far parte Lampedusa.

Il signor Tommasino è un albergatore storico dell'isola. Da giovane andava a lavorare in Tunisia perché a Lampedusa ce n'erano pochi di piccioli, cioè di soldi. Sta con il telefono in mano e dice a quest'ora dovrebbe bollire. Invece chiama chi ha già prenotato per sapere com'è la situazione. «Tranquilla, e come dev'essere!», dice. In effetti chi viene in vacanza a Lampedusa, neanche si accorge che a pochi metri, arrivano barche cariche di gente stremata. Non li vedono, se non vogliono andare a fotografarli. La guardia di finanza li fa arrivare in porto, li carica sulle camionette, e li porta al centro di permanenza, che ieri era a quota 486. Due mondi separati che scorrono parallelamente. «Io neanche sapevo del naufragio, in albergo non abbiamo la tv», dice una ragazza del Trentino. Paura dei morti in mare? «Veramente, neanche ci penso». Sullo sfondo la spiaggia dei Conigli e il mare trasparente, di un azzurro intenso. «Ci sono molti più immigrati a Roma, qui non ne ho incontrato neanche uno», sorride una signora.

Ma gli abitanti dell'isola hanno ugualmente paura. Da queste parti il turismo è l'unica fonte di reddito. E se i lampedusani ne hanno le tasche piene, il parroco li capisce. «Io sono cristiano, e penso che la vita umana vada salvata - spiega don Leo della parrocchia di San Gerlando - ma qui la gente deve lavorare, l'isola è piccola». E racconta che ha cercato di stimolare la popolazione ad aiutare gli immigrati, ma che la risposta non è stata entusiasta. Al porto, il cantiere navale dei fratelli Mannini, deve rinunciare a due scivoli per trovare le barche in acqua perché sono stati invasi dai relitti di quei pescherecci lasciati lì a marcire. «Andiamo dalla capitaneria di porto, che ci manda dal sindaco, che ci manda dal prefetto» spiega uno dei fratelli Mannini, a capo del cantiere a conduzione familiare. «In dieci anni, lo avranno pulito al massimo tre volte», racconta. Per loro sono soldi persi, e quando gli diciamo che arriveranno 285mila euro per bonificare il porto - come assicura il sindaco - fa un sorrisino. Perché qui tutti sono convinti che intorno agli sbarchi giri un «business». Di chi? «Dello Stato», genericamente. Se loro perdono i soldi, o rischiano di perderli, qualcun altro ci deve guadagnare. Se la prendono anche con la guardia di finanza «in missione» e che quindi guadagna di più, quando i finanzieri e marinai della capitaneria di porto sono sottoposti a turni massacranti. Un maresciallo della guardia di finanza racconta che per loro gli encomi ce ne sono pochi. «E' questo il nostro lavoro, ormai. Se facciamo bene, ci dicono che abbiamo fatto il nostro dovere». Lui, però, un encomio l'ha preso: per aver salvato mille persone «in una botta sola». L'anno scorso a Capo Passero.