il manifesto - 19 Giugno 2003
Viaggio nell'isola dove converge tutto il flusso dei clandestini dall'Africa
Sul fronte del porto
A Lampedusa gli sbarchi di migranti sono continui (ieri cinque barche) e le tragedie come il naufragio di sabato presto rimosse. Ma lo stato si tiene al minimo, lasciando l'isola in condizioni d'emergenza permanente. Proteste e solidarietà
CINZIA GUBBINI
LAMPEDUSA
Si nasconde dietro un pezzo di legno e si copre la testa con un maglione di lana. Gli occhi rigati di giallo ma luminosi, la faccia rotonda, le unghie laccate d'oro - un colore sbiadito dopo dieci giorni di traversata - lancia un'occhiata e allarga un sorriso davanti a un invito a parlare, mentre le forze dell'ordine, con guanti e mascherine, fanno mettere in fila e perquisiscono gli ultimi 88 migranti sbarcati a Lampedusa. Lei, però, stretta accanto alle altre tre donne arrivate con una bagnarola di legno gialla e blu, non parla né inglese né francese. Riesce a far capire che arriva dal Sudan, ma quando le chiediamo di scrivere il nome del suo paese fa capire che non sa scrivere. Dà una delle versioni sul viaggio, forse la più credibile: 10 giorni in mare, partenza dal Sudan. Poco più in là c'è un uomo (dice di essere palestinese) che invece racconta un'altra storia: siamo partiti dalla Turchia, tre giorni di viaggio. Il capitano Biagio Looz, del gruppo aeronavale di Napoli, si accalora a dire che non è possibile. Le prime indagini sulle rotte si fanno così, al molo Favarolo, in un inglese stentato perché manca l'interprete. La donna è stanca però non si tira indietro. Le chiediamo: perché hai lasciato il Sudan? Alza la manica, fa vedere una cicatrice, dice «uomini» e fa il segno della pistola, per salvare la mia vita. Poi fa capire che suo fratello e suo padre non li vede da tempo, pensa che siano in Europa, non sa dove. Chiediamo: hai un figlio? Dice di sì, anche lui è scomparso. Gli occhi si riempiono di lacrime. Per lei sarà difficile spacciarsi per palestinese o irachena, nazionalità che vanno di moda ora tra i profughi delle guerre dimenticate.

E' solo un millesimo della storia infinita che va in scena ogni giorno sul porto vecchio di Lampedusa. Il giorno dopo la notizia del tragico naufragio, mentre il mare restituisce un altro corpo, la vita sull'isola continua come sempre, nessuno parla più di morti. Si parla molto invece della notizia allarmante sul caso di meningite, poi smentito, che ha rischiato di mettere in ginocchio il turismo. Né odio né amore, tra la gente dell'isola, nei confronti dell'esodo che approfitta del mare buono per approdare finalmente in Europa: indifferenza, voglia di non sentirne parlare.

Al centro di permanenza (o di identificazione, lo status giuridico non è chiaro) in cui vengono ammassati i migranti, la gente non va mai a fare visita. Neanche sa come è fatto dentro, alcuni ragazzi seduti a un bar e che frequentano l'unica scuola superiore dell'isola (un liceo scientifico) dicono: «E che ci andiamo a fare, a vedere i clandestini?». Ieri un gruppo di commercianti guidati dalla pasionaria della Lega nord di Lampedusa, Angela Maraventano, ha cercato di alzare il polverone. Ma i lampedusani preferiscono non parlare, mentre quattro bar dell'isola mandano ogni giorno cornetti al centro di permanenza, per i migranti. «Sono pur sempre uomini».

Ieri la capienza del centro, una casupola che in passato veniva usata dall'aeronautica, è stata messa di nuovo a dura prova. Le presenze hanno sfiorato per l'ennesima volta quota 500, prima che circa 250 persone venissero portate in aereo altrove. Di notte sono sbarcati in 42 . Alle 14 la guardia costiera ha portato al molo prima 88 persone, poi altre 13; nel pomeriggio ne sono arrivate 41 su un gommone e infine 68 sono attraccate in serata (e sempre ieri 100 migranti sono sbarcati a Pozzallo e 60 a Pantelleria). Impossibile penetrare all'interno delle mura del centro però, il prefetto di Agrigento è rigidissimo e non ama i giornalisti. Ma già scendendo dall'aeroporto e guardando a sinistra si possono vedere attaccati alle reti pantaloni, camicie e canottiere. Messi lì ad asciugare dagli ultimi sbarcati.

Nel centro riuscirà ad entrare solo Francesco Forgione, capogruppo siciliano di Rifondazione, sceso fino a Lampedusa dopo la notizia del naufragio dell'altro ieri. «Ci sono materassini ovunque, ma non c'è un filo d'ombra. La sala mensa è stata trasformata in dormitorio, con la conseguenza che quando, alle 2, si distribuisce il pranzo le persone sono costrette a mettersi in fila sotto il sole». «E' evidente - dice Forgione - che il governo mantiene questa situazione di emergenza apposta, strumentalmente, così da poter agire sul piano repressivo».

In effetti, davvero non si capisce come sia possibile che sulla prima isola tra l'Africa e l'Italia, dove quantomeno è prevedibile che con il tempo buono arrivino persone, l'accoglienza si limiti a 184 posti. Come non si spiega la mancanza di interpreti, o perché polizia carabinieri e operatori attivi nel centro debbano lavorare ventiquattr'ore al giorno per mancanza di personale. Eppure il centro di permanenza costa allo stato italiano 50mila euro al mese. Se il centro è la vera emergenza, pare che presto si arriverà ad una soluzione. Il sindaco Sebastiano Siragusa, Forza Italia, che chiama i migranti «fratelli sfortunati», ha annunciato l'apertura di un nuovo centro. Nascerà a Contrada Imbriacola, «lontana dal circuito turistico». Sarà invisibile, ma in compenso avrà le fogne mentre ora, in quello funzionante, ci sono solo le fosse biologiche. Il sindaco, dopo un vertice al Viminale con il ministro Pisanu, ha ottenuto anche la firma di un decreto che lo nomina subcommissario e destina all'isola 285mila euro per bonificare il porto dalle vecchie imbarcazioni. Infine, ha ottenuto che i migranti non vengano più trasferiti in Sicilia con i traghetti turistici, ma esclusivamente con ponti aerei. Problemi con l'allargamento del centro? No di certo, spiega il sindaco: «Ovviamente il nuovo centro rimarrà di prima accoglienza. Insomma, le persone non si fermeranno più di 48 ore».