il manifesto - 28 Maggio 2003
MIGRANTI/1
Firme contro il cpt per minori
Polemiche sulla «comunità protetta» di Torino
EZIO VALLAROLO
TORINO
Non accennano a placarsi le polemiche suscitate a Torino dall'apertura, fortemente voluta dall'assessore Stefano Lepri e dal sindaco Sergio Chiamparino, della prima comunità protetta per minori extracomunitari infra-quattordicenni non accompagnati. Dopo la manifestazione di protesta organizzata sabato scorso dal Gruppo Migranti del Torino Social Forum, Disobbedienti, Giovani Comunisti e centro sociale Gabrio, il problema di questo struttura «emergenziale» è tornato al centro della dibattito politico. Reazioni di dissenso si registrano anche tra i cittadini. La comunità contestata - otto il numero previsto di minori ospiti - è stata aperta in via Lasalle 6, proprio al centro del quartiere di Porta Palazzo: ossia la zona della città a più alta densità di immigrati e a due passi dalla moschea. I residenti temono che ciò possa comportare un ulteriore innalzamento della tensione, provocando situazioni di conflitto ben peggiori di quelle verificatesi lo scorso sabato. Per questo è già partita una raccolta firme per chiedere all'amministrazione comunale di spostare in altra sede il centro.

«Dallo scorso mese di marzo - spiega Silvia Formia, responsabile del Gruppo Migranti del Torino Social Forum - non abbiamo più avuto incontri con i responsabili del progetto. Per mesi abbiamo cercato di intercettare la deriva repressiva della nostra amministrazione, ci abbiamo provato insieme a tutti gli attori sociali di questa città, cercando di convincere l'assessorato ai servizi sociali che questa "comunità protetta" assomigliava troppo da vicino a un centro di permanenza per minori migranti e non era proprio una buona idea, che nessuno avrebbe accettato di gestire una struttura di questo tipo».

Per la trattativa il Comune di Torino aveva interpellato 43 tra associazioni e cooperative. Tutti si erano rifiutati di gestire una struttura simile. Caritas, Gruppo Abele e decine di altre realtà, che da anni lavorano con i minori, hanno poi pubblicamente preso una posizione contraria al progetto, leggendovi un segno di regressione pericolosa nelle politiche sociali dell'amministrazione comunale, una scorciatoia a un problema certo complesso.

«Quando siamo venuti a conoscenza - continua Silvia Formia - che il consorzio di cooperative Ics aveva vinto una gara d'appalto e che si stava proseguendo il discorso proprio sulla delibera e sul bando da noi contestati, siamo rimasti stupiti. Fastidio che è aumentato quando abbiamo scoperto che la comunità è stata aperta proprio a Porta Palazzo. A nostro avviso, una vera e propria follia che si spiega solo con la una logica di tipo politico. Lo abbiamo fatto presente, visto che ci hanno fatto entrare nel centro, ai gestori del consorzio Ics. Loro, però, da questo punto di vista non vogliono sentire ragioni: discutono solo del progetto educativo».

Un progetto educativo difficile da scorgere dato che il meccanismo si basa soprattutto sulla possibilità del «rimpatrio assistito», dopo un periodo di permanenza in comunità di non più di sessanta giorni. «Anche in questo caso - sottolinea Giovanni Amedura del Tavolo Migranti nazionale - le analogie con il cpt di corso Brunelleschi sono impressionanti. Siamo addirittura al di là di quello che prevede la legge Bossi-Fini, che all'art. 25 ipotizza dei percorsi formativi in grado di garantire l'accesso del minore sotto i 14 anni al permesso di soggiorno. Purtroppo si è scelto di fare un investimento su un progetto di tipo repressivo invece che puntare sull'educativa di strada e altri interventi specifici».

All'Ics e agli operatori della cooperativa «Mechor», direttamente impegnata nella gestione della comunità, i gruppi che hanno dato vita alla manifestazione di sabato rivolgono un appello: «chiamiamo le cooperative, le associazioni e gli educatori alla disobbedienza civile e chiediamo a Ics di chiudere questa struttura, per non snaturare il ruolo della cooperazione sociale e del terzo settore - facendolo diventare gestore diretto di strutture di fatto carcerarie - e per non tornare alle istituzioni totali».