il manifesto - 27 Marzo 2003
Maroni blocca la regolarizzazione degli immigrati
L'accordo era stato siglato a Milano tra sindacati, imprenditori e il rappresentante provinciale del suo ministero
Le proteste. Lo stop del ministro costringe migliaia di stranieri al lavoro nero. Sindacati in piazza

GIORGIO SALVETTI
MILANO
«Il ministro del welfare si accolla la responsabilità di lasciare che migliaia di lavoratori, pur avendo i requisiti previsti dalla legge per ottenere il permesso di soggiorno, lavorino in nero. Questo genera gravi conseguenze sia per i lavoratori immigrati che per le famiglie e le imprese». Cgil Cisl e Uil sono esterefatte e replicano annunciando presidi e mobilitazioni contro l'incredibile accanimento con cui il ministro Maroni ha voluto bloccare il buon accordo raggiunto l'altro giorno da sindacati, associazioni e prefettura milanese, un patto che avrebbe permesso ai lavoratori stranieri costretti a cambiare lavoro di regolarizzarsi senza ripiombare nella clandestinità. Ne ha preso atto «con stupore» anche l'Assolombarda. Dopo mesi di lavoro, Cgil-Cisl-Uil, la Caritas Ambrosiana e le associazioni imprenditoriali erano finalmente riusciti a concludere una buona trattativa con il prefetto di Milano e il rappresentante provinciale del ministero del lavoro. L'accordo avrebbe risolto il problema di quelle migliaia di lavoratori stranieri che, dopo aver presentato la domanda di regolarizzazione, avevano dovuto cambiare datore di lavoro, diventando così dipendenti di un imprenditore diverso da quello che aveva firmato la richiesta di sanatoria. Si tratta di una situazione molto comune: l'esame delle pratiche della sanatoria è ancora in alto mare e quindi sono moltissimi i lavoratori stranieri, spesso impiegati in settori particolarmente «flessibili», che nel frattempo hanno dovuto trovare una nuova occupazione. Il patto tra sindacati e istituzioni milanesi certo non avrebbe cambiato l'impianto razzista della Bossi-Fini, ma perlomeno avrebbe risolto una situazione non prevista dalla legge e ormai divenuta grottesca e ingestibile. Ma il buon senso è un lusso che non può concedersi un ministro leghista che di tanto in tanto deve usare i muscoli invece del cervello. E così Maroni non ha perso tempo e ha sospeso il provvedimento «per valutare la legittimità della procedura»; ha invitato il prefetto di Milano «a non dar corso alla precedura» e intimato agli organi territoriali del suo ministero a «non sostenere o condividere nessuna iniziativa non prevista dalla legge Bossi-Fini».

«La decisione del ministro - commenta la Cisl di Milano - è un'offesa all'intelligenza. E' sotto gli occhi di tutti, tranne di chi fa finta di non vedere per ragioni meramente politiche, che la Bossi-Fini presenta grosse lacune che vanno assolutamente colmate, l'accordo andava proprio in questa direzione». Graziella Carneri, responsabile alle politiche sociali della Camera del lavoro, ricorda che «la trattativa per raggiungere l'accordo era stata rallentata proprio dalle continue discussioni con il rappresentante del ministero, preccupato di far rispettare la Bossi-Fini, e che però alla fine aveva firmato per poi essere sconfessato dal suo stesso ministro». Non ha dubbi Antonio Panzeri, segretario della Camera del lavoro di Milano: «La sospensione conferma la volontà del ministro di non rispettare la sua stessa legge e anzi di dare alla Bossi-Fini un'interpretazione semplicemente repressiva». La Cgil Lombardia ha già annunciato presidi davanti alle prefetture di tutta la regione, a Milano invece Cgil, Cisl e Uil scenderanno in piazza giovedì 3 aprile.