il manifesto - 14 Febbraio 2003
Espulsioni irregolari
SANATORIA Rimpatrio nonostante il «cedolino»
CINZIA GUBBINI
Come si fa a stornare un po' di domande di regolarizzazione che sono così tante da rallentare il processo della santoria? Se lo devono essere chiesti a lungo nei corridoi del ministero dell'interno prima di partorire la circolare dello scorso mese firmata dal prefetto Anna Maria D'Ascenzo. La circolare, ormai ribattezzata «quella dei tre casi particolari», prende in esame, all'ultimo punto, l'ipotesi dello «straniero che non può essere regolarizzato». «In tali ipotesi - spiega la circolare - la questura, dopo aver provveduto all'allontanamento, comunica l'avvenuto rimpatrio alla prefettura competente ad esaminare la domanda di regolarizzazione». Cosa vogliono dire queste poche righe? Semplicemente che se la questura ferma un immigrato per un controllo e ritiene che non possa essere regolarizzato (ricordiamo che alla sanatoria non possono accedere, ad esempio, gli immigrati che hanno subito una denuncia per qualsiasi tipo di reato) la polizia può decidere l'espulsione e solo dopo comunicare l'avvenuto rimpatrio alla prefettura. La circolare, sostengono molti giuristi, è illegittima, poiché contraddice il testo di legge, che invece individua nella prefettura l'organo competente a vagliare le domande di regolarizzazione. Ma la circolare ha avuto il suo effetto in Torino, e a frane le spese è stato un marocchino di 23 anni che chiameremo Mohamed, regolarizzando, e espulso lo scorso 16 gennaio. E pensare che il ragazzo era stato inizialmente soccorso dalla polizia, perché era stato scippato. Ma da un controllo sul suo nome è emersa una segnalazione per detenzione di stupefacenti. Quindi, secondo i poliziotti, non avrebbe passato il «test» della prefettura. Ora il giudice gli ha dato ragione: l'espulsione doveva essere sospesa, in attesa della regoilarizzazione. Tuttavia, quando il suo legale si presentò in questura per chiedere come mai, vista la santoria in corso, Mohamed fosse stato portato nel centro di permanenza di via Brunelleschi, i funzionari non si scomposero più di tanto: «ci atteniamo alla circolare». Per Mohamed, che si stava disintossicando e seguiva un percorso di riabilitazione psicologica, l'espulsione ha significato la fine di tutto. Persino il suo datore di lavoro si è dato da fare per evitare l'espulsione, ma non c'è stato niente da fare. D'altronde la Bossi-Fini premette il rimpatrio prima della sentenza sul ricorso. Ora Mohamed potrà tornare in Italia e attendere la conclusione della regolarizzazione. Ma quanti casi del genere ci saranno quando la lentezza della sanatoria non farà più notizia?