il manifesto - 30 Gennaio 2003
Ottantamila permessi proibiti
La Cgil: appena 400 i «contratti» stipulati a Milano e provincia
MANUELA CARTOSIO
MILANO
«E' sempre così», dice Gabriele Messina. Il grande corridoio al secondo piano della Camera del lavoro è zeppo di immigrati. Almeno 200, ogni pomeriggio. Con il «numerino» in mano, aspettano il turno per esporre il loro caso. Sono quasi tutti «regolarizzandi», tenuti in sospeso dalla sanatoria che ovunque procede con il contagocce. Un limbo che potrebbe durare anni: delle 86 mila domande di regolarizzazione presentate a Milano e provincia ne sono «tornate» alla Prefettura solo 4 mila e i contratti di soggiorno stipulati sono la bellezza di 400. Una situazione di caos e d'incertezza illustrata ieri, cifre alla mano, dalla Cgil milanese che non si accontenta della giustificazione - «ci sono stati problemi con i lettori ottici del Centro servizi delle Poste» - addotta dal governo. «Se è così, sono quanto meno degli incapaci», replica Graziella Carneri, responsabile politiche sociali della Cgil, convinta che «dietro» c'è dell'altro, la volontà di mettere i bastoni tra le ruote a una sanatoria fatta controvoglia e gestita ancor peggio. La Cgil vuole sapere «cosa sta effettivamente succedendo» ed essendo ormai pacifico che i tempi saranno biblici chiede «direttive e procedure certe» per risolvere le centinaia di problemi che quotidianamente si trova davanti. «Ogni giorno il nostro sportello registra un centinaio d'interruzioni di rapporti di lavoro», aggiunge Messina, responsabile dell'ufficio immigrati, «serve una circolare che consenta a chi è in attesa di regolarizzazione di cambiare lavoro e di viaggiare».

Nel corridoio i problemi si presentano con facce, nomi, storie. Il tunisino Saber, muratore di 22 anni, ha fatto «tanta fatica» a convincere il suo padrone a firmare la domanda di sanatoria. «Chiaro», i contributi li paga lui, «come tutti quelli che sono qui dentro», 300 euro al mese trattenuti in busta paga, a gennaio il doppio. Vive «con fatica», vorrebbe cercarsi un altro padrone che non lo taglieggi. Ma finchè non arriva la convocazione dalla Prefettura non può avere il contratto di soggiorno e, quindi, non può pretendere che qualcuno lo assuma regolarmente. Se accettasse un lavoro in nero, oltre a ripiombare nell'irregolarità, perderebbe tutti i soldi «investiti» per sanare se stesso. In Italia da 3 anni, Saber non è mai tornato in Tunisia. Per rientrare in Italia alla luce del sole occorre il permesso di soggiorno, non basta il cedolino rilasciato dalle Poste e questo è un altro dei problemi creati dalla sanatoria lumaca. Per l'ecuadoregno Giorgio i contributi li ha pagati l'impresa di pulizie per cui lavora. Qualche giorno fa, però, «la ditta mi ha detto che per me non c'è più lavoro». Su 12 dipendenti, solo per Giorgio non c'è più lavoro. «Devo trovarmene un altro, ma come faccio senza permesso di soggiorno?». Stando a una circolare del ministero degli interni dello scorso dicembre, Giorgio avrebbe diritto a un permesso di soggiorno di sei mesi per «ricerca di nuova occupazione». C'è un piccolo particolare: stando alla circolare, il permesso è rilasciato «al momento del perfezionamento del procedura di regolarizzazione». Cioè quando l'immigrato e il datore di lavoro «originario» saranno convocati in Prefettura. Magari tra due o tre anni! Il cane si morde la coda. Una giovane latinoamericana si vergogna a parlare, poi in soffio confessa che la ditta che ha fatto la domanda per regolarizzarla «non esiste». I connazionali intorno le dicono che non deve vergognarsi, «non è colpa nostra se siamo costretti a fare queste cose». Un ragazzo tunisino ha meno problemi, racconta a voce alta che la Questura non gli ha rinnovato il permesso di soggiorno perché il contratto di lavoro era falso. «Me l'ha fatto un egiziano per 700 euro». Poco, rispetto alle tariffe correnti.

In mezzo a tanti tormenti spicca la felicità di Neyra Karina, 34 anni, ecuadoregna. Esibisce il foglio azzurro del permesso di soggiorno alle telecamere e ringrazia il sindacato che l'ha aiutata a fare la «vertenza» contro padrone che si era rifiutato di regolarizzarla. L'85% delle 1.500 vertenze aperte dalla Cgil di Milano ha avuto esito positivo.