il manifesto - 21 Gennaio 2003
Senza il 18 immigrati indifesi
Piccole aziende del nord. Per non pagare i contributi, gli imprenditori licenziano centinaia di lavoratori in attesa del permesso di soggiorno
ANTONIO SCIOTTO
Articolo 18 nelle piccole aziende? Sicuramente potrebbe difendere dalle ingiustizie centinaia di immigrati in via di regolarizzazione che lavorano nel ricco nord, e che dopo diversi anni di sfruttamento al nero stanno avendo il ben servito dai loro «padroncini» spazientiti dalle lungaggini della Bossi-Fini. La nostra storia si svolge a Reggio Emilia, ma è facile immaginare che certi meccanismi non si limitino a una sola provincia. Imprese edilizie, ristoranti, alberghi, industrie metalmeccaniche che si mantengono sotto la soglia dei 15 dipendenti, ma dove lavorano in realtà anche 20 o più persone. Il meccanismo è semplice: assumo 12 dipendenti italiani, e prendo 8 immigrati in nero. Tanti vantaggi, dato che produco e guadagno come un'azienda con 20 persone, e nessuno svantaggio: i regolari non hanno la tutela della giusta causa, agli irregolari non pago i contributi e lavorano solo quando mi fa comodo. La Bossi-Fini dovrebbe fare giustizia (secondo il governo) ma l'inghippo sta proprio qui: senza l'articolo 18, gli immigrati privi di permesso di soggiorno non hanno modo di farla valere. A denunciare i gravi problemi che stanno affrontando gli extracomunitari è Amabile Carretti, della segreteria Cgil di Reggio Emilia: «Nella provincia hanno fatto domanda di regolarizzazione 8 mila immigrati, ma dall'inizio dell'anno si sono rivolte a noi già oltre cento persone che i datori di lavoro hanno deciso di licenziare prima ancora che ottengano il permesso di soggiorno. Il pretesto addotto dagli imprenditori è la lentezza della prefettura: al ritmo attuale di circa 20 permessi a settimana, l'ultimo immigrato dovrebbe essere regolarizzato tra due anni e mezzo. E il sindacato, da parte sua, può difficilmente far valere i diritti dei lavoratori perché pur essendo ormai inquadrati a tutti gli effetti come dipendenti non possono godere dell'articolo 18». Una volta presentata la domanda, infatti bisogna subito emettere la busta paga, versare i contributi a Inail e Inps, applicare il contratto di categoria: unico particolare, gli extracomunitari non possono firmare un contratto finché non hanno un permesso di soggiorno, e dunque non figurano nel conteggio dei dipendenti della ditta. Questo vuol dire che anche gli imprenditori che hanno firmato l'autodenuncia possono da un giorno all'altro licenziarli e decidere a loro piacimento se presentarsi o meno in prefettura quando verranno chiamati per la conferma.

Succede così che proprio in questa fase di transizione, quando i lavoratori immigrati sono già riconosciuti dallo Stato perché versano i contributi, per un altro verso siano ricattabili. Chokri Abdelkabir, dell'ufficio immigrati Cgil reggiano, spiega che molti imprenditori, una volta riconosciuta la busta paga al lavoratore, in realtà gliene consegnano mezza, vendicandosi così della regolarizzazione cui sono stati controvoglia costretti: «Chi ha in busta paga mille euro, spesso ne prende solo 500: l'imprenditore tiene l'altra metà per sé, per il pagamento dei contributi e per l'alloggio che offre loro. E gli immigrati non possono fare nulla, perché se parlano rischiano non solo il licenziamento, ma anche che il padrone dell'azienda non li accompagni al momento della regolarizzazione».

Eppure la voglia di difendersi c'è. Carretti racconta che negli ultimi 5 giorni concessi per la consegna dei kit Bossi-Fini, quando il governo ha finalmente concesso agli extracomunitari di denunciare i datori di lavoro che non volevano firmare, davanti alla Cgil si è formata una fila lunghissima, e al sindacato hanno dovuto fare gli straordinari: «Abbiamo tenuto aperto anche sabato e domenica». «L'articolo 18 sarebbe fondamentale per questi lavoratori - aggiunge la sindacalista - Basti pensare che nelle aziende sopra i 15 dipendenti gli imprenditori non si sognano neppure di licenziare dopo aver presentato l'autodenuncia. Sanno benissimo che il sindacato pertirebbe subito con un procedimento legale. Diverso è per le piccole aziende, dove gli imprenditori, pochi giorni dopo aver compilato il kit, lasciano a casa lavoratori che sono stati con loro anche per due o tre anni, e ne cercano altri in nero. Noi stiamo considerando l'ipotesi di costituirci parte civile, per poter costringere perlomeno i datori di lavoro a presentarsi in prefettura». «Dopo tanti anni di sfruttamento, questi lavoratori avrebbero diritto almeno al permesso di soggiorno - conclude Abdelkabir - Chi ha perso il lavoro, ma ha avuto il tempo di far presentare l'autodenuncia al titolare, ha diritto a un permesso di 6 mesi, durante i quali deve trovare un impiego regolare, altrimenti sarà espulso. Ma prima della convocazione in prefettura, cosa farà per vivere? L'unica strada che gli verrà offerta sarà un nuovo impiego in nero».