il manifesto - 03 Gennaio 2003
Radio MultiKulti, una babele integrata
Nata nel 1994 per merito dei Verdi e di associazioni locali, l'emittente digitale berlinese è diventata nel tempo un modello da seguire. Con trasmissioni in venti lingue, sostenute da altrettante redazioni e comunità. E con un gran fiuto musicale, vedi il fenomeno Wladimir Kaminer
VERONICA RAIMO
CHRISTIAN RAIMO

Come negli anni `60 scriveva McLuhan, i media si possono dividere in «freddi» e «caldi», e la radio è un medium «caldo»: ossia più capace di darsi un'identità, di approfondire i contenuti, di stimolare rapporti personali. Come però non poteva prevedere McLuhan, la radio negli ultimi anni sembra correre il rischio di diventare un medium «minestra riscaldata», e anche nel primo RadioDay organizzato un mese fa alla facoltà romana di Scienze della Comunicazione emergeva la fame di nuovi modelli radiofonici, e si additava come scenario di riferimento l'innovazione degli anni `70 (le radio libere, ma anche le prime radio commerciali, i programmi-icona come Alto gradimento). Nei fatti è poi vero che ci sono almeno due tendenze, o contro-tendenze, che segnano oggi l'evoluzione dell'invenzione di Marconi. Da un lato la trasmissione digitale, che in poco tempo ha quasi raddoppiato l'offerta di stazioni radio, reso accessibili a un pescatore dell'Alaska le radionovelas dello Zimbabwe, e che oggi alimenta e plasma gran parte dei tentativi di sperimentazioni dell'etere (uno sguardo al rapporto 2002 di www.federcomin.com). Dall'altro, il carattere allo stesso tempo sempre più globale e sempre più locale (si dice glocal?) della cultura, condizione questa che la radio forse riflette più di ogni altro mezzo di comunicazione, essendo per vocazione tanto idiosincratica quanto sincretica.

Per trovare tra le onde radio un'espressione francamente emblematica di questo paesaggio ci si può sintonizzare con la pioneristica Radio MultiKulti, che trasmette online su www.multikulti.de e sui 106.8 di Berlino. Città che fin dagli anni `60 è par excellence un polo ricettore di un'immigrazione variegatissima (all'ultima stima: 184 nazionalità ossia 440mila persone ossia il 13% della popolazione) e anche, ovviamente, il luogo dove le problematiche legate all'integrazione sono più sentite. Una decina di anni fa, con le simboliche macerie del muro ancora piuttosto fumanti, su iniziativa di un gruppo di Grünen, l'emittente pubblica Sender Freies Berlin, in collaborazione con l'Agenzia per i Media Berlino-Brandeburgo e il Ministero federale del lavoro e degli affari sociali, ha promosso il progetto Radio Multikulti, divenuta, tra non poche contestazioni, stazione a se stante con una programmazione di 24 ore dal 18 settembre 1994.

Il termine «multiculturale» va preso qui quasi nella sua accezione etimologica. I modelli che l'hanno preceduta (e ispirata), Radio Sunrise a Londra e Radio Beur a Parigi, e quelli che l'hanno seguita (tra gli ultimi, il consorzio Multicultural Multimedia Channel Europe 2000, che ha come referente in Italia l'emittente toscana Controradio) partono dalla stessa assunzione: una radio che dia voce con meno mediazioni possibili alla babele metropolitana. Il che vuol dire, per Radio MultiKulti, associare alla programmazione in una lingua europea (il tedesco) quella di trasmissioni in altre 19 lingue (dall'italiano al kurdo allo spagnolo al vietnamita), realizzate da altrettante redazioni, a cui vanno aggiunti i programmi dei dj che parlano i vari pidgin di tedesco a pronuncia turca o slovena, infrangendo anche l'obsoleto tabù radiofonico della dizione. La prospettiva è appunto quella di poter creare questo equilibrio città/mondo fornendo sia aggiornamenti informativi sui paesi stranieri (per gli italofoni, ad esempio, viene ritrasmesso il tg di radio 1 Rai) sia un'agenda della vita culturale berlinese.

La sfida parallela si gioca sulla programmazione musicale. Come ci spiega Marta Ricci (arrivata da Pisa a Berlino con un Erasmus mai pagato e ora programmista e responsabile web di Multikulti), «si parla molto all'interno dei media di world music, ma effettivamente nessuno ha sviluppato un format radiofonico interamente dedicato a questa musica. L'idea di partenza era che sulle nostre frequenze si dovesse sentire di tutto tranne l'easy pop inglese e americano che invade la maggior parte delle altre stazioni». Il tentativo ben visibile, se si ascolta anche soltanto un'oretta di Multikulti, è quello di spostare il più possibile in là la frontiera di ciò che viene considerato esotico. All'interno della radio trovano spazio il crossover ungherese, la techno giapponese, le novità dell'Africa centrale (Senegal, Gambia, Ghana, Nigeria), fino al comesidice groove del momento, ossia la dance russa.

Fenomeno musicale che ha una storia a sé, legata al nome di Wladimir Kaminer. Moscovita, arrivato a Berlino nel'90 con in tasca mezza bottiglia di vodka e 96 rubli come vuole la piccola mitologia, Kaminer ha pubblicato due anni fa Russen Disko (da noi uscito nel 2002 per Guanda), scritto in una lingua ibrida russo-tedesca che prende in giro se stessa (parente per molti versi di quella di Ogni cosa è illuminata di Safran Foer). Il libro, come la trasmissione che Kaminer stesso conduce su MultiKulti, Wladimirs Welt, è la cronaca delirante delle serate che lui stesso ha inventato e continua a organizzare al Kaffee Burger, scatenando un'attenzione da culto di massa.

Il fenomeno Kaminer, come altre trasmissioni che sono riuscite a creare delle comunità virtuali, hanno confermato la convinzione degli ideatori del palinsesto di Multikulti che l'anche ingenua giustapposizione di lingue diverse finisse col creare per contatto, attrito, adesione molecolare, un campo fertile di rielaborazione culturale e musicale. «È vero che ci sono ancora diverse rigidità», ci dice Marta Ricci «e che alcuni programmi somigliano molto a una mera finestra folkloristica, ma questo è il senso di una radio che si muove verso forme inedite di confronto e quindi di integrazione. I luoghi comuni sono il primo, e forse inevitabile, approccio a una cultura che non conosciamo. L'importante è non fermarsi a quelli.

E insomma, a parte le visioni benettoniane sul multilinguismo e gli incontri fra i popoli, questa radio sembra proprio la dimostrazione della realizzabilitàdi una prospettiva di integrazione. E viene da domandarsi quanto questomodello sia esportabile. In Italia esempi ce ne sono ma sono veramentesporadici: qualche frequenza che trasmette in arabo nel Nord Italia, ilprogramma Rai Permesso di Soggiorno, un'ora o due a settimana sul varieemittenti private... Il problema è che forse se un immigrato sarà benaccetto solo finché bada a nostra nonna, una Multikulti è molto aldilà da venire».