il manifesto - 15 Novembre 2002
A ogni procura il suo migrante
Bologna, Verona, Firenze... interpretazioni opposte di procuratori e pm su come processare gli immigrati clandestini: liberi o agli arresti?
SARA MENAFRA
Si allargano le polemiche «giuridiche» sull'applicazione della legge Bossi Fini. Dopo il ricorso in Cassazione partito da Bologna e mentre la legge anti-immigrati passa dal rodaggio al funzionamento completo si scopre che non c'è procura o tribunale d'Italia che in questi giorni non si sia trovato davanti al problema di come mettere in pratica la legge. E spesso le soluzioni divergono di parecchio. Se a Bologna il procuratore Di Nicola esenta i pm che vogliono giudicare gli immigrati a piede libero (cioè scarcerandoli immediatamente dopo l'arresto) e li definisce «obiettori», a Verona l'indicazione per tutti è esattamente opposta: «La legge contiene delle gravissime contraddizioni - spiega il pm Guido Papalia - ma è evidente che applicando il codice si deve immediatamente liberare la persona arrestata. L'unica eccezione che a Verona riteniamo ammissibile è nel caso che al momento dell'arresto ci sia un giudice disponibile a tenere immediatamente un'udienza. Solo in quel caso si va direttamente in tribunale». A Torino e a Modena le contraddizioni emerse vanno ancor più in profondità: entrambi i tribunali sostengono che le norme sul reato di «permanenza clandestina in Italia» non sono applicabili. Dal capoluogo piemontese è partito un nuovo ricorso, questa volta diretto alla corte costituzionale e firmato dal giudice Paolo Gallo. Il problema è che l' «arresto in flagranza « secondo il codice è previsto solo per atti di «spiccatissima pericolosità sociale» e non per quelli di «modesta entità» come nel caso del nuovo reato istituito dalla Bossi Fini, che è invece una «contravvenzione», cioè un reato minore. Tradotto in termini non giuridici vuol dire che a paarità di reato un immigrato «clandestinamente presente in Italia» viene trattato peggio di una qualunque altra persona che compie una contravvenzione. E questo oltre ad essere un meccanismo raccapricciante, è pure incostituzionale. Per questo il giudice Gallo ha deciso di non convalidare gli arresti fatti e di mandare tutto alla Corte costituzionale. A partire dallo stesso ragionamento i giudici di Modena hanno deciso di non convalidare nessun arresto compiuto per il reato di «permanenza clandestina in Italia». «I giudici si arrogano un diritto che non hanno» ha inveito il ministro Giovanardi, modenese anch'egli. E ieri il pm Manfredi Luongo gli ha risposto senza troppe parafrasi: «I magistrati si arrogano il potere che hanno di interpretare e applicare rigorosamente la legge. Se la legge non è fatta bene la colpa non è certo dei giudici». Infine c'è il caso della procura di Milano, dove l'altro giorno il pm Rolleno ha rimesso in libertà due stranieri perchè a causa della loro «assoluta indigenza» non avevano soldi per pagarsi il viaggio di ritorno, è ancora presto per capire quali conseguenze potranno avere questi primi clamorosi provvedimenti. Il procuratore capo Gerardo D'Ambrosio li ha definiti «ineccepibili», ma questo non significa che la procura sia orientata a mettere i bastoni fra le ruote della legge Bossi-Fini. Del resto a Milano, fatta eccezione per transessuali e prostitute, in questi ultimi tempi le espulsioni sono state ufficiosamente sospese proprio perchè era in corso la sanatoria. Si capirà solo nelle prossime settimane quanti pubblici ministeri saranno in grado di muoversi autonomamente applicando un meccanismo che sui grandi numeri potrebbe anche disinnescare uno degli aspetti più odiosi della legge, l'arresto per immigrazione clandestina.