il manifesto - 24 Ottobre 2002
L'espulsione forzata della piccola Tabita
Belgio, l'incredibile storia di una bambina profuga di 5 anni rispedita in Congo per un «errore di comunicazione» tra due ministeri
ALBERTO D'ARGENZIO
BRUXELLES
«Un problema di comunicazione» tra il ministero degli interni e quello degli esteri belga. Dietro questa frase fredda si nasconde il dramma di una bambina congolese di 5 anni, Tabita Mubillanzila, arrivata in Belgio il 18 agosto ed espulsa lo scorso giovedí, rimandata da sola in Congo e lí da nessuno accolta. Tra un'operazione e l'altra il Belgio è riuscito a violare un paio di convenzioni internazionali, quella sui diritti dei minori e quella sui rifugiati, oltre alla normativa nazionale sulle espulsioni. Il dramma di Tabita diviene così anche una storia paradigmatica di come al di là delle discussioni astratte sul diritto di asilo - un tema affrontato proprio in questi giorni dai 15 e dal parlamento europeo - si nascondano ordinarie vicende fatte di incomprensione, imbroglio, prevaricazione e, come in questo caso, assurdità ed incoscienza. Tabita è orfana di padre, un ruandese morto durante la guerra civile, mentre la madre vive in Canada come rifugiata politica. Tabita, a cui in patria rimane solo uno zio studente, arriva in Europa in agosto, un viaggio intrapreso con la speranza di accelerare i tempi e le pratiche per il ricongiungimento con la madre. Al suo arrivo all'aeroporto internazionale di Zaventem, appena fuori Bruxelles, Tabita viene invece fermata dalla polizia: la piccola è senza documenti ed il Belgio non ha ancora approvato una normativa specifica per i minori non accompagnati. Uno zio di Tabita che vive in Olanda prova a presentare una domanda di asilo politico, una richiesta che viene rigettata sia dall'Ufficio stranieri che dal Commissariato generale belga per i rifugiati. Priva di documenti validi e in barba alla Convenzione sui diritti dei minori, Tabita viene internata in un centro di transito per immigrati irregolari, il Centro 127bis appena fuori dell'aeroporto. Del caso si interessa immediatamente l'Alto comissariato per i rifugiati delle Nazioni unite che presenta un rapporto all'Ufficio belga per gli stranieri secondo cui la piccola deve raggiungere la madre in Canada, vista l'assenza di garanzie offerte da un rimpatrio in Congo. A questo fine viene anche contattata l'ambasciata canadese di Parigi che si dichiara disposta a fare tutto il possibile per accelerare le pratiche per il ricongiungimento familiare. Anche lo zio «olandese» di Tabita si mobilita e insieme al servizio belga di assistenza ai minori trova una famiglia disposta ad ospitare la bambina fino alla sua partenza per il Canada.

Tutto sembra procedere per il verso giusto, quello del ricongiungimento, tanto che il 16 ottobre la camera di consiglio di Bruxelles dispone l'immediata liberazione di Tabita dal Centro127bis sulla base della Convenzione per i diritti dei minori. Ma la procura non è d'accordo e si oppone decisamente alla liberazione. Da lí in poi è tutto un susseguirsi di scelte incoscienti. Il ministero degli interni dispone il rimpatrio inmediato, convinto che lo zio che vive in Congo sia in grado di raccogliere e occuparsi della bambina. Tabita viene così espulsa, imbarcata da sola su una aereo Bruxelles-Kinshasa, ma quando arriva all'aeroporto di destinazione non trova nessuno. Qui entra in gioco «il problema di comunicazione» tra ministeri, l'ambasciata belga in Congo aveva infatti rintracciato lo zio, ma aveva altresí sottolineato, confida un diplomatico, «che questi non era pronto ad accogliere la piccola, un rischio peraltro segnalato al ministero degli interni». La piccola, abbandanota a sé stessa nell'aeroporto di Kinshasa, veniva affidata a un funzionario della polizia congolese. «Il Belgio ha dimostrato un'attitudine imperdonabile - accusa Benoit van Keirsbilk dell'associazione Minori in esilio - che provoca solamente collera e disgusto; oltretutto quello di Tabita non è un caso isolato».

La storia di Tabita ha avuto il pregio di portare alla luce vuoti legislativi e cattive pratiche che colpiscono regolarmente i richiedenti asilo, errori che non vengono cancellati con leggi migliori ma compensati con interventi ad hoc. Probabilmente la piccola rivedrà infatti presto la madre in Canada: il premier belga Guy Verhfstadt e quello canadese Jean Chretien, che si sono incontrati al vertice dei paesi francofoni di Beirut, hanno affrontato il caso e promesso di trovare quanto prima una soluzione. Ma resta irrisolto il problema di fondo, quello dei diritti.