il manifesto - 12 Ottobre 2002
Il palinsesto che fa paura agli emiri
Dopo le violente proteste degli Stati uniti durante la guerra in Afghanistan, adesso anche cinque stati del Golfo minacciano il Qatar: abbassa il volume di Al Jazeera o sarà boicottaggio. Ma la scomoda televisione via satellite continua a informare il mondo arabo. E a dare fastidio a tutti
TARIQ ALI
Non ci sono solo gli Stati uniti, a chiedere di spegnere Al Jazeera. Cinque paesi del Golfo persico hanno ingiunto al Qatar di far abbassare i toni alla sua scomoda televisione via satellite. Dopo una riunione tenuta due giorni fa, i ministri dell'informazione di Kuwait, Arabia saudita, Oman, Bahrein e Emirati arabi uniti hanno minacciato il Qatar di boicottaggio. Nel mirino c'è «Direzione opposta», un programma di dibattito tra esponenti di opposte fazioni politiche.



Al Cairo e ad Abu Dhabi, le due capitali arabe che ho visitato quest'anno, una volta tanto la strada e il palazzo sono in sintonia. Un attacco preventivo a Saddam Hussein basato sulla motivazione che, in futuro, egli potrebbe autorizzare la produzione di armi nucleari sarebbe per la popolazione della regione una classica dimostrazione dei doppi standard imperiali. La gente sa che il solo paese a possedere armi nucleari e chimiche è Israele. L'opinione pubblica araba non era mai più stata così unita da decenni. E un'emittente televisiva via cavo, Al Jazeera ("la Penisola"), sta svolgendo un ruolo cruciale promuovendo e simboleggiando questa unità. Al Jazeera ha suscitato nella regione una consapevolezza di massa, proponendo un'analisi spietata sui problemi del mondo arabo. Nel periodo nazionalistico della storia politica araba, l'unità era il tema ricorrente. Prima c'era stato Nasser, con il suo sogno di una repubblica araba unita. Poi la sconfitta in guerra. Quindi i lamenti dei poeti esiliati - il siriano Nizar Qabbani, il palestinese Mahmoud Darwish e l'iracheno Muthaffar al-Nawab. La diva egiziana Um Kalthoum cantava i loro versi ed era adorata. Infine l'oscurità.Nel 1991 la Guerra del Golfo ha demoralizzato e atomizzato il mondo arabo. I dissidenti laici continuavano a incontrarsi nei caffè di Damasco, Baghdad, Beirut e il Cairo, ma potevano parlare solo bisbigliando. Altrove, le moschee sono diventate i centri organizzativi di una resistenza confessionale al Nuovo Ordine e al Grande Satana su cui esso poggiava. Le televisioni di stato continuavano a trasmettere propaganda della più cruda; impossibile sentire critiche ai governi. Poi, nel 1996, è arrivata Al Jazeera. Questa, come spiegano Mohammedel-Nawawy e Adel Iskandar nel loro nuovo libro, è un'emittente televisiva che sconfigge tabù e proibizioni. Dalla sera alla mattina, gli spettatori arabi hanno abbandonato le reti di stato, e i conduttori dei telegiornali e dei talk-show di Al Jazeera sono divenuti all'istante delle celebrità.

Non si assisteva a niente del genere dall'inizio degli anni `60, quando al Cairo, a Baghdad e a Damasco le stazioni radio incitavano ogni giorno gli ascoltatori a far cadere tutte le teste coronate della regione. Il re di Giordania rischiò di essere deposto e la monarchia saudita fu seriamente destabilizzata. In entrambi i paesi, le rivolte nazionaliste furono spezzate con il contributo dell'Occidente. Al Jazeera non ha di queste ambizioni: gli uomini che la gestiscono sono fin troppo consapevoli del fatto che è una testa coronata, l'eccentrico emiro del Qatar, a mettere a disposizione i fondi e la sede che ne garantiscono il funzionamento. L'emiro ha anche autorizzato gli Usa a costruire la più grande base militare della regione, che vanta una pista di decollo di 13.000 piedi (poco meno di 4.000 metri, ndt), ultimata recentemente, per bombardieri pesanti. Senza dubbio l'attacco all'Iraq partirà da questa base, mentre i commentatori di al-Jazeera denunceranno l'aggressione Usa.

L'idea di una rete televisiva araba semi-indipendente fu suggerita per la prima volta dai giornalisti del Bbc World Service e sostenuta dal Foreign Office. Fu firmato un accordo con la rete radiotelevisiva Orbit per la produzione di un notiziario in arabo destinato al canale Orbit in Medio Oriente. Ma l'Orbit era di proprietà dei sauditi, e i suoi finanziatori non intendevano permettere critiche al Regno Saudita. Il progetto fallì nell'aprile 1996 dopo che fu mandato in onda il filmato di un'esecuzione pubblicata. La Bbc si ritirò e i giornalisti arabi in esubero si misero in cerca di un nuovo incarico. Furono fortunati: la loro ricerca coincideva con un cambiamento di governanti nel piccolo stato del Qatar.

Nel 1995 il vecchio emiro, un tradizionalista, era stato deposto da suo figlio Hamad bin Khalifa al-Thani, che aveva promesso di modernizzare il piccolo stato. Esordendo con un gesto clamoroso, egli aveva abolito il ministero dell'informazione e, quando venne a sapere del fallimento dell'iniziativa della Bbc, offrì ai giornalisti una sede a Doha e 140 milioni di dollari per far ripartire le trasmissioni. Insieme, il padre e il nonno dello sceicco Hamad possedevano 452 automobili, comprese le fuoriserie prodotte appositamente per loro. In confronto una stazione televisiva deve essere apparsa economica, e ha dato allo sceiccato più visibilità e prestigio che mia.

Praticamente nessuno dei giornalisti venuti a lavorare per la nuova emittente era del posto. Siriano di nascita, Faisal al-Kasimil, il conduttore più scomodo di Al Jazeera e ora uno dei più rispettati giornalisti del mondo arabo, ha studiato teatro a Hull e ha lavorato dieci anni come anchorman per il servizio arabo della Bbc. Il suo show, The Opposite Direction, comprende dibattiti politici e confronti, condotti con una intensità raramente vista sulle reti occidentali.

Quando l'ho incontrato ad Abu Dhabi aveva appena finito di rilasciare un'intervista al giornale locale e stava dribblando altri giornalisti e ammiratori. Gli ho chiesto se le polemiche sul suo show stiano sparendo. «Quelle non finiscono mai» ha risposto lui. «La gente non riesce a credere che sia io a scegliere gli ospiti e gli argomenti. Nessuna autorità ha mai cercato di influenzarmi o censurarmi, e godo di molta più libertà che alla Bbc».

I primi tempi, per via di Al Jazeera, il governo del Qatar riceveva dagli altri governi arabi almeno una protesta ufficiale al giorno: cinquecento solo nel primo anno. Gheddafi ha ritirato il suo ambasciatore dal Qatar dopo che la stazione aveva trasmesso un'intervista a un leader dell'opposizione libica; l'Iraq ha protestato quando Al Jazeera ha rivelato la somma spesa per festeggiare il compleanno di Saddam; la Tunisia si è arrabbiata perché accusata di aver violato i diritti umani; i giornali iraniani se la sono presa con le "offese" all'ayatollah Khomeini; l'Algeria ha tagliato la corrente elettrica in molte città per impedire ai suoi cittadini di assistere a un programma che accusava il suo esercito di complicità in vari massacri; Arafat ha obbiettato al fatto che fossero intervistati i leader di Hamas, e Hamas si è arrabbiata per l'apparizione di politici e generali israeliani a The Opposite Direction.

Le critiche dei dissidenti trasmesse da Al Jazeera hanno fatto infuriare il governo saudita e quello egiziano. Prima del'11 settembre, per attirare l'attenzione sull'Arabia Saudita serviva la morte di un occidentale, ma il furore non è durato mai a lungo. Negli ultimi dieci anni i sauditi hanno speso centinaia di milioni di sterline per tenere a freno gli imperi mediatici occidentali e arabi e i loro dipendenti. Le posizioni di Al Jazeera sono apparse come un tradimento. Riyadh e il Cairo hanno esercitato una forte pressione sul Qatar perché mettesse all'emittente la museruola, ma l'emiro ha ignorato le proteste e il suo governo ha negato che il canale sia il suo strumento di politica estera.

I primi anni, Al Jazeera era stata accolta a Washington e a Gerusalemme con favore. Thomas Friedman, il columnist del New York Times, ha celebrato la sua nascita con una valanga di lodi: Al Jazeera avrebbe segnato, secondo lui, l'alba della libertà araba. Allo stesso modo, due anni fa, Ehud Ya'ari ne tesseva le lodi sul Jerusalem Report: «Da un piccolo, modesto prefabbricato a cinque minuti di macchina dal diwan dell'emiro, oggi il piccolo sceiccato del Qatar produce una merce molto richiesta nel mondo arabo: la libertà». «I potenti segnali video» della rete, continuava, «stanno gradualmente cambiando l'ordine culturale e politico del Medio Oriente».

Quanto è successo lo scorso settembre ha messo fine a questi panegirici, specialmente dopo che Al Jazeera ha mandato in onda interviste a bin Laden e al suo vice egiziano, al Zawahiri. Le interviste a bin Laden sono state bandite dalle televisioni occidentali con la scusa che potevano contenere istruzioni in codice. In realtà, i lineamenti morbidi di bin Laden avrebbero messo in crisi il suo ritratto come incarnazione del male. A Berlino, lo scorso ottobre, un produttore televisivo mi ha raccontato preoccupato che suo figlio di dieci anni, dopo aver visto bin Laden in tv, aveva osservato: «Papà, sembra Gesù».

Attualmente il Qatar è sottoposto a pesanti pressioni perché intervenga su Al Jazeera. Maureen Quinn, ambasciatrice Usa, ha inoltrato una vibrata protesta al ministro degli esteri. Lo scorso ottobre Colin Powell è stato inviato a fare pressione sull'emiro, che ancora una volta ha sottolineato che lo stato non poteva interferire con quella che ha definito una «operazione commerciale privata». I rappresentanti del governo Usa che hanno incontrato i dirigenti di Al Jazeera sono stati ascoltati educatamente ed è stato spiegato loro che l'emittente sarebbe stata felice di intervistare il presidente americano o i suoi collaboratori: Condoleezza Rice, Tony Blair e Colin Powell avrebbero potuto esporre il loro punto di vista senza limitazioni di tempo. L'effetto di queste trasmissioni sull'opinione pubblica araba è stato nullo.

Quando è cominciato il bombardamento dell'Afghanistan, Al Jazeera è stata la sola rete a inviare regolarmente notizie, ed è cominciata la sua ascesa. I suoi servizi erano ricercatissimi e venivano acquistati, attentamente editati e trasmessi dalla Cnn, dalla Bbc e da tutte le principali rete europee. Poi a Kabul è stato bombardato l'edificio che ospitava lo studio temporaneo di Al Jazeera proprio mentre un giornalista della Bbc, che ne stava utilizzando le attrezzature, aveva cominciato a trasmettere un servizio in diretta. Lui cadde a terra e noi assistemmo al bombardamento «accidentale» in diretta sui nostri schermi. Quando, nel 1999, una stazione televisiva di Belgrado fu colpita dalle forze Nato, Clinton e Blair ammisero che il bombardamento era stato deliberato e lo giustificarono sostenendo che essa faceva «disinformazione deliberata». Ma etichettare il Qatar come nemico sarebbe difficile e così, quando hanno dovuto spiegare il bombardamento a Kabul, i portavoce sono stati molto più attenti: l'edificio era stato colpito, hanno sostenuto, in seguito a «informazioni» secondo cui esso avrebbe ospitato sospetti appartenenti ad Al Qaida, e non sapevano che si trattasse di una sede di Al Jazeera.

Dopo che, il mese scorso, i tank israeliani sono entrati a Nablus, la rete ha trasmesso un servizio sul seguente episodio (la descrizione che segue è stata diffusa da Law, un'organizzazione palestinese per i diritti umani):

Khaled Sif (41 anni), sposato e con quattro figli, ha ricevuto una chiamata sul suo telefono cellulare. Per avere un segnale migliore è uscito in balcone. Nel momento in cui è uscito, le forze israeliane gli hanno sparato alla testa uccidendolo. Dopo aver sentito lo sparo Muhammad Faroniya, sposato e con sei figli, ha raggiunto il balcone. Le forze israeliane hanno aperto il fuoco e hanno sparato anche a lui, ferendolo al petto e all'addome. Mahmoud Faroniya, fratello di Muhammad, ha cercato di salvare suo fratello, ma le forze israeliane gli hanno puntato i fucili impedendoglielo. Muhammad è morto dissanguato. Secondo testimoni oculari, le forze israeliane hanno deliberatamente lasciato che Muhammad Faroniya perdesse sangue per 90 minuti.

La documentazione quotidiana, su Al Jazeera, di storie come questa stride con ciò che viene mostrato in Europa, per non parlare degli Usa. Durante la guerra del Golfo la Cnn consolidò la sua reputazione grazie al lavoro del corrispondente Peter Arnett, che rimase a Baghdad e i cui servizi sulle morti di civili e il bombardamento di obiettivi non militari fecero imbestialire l'amministrazione Usa, con il risultato che oggi i governi occidentali, durante le fasi di conflitto, sono molto più attenti nel controllare l'accesso alle informazioni. Essi inoltre si sforzano in tutti i modi di fermare chiunque tenti di dare quelle notizie che loro vorrebbero sopprimere.

Non essendo riusciti a limitare l'influenza di Al Jazeera, gli Usa cercheranno ora di scimmiottare il suo successo. Mentre la guerra in Iraq appare imminente - una guerra che non gode di alcun sostegno nel mondo arabo - è nato un progetto per il lancio di un canale satellitare in arabo finanziato dallo Us Information Service, a cui si può aggiungere anche l'expertise della Cnn e della Bbc World. Sostenere che gli arabi abbiano subìto il lavaggio del cervello, e che tutto ciò che serve per rimetterli a posto siano dosi regolari di Bush e Blair, significa ignorare ogni realtà della regione. Ma il progetto è già in fase avanzata.«Che nome daranno al loro canale satellitare?» ho chiesto a Faisal al-Kasim. «L'Impero?» «No» mi ha risposto lui. «Hanno già un nome. Al Haqiqat». Perfettamente corrispondente alla parola russa Pravda.

Traduzione di Marina Impallomeni