il manifesto - 12 Ottobre 2002
Immigrati, nuove carceri a tutto spiano
Via libera del governo alla realizzazione di nuovi centri di permanenza temporanea per immigrati irregolari. Saranno i prefetti a decidere tutto: la materia diventa sempre più opaca. A Torino manifestazione contro i cpt
CINZIA GUBBINI
ROMA
La scusa è lo «stato d'emergenza» causato dall'«eccezionale afflusso di cittadini extracomunitari giunti irregolarmente in Italia»; il risultato è un'ordinanza - pubblicata giovedì sulla Gazzetta ufficiale - che accelera le procedure per aprire nuovi centri di permanenza temporanea (cpt). In pochi articoli l'ordinanza introduce nuove regole per l'individuazione e la costruzione dei centri, dove vengono rinchiusi gli immigrati in attesa di espulsione, riparandosi sotto l'ombrello dello «stato d'emergenza nazionale» deciso il 20 marzo scorso e in vigore fino al dicembre 2002. Primo: non è più necessario l'intervento della Commissione ministeriale (interni, welfare e tesoro) per decidere se un luogo è idoneo o no a «ospitare» immigrati irregolari. Secondo: sarà il capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione - Anna Maria D'Ascenzo - «ad adottare tutte le misure necessarie per allestire le strutture», sia per quanto riguarda i nuovi centri che per l'ampliamento di quelli già esistenti, consultandosi con i prefetti competenti. In pratica la costituzione dei cpt, d'ora in poi, sarà in mano ai prefetti rendendo sempre più frammentario il quadro italiano, e quindi meno controllabile. D'altro canto l'assoluta emergenza individuata dal governo nella realizzazione di nuove strutture detentive, denuncia i rischi di una politica basata sul concetto di controllo totale - la legge Bossi-Fini, infatti, prevede il trattenimento per tutti gli immigrati irregolari.

In questa cornice, è apprezzabile il tempismo della manifestazione nazionale indetta dal Tavolo migranti del Social forum il 30 novembre a Torino contro i cpt. I segnali, infatti, sono allarmanti: «Questa ordinanza permetterà, ad esempio, di aggirare tutte le norme sulla contabilità dello stato - osserva l'avvocato dell'Asgi (Associazione studi giuridici sull'immigrazione) Fulvio Vassallo Paleologo - come gli appalti, tanto per dirne una. Ma la cosa più grave è che l'ordinanza parla anche dei centri di identificazione, che serviranno come strutture detentive per i richiedenti asilo, ancora totalmente privi di regolamentazione». Così, la costruzione di strutture ancora senza regole si avvia in una cornice di «stato d'emergenza». Ma mette sull'attenti anche una delega tanto larga a un singolo rappresentante dello stato: «Si amministrativizza il diritto - spiega l'avvocato genovese Roberto Faure - cioè si tende a togliere il potere decisionale agli organi eletti dai cittadini, per ricacciarli nelle mani di figure interne agli organismi ministeriali». In pratica, tutto diventa meno controllabile. Non che i cpt lo siano mai stati: «Siamo in pochi a cercare di monitorare qual è la situazione dentro questi posti - spiega la deputata di Rifondazione Graziella Mascia - ma così si va verso una spirale preoccupante, in questi casi non si può cedere a logiche emergenziali». C'è di mezzo la libertà personale.

Ma la necessità impellente di costruire nuovi centri detentivi per immigrati non è data certo solo dalla mediatizzata «emergenza clandestini». Il governo, infatti, si trova a fare i conti con la sua stessa politica. «Questo è il risultato del mettere il fenomeno migratorio solo in termini di sicurezza» - spiega l'avvocato milanese Pietro Massarotto. «La verità è che il problema dei nuovi cpt ci sarebbe comunque, anche senza sbarchi più numerosi. La legge Bossi-Fini, infatti, impone la detenzione o l'espulsione immediata, molto difficile da realizzare, per ogni immigrato irregolare. L'emergenza è creata dalla norma, non dal fenomeno in sé».

Ultimo punto: e i soldi? La relazione illustrativa della Bossi-Fini presentata nel 2001 prevedeva che i contributi non riscattati dai lavoratori extracomunitari potessero essere utilizzati per il controllo dell'immigrazione «clandestina». Poi la legge è cambiata, concedendo anche agli immigrati il riscatto dei contributi compiuti i 65 anni. Ma che fine fanno i soldi di chi non arriva ai 65? Al governo l'ardua risposta.