il manifesto - 24 Settembre 2002
Mercato del lavoro nero e blocco dei flussi dietro le stragi sulle coste siciliane
Un mare di cadaveri
A Ragusa si cercano i corpi di altri cinque immigrati naufragati domenica, ma il numero delle vittime potrebbe crescere ancora. Caccia al secondo scafista
PATRIZIA ABBATE
RAGUSA
E'un mare di morte, ormai, quello siciliano. Cadaveri che affiorano, cadaveri che scompaiono tra i flutti e chissà quando e se verranno ritrovati. Domenica è toccato ai bagnanti di Scoglitti l'amaro compito di essere testimoni, in diretta, dell'ennesima strage di clandestini. Una mattanza che - a una settimana esatta dalla tragedia di Porto Empedocle che ha registrato 37 vittime - ha avuto come teatro una delle più suggestive spiagge della costa meridionale dell'isola, nella provincia ragusana. Il bilancio provvisorio è di nove morti recuperati, un uomo in coma (ma i medici non disperano di salvarlo), cinque cadaveri avvistati e poi persi di vista tra le onde di un mare forza otto. Ieri le motovedette di carabinieri e polizia, supportate da barche messe a disposizione da privati, e gli elicotteri della Finanza e della Marina militare hanno continuato a setacciare la zona senza tregua, almeno fino a quando, nel pomeriggio, le peggiorate condizioni atmosferiche li hanno costretti a desistere. Perché i conti non tornano: nell'imbarcazione ci sarebbero stati una cinquantina di «viaggiatori», i superstiti bloccati da polizia e carabinieri tutt'intorno alla spiaggia sono una quindicina, che sommati ai morti accertati e a quelli solo avvistati lasciano comunque un dubbio atroce: dove sono finiti tutti gli altri?

Un dubbio che domenica i soccorritori non hanno avuto il tempo di porsi, mentre lottavano col mare in tempesta per cercare di strappare più vite possibile alle onde. La giornata d'inferno era cominciata poco dopo mezzogiorno con l'arrivo di un barcone bianco e azzurro che si è fermato a circa duecento metri dalla battigia: c'è voluto poco a capire che non si trattava di un peschereccio ma dell'ennesima carretta carica di disperati in cerca di una vita migliore, costretti a buttarsi in acqua dagli scafisti che credono di sfuggire così ai controlli che si fanno via via più intensi ma si dimostrano inefficaci, almeno come deterrente. Stabilire se i clandestini siano stati buttati in acqua con la forza (come assicura qualche testimone) o se si siano tuffati di propria iniziativa sembrerebbe a questo punto irrilevante: l'alternativa era comunque raggiungere l'Italia a nuoto o tornare indietro al porto di partenza, che ormai dovrebbe essere stato individuato nei pressi di Monastir, in Tunisia, lo stato in cui risulta registrata l'imbarcazione. Tunisino è anche il presunto scafista catturato qualche ora dopo lo sbarco mentre tentava di allontanarsi in direzione Malta: si chiama Cheiko Sabbi, ha 27 anni, e alcuni superstiti lo hanno additato come il «comandante», mentre un secondo uomo si è dileguato e viene ricercato. Sabbi ieri è stato torchiato per ore dagli inquirenti coordinati dal sostituto procuratore di Gela Alessandro Sardo Sutera che di primo mattino l'hanno riportato in manette sulla spiaggia della tragedia. L'uomo ha raccontato di aver ricevuto una «grossa somma di denaro» che ha consegnato alla famiglia prima di partire. Ha negato, invece, di aver costretto gli immigrati a tuffarsi in mare: ««Sono state le onde, La barca si agitava, non sapevo come farla stare ferma».

Il tam tam ufficioso dice che il tunisino arrestato starebbe collaborando e raccontando dell'organizzazione che starebbe alle spalle di quelli come lui, chi ha organizzato il viaggio che avrebbe dovuto portare in quella zona del Ragusano, fitta di serre e campi che danno già lavoro a migliaia di extracomunitari, nuove braccia solide, magari già attese da chi organizza quella che ha tutta l'aria di una tratta di manodopera e che presumibilmente si alimenterebbe di complicità anche nelle terre d'approdo. A supporto di quest'ipotesi la presenza di tanti tunisini residenti nel ragusano in quella spiaggia, nelle concitate ore dell'arrivo: qualcuno aspettava un amico, un parente; un uomo era disperato perché sapeva che il proprio figlio ventiduenne sarebbe arrivato lì, «entro il 10 ottobre», spiegava, ma non lo trovava né tra i morti né tra i vivi. E poi il fatto che nel barcone ci fossero solo uomini giovani: il più piccolo ha dodici anni ed è stato salvato da alcuni connazionali con la respirazione bocca a bocca. Anche se tra i soccorritori c'è chi giura di aver intravisto il cadavere di una donna e di averne afferrato il piede, rimanendo però solo con una scarpa in mano. Inoltre, c'è anche il racconto di alcuni sopravvissuti a suffragare la versione di un viaggio che aveva come meta proprio quella zona e un posto di lavoro sicuro, ancorché in nero. La speranza di riuscire ad approfittare della «sanatoria» e di poter quindi regolarizzarsi subito, poi, avrebbe convinto i più ad approfittare di un'occasione che sembrava davvero d'oro, e per la quale i clandestini avrebbero speso circa 800 euro a testa. Dovevano servire a comprare un futuro che per molti non ci sarà più.