il manifesto - 24 Settembre 2002
«L'Italia chiede aiuto, ma pensa solo alla repressione»
Anna Terròn i Cusi, della Commissione Libertà: «Non esiste una politica comune europea sull'immigrazione»
ALBERTO D'ARGENZIO
BRUXELLES
Italia chiama Europa, sulla scia di tragedie ormai troppo frequenti il ministro degli interni Giuseppe Pisanu invoca Bruxelles perché accorra in aiuto nel controllo delle frontiere e nella conseguente lotta al traffico di esseri umani. Che la politica migratoria sia una questione europea è cosa ormai decisa da anni ma resa effettiva solamente in parte. Al vertice di Tampere del 1999 il Consiglio ha tracciato le linee politiche principali e quindi in quello di Siviglia, del giugno scorso, ne ha definito parzialmente i contenuti. In Finlandia i 15 scelsero una strategia a tre gambe: politica comune sull'asilo ed i rifugiati; armonizzazione delle regole per l'immigrazione legale e conseguente contrasto di quella illegale. In sostanza una faccia buona, una cattiva ed un'altra funzionale a cercare di regolare il mercato del lavoro (buona o cattiva?), un insieme, redatto dalla Commissione europea che la stessa considera "equilibrato", sempre che venga sviluppato armonicamente. Mancava e manca una quarta gamba, cioè cosa intende fare l'Europa nel mondo, di fatto senza una presa di coscienza in politica estera qualsiasi politica di controllo dell'immmigrazione è destinata al fallimento. Una buona occasione per fare il punto della situazione con l'eurodeputata socialista spagnola Anna Terrón I Cusí, membro della Commissione libertà e specialista in immigrazione.

15 morti in Sicilia domenica. Altri 234 clandestini approdati ieri alle coste canarie ed andaluse. Il dramma immigrazione colpisce direttamente Italia e Spagna ma è un affare europeo, almeno a parole.

Ci sono proposte sulla tavola che sono concretissime e non solamente repressive: il ricongiungimento familiare, lo statuto di residente di lunga durata, la proposta di residenza ed ammissione per ragioni di lavoro. Il problema assolutamente incredibile è che sia un governo, in questo caso quello italiano, a chiedere che l'Europa faccia qualcosa per l'immigrazione quando sono i governi stessi a non essere disposti ad approvare una legislazione comune: non si è avanzati in nessuna delle proposte decise a Tampere. Ma non si tratta solamente di un ritardo, stanno iniziando la casa dal tetto. Il Consiglio non definisce una politica legale di immigrazione ed invece stabilisce un controllo europeo. È assurdo perché puoi stabilire un controllo comune per applicare una legge comune, ma se non esiste, se ognuno ha un proprio quadro legislativo e non esiste un coordinamento europeo a livello di entrata legale, non c'è un canale europeo ragionevole e chiaro, l'opzione che rimane a chi viene in Europa è l'asilo e l'immigrazione illegale.

Oggi il Parlamento ha discusso proprio la proposta della Commissione sulla politica comune di asilo.

Mi sembra una proposta tarata verso il basso. Un'altra volta il problema è che non c'è un'armonizzaizione legislativa: continuano ad esistere luoghi come Sangatte, i rifugiati cercano di andare nei paesi in cui pensano di avere più possibilità.

In mezzo a questo vuoto legale europeo 9 paesi hanno cambiato o stanno cambiando, in senso restrittivo, la loro legislazione nazionale.

È una situazione kafkiana. Si tratta di un tema molto sensibile elettoralisticamente, tutti stanno facendo legislazioni più restrittive ed al tempo stesso d'appertutto si contratta mano d'opera legale ed illegale. Per esempio non esiste ancora un sistema di ispezione europea del lavoro. Abbiamo un mercato unico comune però con norme nazionali per un determinato tipo di lavoratori, gli immigrati, che spesso lavorano in condizioni di illegalità.