il manifesto - 19 Settembre 2002
Immigrazione e diritti, Bruxelles in ordine sparso
Si è aperta la conferenza internazionale dell'Oim sulle migrazioni. Ma non c'è accordo nemmeno sulla lotta al traffico degli esseri umani
ASTRIT DAKLI
INVIATO A BRUXELLES
Il gran circo del Parlamento europeo vede in pista, da ieri e per tre giorni, il problema immigrazione; anche se preso da un punto di vista molto particolare e per certi versi deviante quale la lotta al traffico di esseri umani. Nel grande emiciclo del palazzo di Bruxelles si alternano alla tribuna ministri nazionali e commissari europei, deputati e alti funzionari, responsabili di ong e studiosi, per una Conferenza messa in piedi dall'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim): molto lavoro alle spalle, ma alla fine solo una sfilata di belle dichiarazioni d'intenti e appelli alla cooperazione, promesse e annunci il cui risultato concreto è ancora tutto da verificare _ e il pessimismo è più che lecito, visto il clima politico dominante in questo momento in Europa in materia di immigrazione. Lotta al traffico di esseri umani, dunque. In assenza di una precisa e universalmente accettata (almeno a livello europeo) definizione di reato, per i governi la questione si riduce al tema «prostituzione forzata», con al più qualche estensione nell'ancora oscuro campo del traffico di bambini e timidissime avances in quello del lavoro forzato. Ma intanto è già qualcosa che almeno si affronti il problema sul versante dei diritti umani oltre che su quello dell'invalicabilità delle frontiere, dei muri, delle misure di polizia e della mobilitazione delle forze armate. Nella conferenza si parla di questo, ovviamente (altrimenti non sarebbe stata nemmeno possibile: dopo il summit di Siviglia ormai il tema immigrazione clandestina è stato imposto come «pericolo principale» nell'agenda europea) ma si parla anche di «protezione delle vittime» del traffico di esseri umani. Anzi, grazie al fatto che la Conferenza non tocca solo i governi ma vede una folta partecipazione di organismi umanitari internazionali e organizzazioni non governative, se ne fa uno dei punti più importanti, che avrà un notevole peso nella dichiarazione finale.

E quando si parla di protezione delle vittime, un punto chiave è quello del permesso provvisorio di soggiorno che deve essere concesso alle vittime per consentir loro di collaborare alla lotta contro i trafficanti. Oggi solo pochissimi paesi prevedono questa possibilità, e l'Italia è quello sulla carta più all'avanguardia, con l'articolo 18 della legge Turco-Napolitano che prevede 6 mesi di permesso, senza nemmeno legarne la concessione all'effettiva collaborazione della vittima con le indagini sui trafficanti.

«Il fatto è _ ci spiega Tana De Zulueta, senatrice ds che ha presentato alla conferenza una sua relazione _ che ormai quell'articolo, pur mantenuto nella Bossi-Fini, è diventato una sorta di corpo estraneo, la cui applicazione è a discrezione della polizia e dei prefetti, i quali tengono ovviamente conto del clima politico dominante e delle indicazioni generali del governo in materia. Non meraviglia che la maggior parte delle donne vittime del racket siano semplicemente rimandate in massa nel paese d'origine senza che venga loro offerta questa possibilità. Solo quando c'è un preciso intervento di qualche ong si mette in moto il processo previsto dall'articolo 18». Processo che in qualche modo verrà indicato anche dalla Conferenza come modello per gli altri paesi. «Del resto _ aggiunge De Zulueta _ è chiaro che il governo italiano oggi è poco interessato a proseguire su questa strada, tant'è che anche qui, oggi, ha una presenza solo marginale».

Le resistenze dei governi nazionali all'adozione di normative comuni in materia di immigrazione, di diritto d'asilo e via dicendo sono comunque generalizzate, anche se meno evidenti ed esplicite di quelle italiane. Ci sono timori di perdere pezzi di sovranità, ma ci sono anche paure per le proprie opinioni pubbliche, sempre poco propense a distinguere tra vittime e criminali quando si tratta di immigrati e pochissimo inclini a considerare (come sarebbe giusto e come anche in qualche documento preparatorio della conferenza ci si azzarda a suggerire) che anche la maggior parte dei clandestini «normali» sono vittime di trafficanti di esseri umani (che li sfruttano e ne mettono a rischio la vita, spesso ingannandoli con promesse di lavoro) e quindi andrebbero protetti e rispettati, non ributtati indietro all'ingrosso.