il manifesto - 30 Agosto 2002
Sanatoria, il bluff di Maroni
Bossi chiarisce: «Questa non è e non sarà una sanatoria», ma non dice nulla sulla novità del tempo indeterminato. Perplessità in casa An. L'opposizione attacca: «Il governo è in stato confusionale»
«Potranno regolarizzarsi soltanto gli immigrati dipendenti con un contratto a tempo indeterminato», annuncia il ministro del Welfare. I centristi: «Una forzatura». Il decreto sarà presentato il 6 settembre

CINZIA GUBBINI
ROMA
Sconcerto, imbarazzo, malumori. Si annunciano nuovi scontri nel governo sul tema dell'immigrazione, questa volta sul decreto che dovrà far emergere dal sommerso - e quindi sanare - anche i lavoratori immigrati dipendenti. Il ministro del Welfare Maroni ha confermato che il decreto sarà presentato al Consiglio dei ministri il 6 settembre, ma ha rivelato un particolare che fa discutere: «Per regolarizzare un lavoratore subordinato bisognerà offrirgli un contratto a tempo indeterminato. Così si eviteranno gli abusi». Una nuova, inaspettata stretta, quindi, «e poi sarà tolleranza zero, inaspriremo i controlli, rafforzeremo le ispezioni sulle aziende», ha sibilato il ministro. Il dcerto flussi nel 2002? Non se ne parla nemmeno. Nel 2003, come aveva assicurato Mantovano? Vedremo. «Sarà una forzatura - ribatte, mantenendo la calma, il centrista Bruno Tabacci, quello che ci ha messo la faccia per assicurare una regolarizzazione a cui potessero accedere anche le imprese - sulla volontà di impedire abusi siamo tutti d'accordo, ma se bisogna far emergere i lavoratori immigrati dal sommerso va da sé che sarà possibile utilizzare tutte le tipologie di contratto previste dalla legge». «Una decisione di questo genere non raccoglierebbe il dibattito che si è svolto a Montecitorio e a Palazzo Madama - rincara l'Udc Luca Volonntè - il ministro dovrebbe saperlo meglio di me come funziona il mercato del lavoro». Ma non basta, perché anche il quartier generale di Fini viene preso in contropiede, mentre il responsabile delle politiche migratorie di An, Giampaolo Landi di Chiavenna sottolinea: «Questa clausola non era nell'ordine del giorno», e riflette: «Capisco il principio che ispira Maroni: evitare lo sfruttamento dei lavoratori. Ma questa è un'arma a doppio taglio: è un disincentivo per le imprese e si perde la grande occasione di rimpinguare le casse dello stato con il versamento dei contributi». Che Maroni sia crucciato dalla possibilità che gli imprenditori sfruttino i lavoratori pare ipotesi azzardata, tanto più che il ministro giustifica la sua trovata con la paranoia degli "abusi" e delle "truffe", controindicazioni insopportabili di una sanatoria ingoiata a forza dalla Lega. Anche a costo di rimagiarsi tutte le ricette della politica ultraliberista. Più probabile, come sospettano i ministri centristi, Maroni cerchi di alzare il prezzo in vista del vertice di domani a palazzo Chigi.

Il tutto amplificato dal vero e proprio panico che serpeggia nelle file del Caroccio, alla vista dell'"assalto" degli immigrati agli uffici delle poste per ritirare le buste della sanatoria. Ma a sottoscrivere le parole di Maroni è solo il vicepresidente leghista del senato Calderoli, visto che molti parlamentari della Lega ieri cadevano dalle nuvole, e lo stesso Umberto Bossi ha esternato solo per dire che questa «non è una sanatoria», e «i clandestini devono andare a casa loro». A sera, tocca al sottosegretario al lavoro Viespoli (An) confermare quanto detto da Maroni, ma giustificandolo con il fatto che «non si può sanare chi vive nella stagionalità».

Una contraddizione dietro l'altra, che è come un invito a nozze per l'opposizione. «Il governo è in un vero stato confusionale», gongola la responsabile del Welfare della segreteria Ds, Livia Turco. «Stanno giocando un regolamento di conti interno sulla pelle degli immigrati», dichiara Giuseppe Fioroni, deputato della Margherita. Marco Rizzo, del Pdci, ricorda che la Bossi-Fini: «prevede contratti al massimo di due anni, e quindi una totale libertà di licenziamento. Ma per la regolarizzazione pretende un contratto a tempo indeterminato. Un atteggiamento ai limite dello schiavismo».