il manifesto - 24 Agosto 2002
Quei volti dimenticati
Tradotto in italiano per Einaudi, «La persecuzione nazista degli zingari» di Guenter Lewy rompe un silenzio storiografico durato trent'anni. Ma minimizza le motivazioni razziali che condussero allo sterminio del popolo dei sinti e dei rom
GIOVANNA BOURSIER
Centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini rom e sinti deportati e uccisi nei lager, braccati, schedati, imprigionati, torturati, sterilizzati, utilizzati come cavie, nel tempo terrificante della dittatura nazionasocialista e della seconda guerra mondiale. E' questo che racconta Guenter Lewy - professore emerito all'università del Massachusetts - nel suo libro, La persecuzione nazista degli zingari, tradotto in italiano per Einaudi (pp. 363, euro 25). Un lavoro importante, soprattutto perché pubblicato tempestivamente anche nel nostro paese e grazie a una prestigiosa casa editrice che squarcia, così, un silenzio durato almeno trenta anni, dalla traduzione per Rizzoli di Il destino degli zingari, scritto dagli inglesi Donald Kenrick e Grattan Puxon, nel 1972. Un silenzio storiografico pesante e inclemente che ha quasi annullato la memoria di una vicenda di deportazione e morte con un valore di testimonianza e riflessione critica anche sul presente, sulla storia odierna di questo popolo. Il libro di Lewy - che si apre con una bella prefazione di Brunello Mantelli - documenta la storia della persecuzione nazista degli zingari concentrandosi, in particolare, su quelli tedeschi e austriaci, quasi a esemplificare, tramite loro, il destino di tutti i rom e i sinti vittime del nazionalsocialismo. In realtà, nonostante si basi su materiali documentari anche inediti raccolti in ventinove archivi tedeschi e austriaci che ci restituiscono - attraverso l'elaborazione preziosa di una gran quantità di fascicoli personali - la concretezza delle tragedie umane, il libro non offre che pochi spunti di ricerca e, all'occhio attento degli studiosi, risulta sostanzialmente come una summa sistematica di quanto finora conosciuto, ispirata in gran parte al lavoro di uno dei massimi storici dell'argomento, il tedesco Michael Zimmermann, purtroppo mai tradotto in italiano.

Se da una parte, fin dalle prime pagine, l'autore sembra purtroppo accettare alcuni dei peggiori clichés sugli zingari (rubavano, imbrogliavano, erano indolenti e non lavoravano) veicolando così anche l'interpretazione storica secondo cui furono, almeno in parte, causa del pregiudizio contro di loro, dall'altra - per quasi tutto il resto del suo lavoro - Lewy prosegue con una panoramica preziosa della tragedia che gli zingari vissero nell'epoca delle dittature nazifasciste. Come la maggioranza degli storici dell'argomento anche Lewy concorda sul fatto che, se fin dai primi anni del potere hitleriano gli zingari vengono rastrellati, sterilizzati e imprigionati, è sicuramente a partire dal 1938 che la politica di persecuzione nei loro confronti diviene esplicita, supportata anche dalle teorie razziali che propugnavano presunte inferiorità rendendo predominanti i fattori ereditari su quelli ambientali. E' in quell'anno, infatti, che l'Ufficio centrale per la lotta contro la nocività degli zingari, che dispone già di oltre 33.000 schedature, viene trasferito da Monaco a Berlino, e che Himmler, Reichsfuhrer delle SS e capo della polizia tedesca, emana un decreto fondamentale che definisce esplicitamente il problema degli zingari come razziale. Da allora in poi, leggi e ordini che li riguardano si susseguono con intensità. Dal 1938 gli zingari tedeschi e - dopo l'Anschluss - quelli austriachi vengono coinvolti nelle deportazioni dei cosiddetti «asociali», che trascinano nei lager oltre 10.000 persone. Con l'aggressione alla Polonia, nel settembre del 1939, e l'estensione del conflitto a gran parte dell'Europa, aumenta a dismisura il numero di quelli presenti nell'area di potere nazista e ovunque si inaspriscono le misure nei loro confronti. Nell'ottobre del 1939 un ulteriore decreto li obbliga a non spostarsi dalle località di residenza dove poi, nel 1940, vengono prelevati i primi 2.500 destinati alla deportazione in Polonia. Un'operazione che avrebbe dovuto coinvolgere 100.000 persone ma che si concretizzò in misura parziale e con notevole ritardo. Ma già nell'autunno del 1941 oltre 5.000 zingari giungono nel ghetto di Lodz dove molti muoiono di stenti mentre, per quelli rimasti in vita, si preparano le camere a gas di Chelmno.

Negli stessi anni gli zingari dei territori orientali vengono massacrati dalle Einsatzgruppen in agghiaccianti esecuzioni di massa. Intanto gli zingari erano già prigionieri in molti lager. Lewy si sofferma sui principali: Dachau, Buchenwald, Ravensbruck, Natzweiler-Struthof, Mauthausen, Sachsenhausen, dove, come gli altri prigionieri, gli zingari erano sterilizzati, costretti ai lavori forzati, uccisi. Il 16 dicembre 1942 Himmler firma l'ordine di internamento di tutti gli zingari a Auschwitz. Qui, nel complesso di Birkenau,viene allestito un settore per loro, lo Zigeunerlager. Un campo speciale, vicino al blocco dei crematori e delle camere a gas, dove gli zingari, tatuati con un numero preceduto dalla lettera Z, erano detenuti in gruppi familiari, con una storia particolare, quindi, rievocata da documenti che fanno inorridire.

Ad Auschwitz la prima eliminazione di massa degli zingari ebbe luogo il 23 marzo 1943 quando ne furono gasati 1700. Un altro massacro è datato 25 maggio e qui le vittime furono 1035. Il 16 maggio 1944 gli zingari, armati di spranghe, pietre, coltelli riuscirono a bloccare un tentativo di liquidazione dello Zigeunerlager. Che avvenne, invece, la notte del 2 agosto quando coloro che erano sopravvissuti fino ad allora furono trascinati in massa nelle camere a gas. Si calcolano in più di 20.000 gli zingari morti solo ad Auschwitz.

La conclusione del conflitto, che nemmeno dopo una simile tragedia darà giustizia ai rom e sinti sopravvissuti, trova la comunità zingara di Germania e Austria ridotta del 90 per cento. Mentre i responsabili continuano a vivere più o meno indisturbati (i pochi processi si concluderanno con archiviazioni o assoluzioni, i risarcimenti verranno quasi sempre negati) contare le vittime - tra sopravvissuti che non venivano da comunità e che stentavano, per paura e per cultura, a testimoniare - risulta impossibile. Lewy lo scrive chiaramente. Ma è in questo ragionamento su chi e come, negli ultimi trent'anni, ha cercato di documentare il numero degli zingari sterminati, che Lewy si imbarca in una dissertazione finale che appare quantomeno pretestuosa, ma che forse ci rivela la ragione prima del suo scrivere. E' quella in cui introduce la riflessione sulla Shoah ebraica, il «confronto tra le persecuzioni di zingari e ebrei», per chiedersi chi abbia l'esclusiva del genocidio, arrivando a concludere che solo nel caso degli ebrei c'erano, da parte dei nazisti, chiari intenti di distruzione e sterminio, non evidenti nel caso degli zingari nemmeno in seguito alla deportazione e liquidazione ad Auschwitz, alle pratiche di sterilizzazione di massa o alle uccisioni di massa in Polonia (che trascura completamente).

Lewy, ragionando sul numero delle vittime, sul fatto che a un certo punto Himmler aveva proposto di escludere dalla deportazione alcuni gruppi di rom e sullo scarso coinvolgimento diretto di Hitler sulla questione, nega che l'uccisione di centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini rom fu genocidio. Secondo lui per i nazisti il problema era essenzialmente quello di liberarsi dagli zingari presenti sui loro territori. La storiografia finora disponibile ha ovviamente sempre messo in risalto le differenze tra la persecuzione e la deportazione di ebrei e zingari. Ma, quando anche divisa sul loro destino, ha focalizzato l'attenzione sulle motivazioni della persecuzione e, nel peggiore dei casi, ha giudicato la deportazione di rom e sinti «non razziale» ma dovuta a ragioni di ordine pubblico, risolvendo così, attraverso le diverse cause della deportazione nei lager, il problema dell'unicità del trattamento inflitto agli ebrei. Lewy si concentra sui piani di sterminio e non considera le possibilità di evoluzione diversa che invece la storiografia sull'argomento ha sempre messo in risalto. Nel caso degli zingari esclude semplicemente che esistessero. E considera le motivazioni razziali, quando anche presenti, secondarie. Il che lo porta a separare in modo drastico - e poco convincente - il destino degli zingari da quello degli ebrei. Cosa che, invece, non è detto facciano i lettori del suo libro.